“On Falling”, di Laura Carreira, prosegue il racconto del precariato di “The Shift”, apprezzatissimo cortometraggio presentato a Venezia 77. La pellicola, prodotta da Ken Loach – regista da sempre attento alle tematiche sociali, basti pensare ai recenti “Sorry we missed you” o “The Old Oak” -, racconta la storia di Aurora (Joana Santos), emigrata portoghese, che lavora a Glasgow come “picker” in un magazzino di smistamento. Ogni giorno, a seconda dei turni diurni o notturni, il suo compito è raccogliere il più velocemente possibile gli oggetti dagli scaffali: registra i codici a barre, riempie la scatola di raccolta e la porta sul nastro trasportatore al centro del complesso. In cambio, l’azienda le ha fornito una stanza in un appartamento condiviso con altri lavoratori a qualche chilometro dal magazzino, bollette escluse.
L’opera prima di Carreira condivide toni e colori di “Nomadland”, il film che è valso a Chloé Zhao Leone d’Oro e Oscar al Miglior film e che racconta anch’esso una storia di precariato, ma, al contempo, traccia una poetica autonoma, fatta di un linguaggio cinematografico povero, ma non semplicista, sorretto da una scrittura che già al primo tentativo si dimostra matura e consapevole. “On Falling”, se possibile, supera anche quella forma di didascalismo di cui Loach ha abusato nei suoi ultimi lavori. Si tratta, infatti, di una messa in scena, come detto, cupa, dimessa, come lo sono gli abiti di Aurora, ma anche profondamente incisiva, impreziosita da un ricchissimo studio emotivo sul corpo e sul volto della protagonista. A ciò, è abbinata una compostezza formale devota alla ricostruzione di un immaginario precario, instabile, per certi versi inaccessibile allo spettatore. Carreira, nei long-take che seguono Aurora nel magazzino, finge spesso una soggettiva che non è mai del tutto utilizzata, come se in fondo non fosse possibile una completa immedesimazione nella protagonista; rimane, dunque, uno schermo, una fenomenologia del precariato indiretta, la cui rappresentazione coincide con l’emozione prevalente di Aurora, ossia la sensazione di appartenere e vivere una prigione dai confini invisibili, mobili, capaci di allargarsi e restringersi, dal magazzino alla casa che raggiunge grazie al passaggio in macchina dell'amica (così da dividersi la benzina).
L’ elastico emozionale raggiunge finanche una dimensione temporale – tra un presente alienato e un futuro sognato – e una locutoria, comunicativa, tra virtuale e analogico. Non può sfuggire, infatti, l’automatismo con cui Aurora, seduta a tavola per pranzare o cenare, impugna il telefono e inizia lo scrolling. Il dito è mosso compulsivamente, com’è, d’altronde, il suo desiderio di evasione. Sarà ciò, non a caso, che determinerà il moto interiore che smuove le fondamente della storia: sceglierà di non pranzare per qualche giorno, pur di avere i soldi per riparare lo schermo rotto dello smartphone. Il secondo, e conclusivo, snodo narrativo fotografa Aurora durante un job interview: l’addetta alle risorse umane le chiede di raccontarsi, dire cose le piace fare durante il suo tempo libero: non lo sa. Il parlato della donna s’inceppa, dapprima finge un’alterazione emotiva dovuta al ciclo mestruale, poi la camera stacca e la ritroviamo distesa in un parco di Glasgow, svenuta. È l’immagine con cui la regista riassume la sua poetica della sottrazione, una caduta lenta ma inesorabile – “On Falling” appunto –, che induce una sopravvivenza latente, il co-prodotto (“by-product” dicono gli inglesi) della società liquida massivamente produttiva di cui scrivevamo riguardo “La stanza accanto” citando Byung-Chul Han. La morte, freno all’iperproduzione, è sostituita dal ritmo, da un tempo infintamente sincronico, dilatato, che, nel caso di Aurora, restituisce una caramella-premio per chi è in grado di mantenerlo, per il miglior “picker” della settimana.
Carreira, dunque, a differenza di quanto accade in “Nomadland” come scrive a ragione il nostro Luca Sottimano, dà una controparte materica alla riflessione esistenzialista e confeziona un esordio davvero sorprendente, in cui la catarsi è nella liberazione dal quotidiano, dall’alienazione automatizzata. Non si tratta, però, di un’intenzione anti-carveriana, ma di un gioco prospettico, cromatico, quello che l’hostess della profumeria traccia sul volto di Aurora prima del colloquio di lavoro: nessuna l’ha mai guadarla in quel modo, da quella prospettiva, compresa lei stessa. Aurora ricorda il protagonista del recente “Perfect Days”, che, qualsiasi emozione prova, la fa in silenzio, vittima di una strana forma di anosognosia. Carreira sembra sapere e indicare chi è il responsabile.
cast:
Neil Leiper, Piotr Sikora, Inês Vaz, Joana Santos
regia:
Laura Carreira
durata:
104'
produzione:
Sixteen Films, Bro Cinema
sceneggiatura:
Laura Carreira
fotografia:
Karl Kürten
scenografie:
Andy Drummond
montaggio:
Helle Le Fevre
costumi:
Carole Millar
musiche:
Olivier Blanc