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recensione di Antonio Pettierre
4.0/10

"Frankenstein, o il moderno Prometeo" della scrittrice inglese Mary Shelley è ormai un classico della letteratura ottocentesca e uno dei capostipiti di tutta la narrativa di genere, con protagonista lo scienziato che vuole attraversare i limiti imposti dalla Natura. Il mostro, la creatura, protagonista del romanzo pubblicato nel 1818, è entrato nell'immaginario collettivo anche grazie alla potenza del mezzo cinematografico, più volte portato sullo schermo proprio per la forza e l'originalità della trama e del personaggio. Il primo film degno di essere citato a questo proposito è sicuramente "Frankenstein" (1931) di James Whale che rimane un capolavoro del genere horror e produttore di un'icona riconoscibile da ogni spettatore. Il romanzo è stato portato sullo schermo (sia cinematografico sia televisivo) innumerevoli volte e con infinite varianti: dal comico al grottesco; dall'ibridazione con altri generi ai cross over con altri personaggi fantastici (Dracula, L'uomo lupo). Se la Hammer ne ha fatto un cavallo di battaglia dagli anni 50 agli anni 70, con Peter Cushing nel ruolo del dottor Frankenstein, il più grande successo è stata la parodia che ne fece Mel Brooks nel 1974 con il suo "Frankenstein Junior" ormai entrato nella storia del cinema.

Negli ultimi anni c'è stato un ritorno di fiamma per l'opera della Shelley, puntando non solo più sul punto di vista del dottore ma anche su quello della Creatura. E se Kenneth Branagh con il suo "Frankenstein di Mary Shelley" (1994) è riuscito, fin dal titolo, a compiere un lavoro filologico corretto e approfondito sul confronto tra creatore e la sua creatura, tra la vita e la morte, la solitudine e l'egoismo, la potenza della scienza e della tecnologia, lo scontro con il divino, la restante produzione degli ultimi anni si è accontentata di alimentare l'aspetto più superficiale del genere horror, a volte inserendolo in milieu fantastici oppure trasportandone le vicende ai giorni nostri.

Il "Frankenstein" di Bernard Rose s'inserisce in questa corrente, in cui il nuovo "mostro" è un esperimento di costruzione e clonazione genetica di una coppia di ricercatori-scienziati che risulta un fallimento. Pensando di averlo eliminato, nel momento in cui avviene una degenerazione fisica che trasforma la creatura con la mente di un bambino e l'aspetto di un affascinante giovane in un vero e proprio mostro deforme, al contrario si scopre la sua capacità di essere immortale. La fuga dalla residenza-clinica-prigione lo fa precipitare in una Los Angeles contemporanea, a contatto con un'umanità marginale e invisibile e dove la sua crescita si basa solo su continue dosi di violenza somministrate da parte di tutti. Rose segue didascalicamente le vicende del romanzo: l'incontro con la bambina che tenta di affogare inavvertitamente; il cieco che diventa il suo mentore per un certo periodo; la scoperta drammatica del sesso; la comprensione di chi sia, da dove viene, quale sia il suo posto nel mondo; fino al ritorno alla casa originale per scoprire le modalità della sua nascita.

Rose, anche sceneggiatore, operatore e montatore, sceglie il punto di vista del mostro nel narrare le vicende e il rapporto materno che s'instaura con la moglie del dottor Frankenstein (un Danny Huston del tutto marginale). Il motore che spinge tutta la narrazione è l'amore come madre e figlio tra la creatura e la scienziata Elizabeth Frankenstein (una Carrie-Anne Moss sottotono) vera artefice della nascita emotiva della creatura che alla fine scoprirà di chiamarsi Adam (come il primo uomo, in una metafora religiosa un po' pesante e fuori luogo). Il mostro, quindi, diventa una figura quasi cristologica e il suo viaggio una lunga passione di dolore e violenza fisica e morale.

Il regista inglese, autore del pregevole horror "Candyman" e di un paio di film storici ("Amata immortale", sulla vita del compositore tedesco Ludwig van Beethoven, e "Anna Karenina" dall'omonimo romanzo di Lev Nikolaevic Tolstoj), con questo "Frankenstein" fallisce l'intento velleitario di aggiornare il mito della creatura. Intriso di scene gore e splatter, con la voce over di Adam adulto (del tutto falso visto il finale catartico in un autodafé), narratore onnisciente stridente con la messa in scena, il film si trascina faticosamente tra denuncia di una società che vuole eliminare il "diverso" (ma c'era bisogno di scomodare Mary Shelley?) e la rappresentazione di una violenza ottusa e fine a sé stessa. Inoltre, gli inserti onirici, tentativi puerili di elevare il livello psicoanalitico dei personaggi, e una fotografia dai colori saturi e abbaglianti e scene elementari, creano una sovraesposizione stilistica che rende incerta la regia di Rose fin dalle prime inquadrature. Un film, insomma, che non ha un centro tematico e senza una chiara idea cinematografica, risultando un prodotto informe, indefinito, con una confusa identità.


19/03/2016

Cast e credits

cast:
Xavier Samuel, Carrie-Anne Moss, Danny Huston, Tony Todd


regia:
Bernard Rose


distribuzione:
Barter Multimedia


durata:
89'


produzione:
Bad Badger, Eclectic Pictures, Summerstorm Entertainment


sceneggiatura:
Bernard Rose


fotografia:
Bernard Rose, Candace Higgins


scenografie:
Bradd Fillman


montaggio:
Bernard Rose


costumi:
Julia Clancey


musiche:
Halli Cauthery


Trama

Tratto dal romanzo di Mary Shelley, “Frankenstein” è ambientato nella Los Angeles dei giorni nostri e raccontato interamente dal punto di vista del mostro. Dopo essere stato creato artificialmente e abbandonato al suo destino da una coppia di eccentrici coniugi scienziati, Adam viene aggredito e diventa oggetto di violenza da parte del mondo che lo circonda. Questa creatura, inizialmente perfetta, diventata un mostro sfigurato e si trova a confrontarsi con la disumanità della società contemporanea.