Ondacinema

recensione di Pietro S. Calò
7.0/10

Ovazione in sala alla fine della proiezione.
L’atteso film di Ferzan Ozpetek ha entusiasmato il pubblico che sui titoli di coda ha addirittura applaudito, neanche il regista fosse in sala.
In parte se ne comprende il motivo: “andare a vedere Ozpetek” è quasi un obbligo per la fascia socio-economica medio-alta. Non crediamo esistano agenzie bancarie, uffici postali, sale professori e “apericene” nell’arco peninsulare in cui, in questi giorni, non sia stata posta la questione: “Hai visto l’ultimo Ozpetek?”. E comincia il dibattito, che si estende alle code dei correntisti, al professore di Educazione Tecnica, al vicino di calice.

Poi c’è anche il film e chi era uscito depresso dal “Un giorno perfetto” questa volta si è rifatto con gli interessi, si è fatto le sue belle quattro risate e quando Lunetta Savino ha dato della “zoccola” all’amica linguacciuta c’è scappato l’applauso, e siamo a due.
Ottavo lungometraggio del regista italo-turco che trasferisce la sua allegra banda di attori e comprimari nella torrida Lecce. Città molto bella ma tanto provinciale e vicinissima al mare di Gallipoli che non è il più bello dello Jonio ma fa tanto “trendy”.
Tommaso (Riccardo Scamarcio) e Antonio (Alessandro Preziosi) son i due figli maschi della coppia alto-borghese formata da Vincenzo (Ennio Fantastichini) e Stefania (Lunetta Savino).
Sono i proprietari di un pastificio in società con la famiglia di Alba (Nicole Grimaudo).
Completano la famiglia, la matriarca (Ilaria Occhini), la zia mezza cecata mezza mbriaca (Elena Sofia Ricci) e la “Colombina” di turno, la bravissima Paola Minaccioni, perfetta nel ruolo della serva indolente così come nella parodia del ministro Meloni nel programma TV “Parla con lei”.

Il film è un’offerta “2 X 1”, una commedia tragica che fa ridere e riflettere, un po’ come Giulio Cesare che scriveva una cosa e contemporaneamente ne dettava un’altra.
Molto curata la messa in scena che coniuga il parterre de roi degli attori, il superbo dècor del barocco leccese, la torrida luce naturale della città e l’oggettiva capacità di Ozpetek di tagliare le inquadrature e raccordarle armoniosamente con un montaggio quasi invisibile.

Tutti i personaggi, davvero tanti, sono messi a fuoco in una storia che, classicamente, è raccontata in terza persona e ogni attore è al servizio della narrazione, “agente” tout court.
Spicca l’interpretazione di Ilaria Occhini, che esce di scena con una eleganza degna de “La grande abbuffata”.
Molto bravo anche Scamarcio, a suo agio in questi ruoli che ironizzano sul suo status di sex-symbol ed esaltante quando muove i passetti di una canzoncina vintage e destinata al successo radiofonico, “50mila” di Nina Zilli, giovane interprete già convincente all’ultimo festival di Sanremo.

È un film sulla famiglia e i suoi difficili (impossibili?) equilibri.
C’è una parola salentina che non ha traduzione in italiano: “pentime”. È una pietra liscia e levigata che nella parte inferiore, quella che poggia sulla terra, ospita una vastissima colonia di insetti e schifezze varie di tutte le taglie e abitudini sociali.
Così è spesso la famiglia.
La mina vagante, al contrario, è quella che “sbaglia da sé” (e per sé). Non serve il gruppo, serve se stessa. Nono si può disinnescare, è allo stesso tempo, polvere, miccia e accendino.
È la questione dell’individualismo, un tema ormai storicizzato e verso cui Ozpetek alimenta un sentimento di nostalgia, certamente ambigua, ma oggettiva: è la stessa costruzione del film, classica, ad avere la stessa struttura della famiglia, dove “tout se tient”, e la stessa composizione organica del pentime.


15/03/2010

Cast e credits

cast:
Riccardo Scamarcio, Ilaria Occhini, Ennio Fantastichini, Paola Minaccioni, Nicole Grimaudo


regia:
Ferzan Ozpetek


distribuzione:
01 Distribuzione


durata:
110'


produzione:
Fandango - Rai Cinema


sceneggiatura:
Ferzan Ozpetek - Ivan Cotroneo


fotografia:
Maurizio Calvesi


scenografie:
Andrea Crisanti


montaggio:
Patrizio Marone


costumi:
Alessandro Lai


musiche:
Pasquale Catalano


Trama
Ottavo lungometraggio di ferza Ozpetek. Elogio delle «mine vaganti» che fanno esplodere le convenzioni piccolo o grandi-borghesi
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