Ondacinema

recensione di Mirko Salvini
5.0/10
Ewan McGregor, attore british dotato di straordinaria naturalezza, si unisce alla folta schiera di colleghi che hanno deciso di passare dietro la macchina da presa. Però, forse, "Pastorale americana", il capolavoro di Philip Roth, non era materiale per un regista alla prima esperienza e il risultato, prevedibilmente, non è stato dei migliori (non che quando gli interpreti famosi si danno alla regia i risultati in automatico siano film memorabili, però se stanno attenti a non fare il passo più lungo della gamba possono sfornare opere più soddisfacenti). Inizialmente Ewan era stato coinvolto nel progetto semplicemente in veste di attore, e della regia si doveva occupare l'australiano Phillip Noyce, che per anni ha cercato di portare il romanzo premio Pultizer sul grande schermo, prima di tirarsi indietro, evidentemente scoraggiato dalle difficoltà dell'adattamento, oltre che, magari, dagli sfortunati precedenti. Infatti per quanto Roth sia uno degli autori americani viventi più ammirati, i suoi libri non hanno avuto un rapporto felice col cinema, se si eccettua, forse, il lontano "La ragazza di Tony" del 1969, film diretto da Larry Pearce, che lanciò Ali MacGraw. Nonostante abbiano mosso negli anni gli interessi di professionisti del calibro di Ernest Lehman, Robert Benton, Isabel Coixet e Barry Levinson, le atmosfere create dallo scrittore del New Jersey sembrano destinate a non trasferirsi in maniera riuscita sul grande schermo. Non che questo, si sa, capiti soltanto con le opere di Roth. "American Pastoral" si aggiunge alla lista di tentativi non riusciti e a poco serve pensare a come l'impresa sarebbe risultata più felice se affidata, che so, alle cure di un Sam Mendes (che aveva ottenuto un film di tutto rispetto da un altro caposaldo della narrativa americana novecentesca come "Revolutionary Road" di Richard Yates).

Elegia di un'America anni sessanta che va perdendo la sua innocenza e di sogni inesorabilmente destinati a infrangersi, "American Pastoral" racconta la storia di Seymour Levov, detto lo Svedese, rampollo di ricca famiglia ebrea, ex campione sportivo, ex eroe di guerra e imprenditore di successo. Sposato a Dawn, una reginetta di bellezza di famiglia cattolica, Levov ha tutto quello che può desiderare per essere soddisfatto. E infatti è l'orgoglio della cittadina di Old Nimrock, della sua famiglia e dei suoi ex compagni di scuola (fra i quali anche Nathan Zuckerman, figura ricorrente nei romanzi di Roth, alter ego dello stesso scrittore). Le cose però non sono destinate a finire bene poiché la figlia dello Svedese e di Dawn, Merry, una ragazzina precoce ma insicura, affetta da una forte balbuzie (secondo la sua psicologa, un modo per esorcizzare il complesso di inferiorità nei confronti di due genitori troppo intimidenti) comincia a nutrire simpatie per gruppi estremisti. Le rivolte della comunità afroamericana per i propri diritti e quelle di chi è contrario alla sporca guerra nel Vietnam imperversano e l'emporio locale finisce per saltare per aria, con tanto di morto. Dopo questo tragico episodio di Merry (ricercata in quanto principale indiziata, forse ha preso troppo alla lettera il suggerimento del padre riguardo al portare la guerra in casa) si perdono le tracce. Per i coniugi Levov accettare che la figlia sia coinvolta in un crimine del genere sarà dolorosissimo e Dawn rischierà anche di perdere la ragione.

La sceneggiatura di John Romano (un lungo curriculum televisivo alle spalle), pur cercando di rimanere sostanzialmente fedele alla trama del libro, finisce per condensarla eccessivamente, banalizzandone i contenuti. Passi che non ci sia traccia della seconda famiglia dello Svedese (del resto anche in Roth volutamente satellitare) ma è grave che non venga in alcun modo mostrato il senso di tradimento che coglie il protagonista quando si rende conto di cosa sta succedendo intorno a se. Resta la condanna di certi atti di violenza cui assiste, impotente, lo Svedese, divenuto nel passaggio sullo schermo un personaggio, un po' come il film che lo ospita, tagliato con l'accetta, privo dello spessore che aveva sulla pagina scritta e quindi alla fine sostanzialmente inefficace come (anti)eroe della vicenda, pur restando l'unico a comprendere che quanto succede, in strada come nella sua famiglia, sia frutto di umori mal elaborati. McGregor, regista per ora deludente, regala al suo Levov una certa soavità anche se gli fa difetto quell'alone "leggendario" di cui il ruolo avrebbe avuto bisogno.
Ma va detto che neanche gli altri attori sono serviti benissimo, anche se la sempre bella (anche se scheletrica) Jennifer Connelly ha una scena molto forte in ospedale e Dakota Fanning interpreta con disinvoltura il ruolo della figlia ribelle. Nei ruoli di contorno ritroviamo attori di tutto rispetto come David Strathairn, Uzo Aduba, Molly Parker, Peter Riegert e Valorie Currie, che si mette in mostra grazie al ruolo idiosincratico di una giovane, forse, compagna di lotte di Merry.
Personalmente non amo quando, parlando di film tratti da opere letterarie, sento dire che il libro è sempre meglio ma non potrò stupirmi di sentirlo dire riguardo ad "American Pastoral".

23/10/2016

Cast e credits

cast:
Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning, David Strathairn, Uzo Aduba, Rupert Evans, Valorie Curry, Molly Parker, Peter Riegert


regia:
Ewan McGregor


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
108'


produzione:
Lakeshore Entertainment


sceneggiatura:
John Romano


fotografia:
Martin Ruhe


scenografie:
Daniel B. Clancy


montaggio:
Melissa Kent


costumi:
Lindsay McKay


musiche:
Alexander Desplat


Trama
America, fine anni sessanta. Un uomo, considerato un punto di riferimento nella città dove abita, vede la sua vita apparentemente perfetta rovinata dopo che la figlia adolescente entra a far parte di un gruppo estremista
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