Dopo avere visto "Cell" di Tod Williams, tratto dal bestseller di Stephen King, è difficile non pensare alle considerazioni poco piacevoli che il "Re dell'Horror" ebbe a fare a suo tempo su "Shining" di Stanley Kubrick, reo, a suo dire, di non essere un adattamento all'altezza del romanzo di partenza. Naturalmente ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione e guai se dovessimo pensarla tutti alla stessa maniera e ovviamente uno scrittore sul proprio lavoro ha una percezione tutta sua, ma in effetti se "Shining", secondo lui, non andava bene cosa dovrebbe dire di questa trasposizione? In verità il problema non si pone, dato che l'amatissimo scrittore firma stavolta pure la sceneggiatura; come si diceva un tempo: "il silenzio è d'oro".
"Cell", poderoso volume pubblicato nel 2006, consiste in una variazione sul tema de "L'ombra dello scorpione", aggiornato pensando all'invasività delle nuove tecnologie nella vita di tutti i giorni. L'autore di "Carrie" infatti immagina la solita apocalisse, veicolata stavolta dai telefonini cellulari, dai quali partono impulsi che rendono le persone che si servono del dispositivo elettronico una sorta di zombie di nuova generazione. Per il solito manipolo di personaggi scampati al contagio arrivare sani e salvi alla fine delle 500 pagine tutto è tranne che uno scherzo! Il libro sostanzialmente si basa su un'idea abbastanza semplice ed efficace perché spendibile in chiave simbolica: quella di immaginare un oggetto che fa parte del nostro quotidiano, per molti di noi irrinunciabile (e quando il libro è uscito non c'era ancora la febbre da smart phone che c'è adesso!), e renderlo potenzialmente pericoloso perché in grado di prendere il controllo sulle nostre vite. Dato il successo era inevitabile che si cercasse di tradurlo sul grande schermo, come del resto la stragrande maggioranza dei suoi romanzi e racconti (King è in assoluto uno degli autori più corteggiati dal cinema). Inizialmente Eli Roth sembrava destinato ad occuparsi della regia ma per divergenze creative ha abbandonato il progetto, passato poi a Williams, famoso per "Paranormal Activity 2" e soprattutto "The Door in the Floor", con Jeff Bridges, Kim Basinger e una piccolissima Elle Fanning, altro film di derivazione letteraria, anche se non aveva niente a che vedere con i morti viventi ed era in effetti un buon film. E' proprio ricordando quella delicata e dolorosa "cronaca familiare" che dispiace notare il fallimento su tutta la linea di questo nuovo lavoro. Probabilmente sul risultato finale hanno avuto un peso le vicissitudini produttive e distributive del progetto, ma bisogna dire che regista e sceneggiatori (oltre che dal già rammentato King, il copione è firmato da Adam Calleca che anni fa aveva scritto "L'ultima casa a sinistra", remake dell'horror d'autore di Wes Craven) ci hanno messo del loro.
Il plot del libro è stato notevolmente sintetizzato (ai tempi in cui Roth era coinvolto era anche stato annunciato come miniserie televisiva e quello dei cellulari è rimasto un pretesto utilizzato abbastanza frettolosamente. John Cusack, che ormai sembrerebbe intenzionato a proporsi come un degno sostituto del suo partner in "Con Air", Nicolas Cage, interpreta il classico uomo comune promosso a protagonista, un disegnatore che, tra l'altro non sa quale fine abbiano fatto la moglie e il figlio. Al suo fianco ci sono il solito Samuel L. Jackson (se non erro nel primo ruolo gay della sua lunga carriera), l'inquietante bambina di "Orphan" Isabelle Furhman e il veterano Stacy Keach. Williams inizia il film con una scena di panico in aeroporto e poi ci mostra il suo "mucchio selvaggio" mentre da una parte cerca di mettersi in salvo e dall'altra tenta di individuare la causa del "contagio", identificata in un baubau che sembra uscito dai suoi disegni. L'intento del regista sembra quello di omaggiare il cinema di Romero, cercando però di non dimenticare chi è venuto dopo, come Fulci, Snyder o Boyle. Purtroppo non basta rendere i morti viventi agili e scattanti se manca la tensione e tutto il resto, metafore comprese, sa di risaputo.
Come detto prima, di fronte a risultati così mediocri appaiono quanto mai ingenerose e fuori di misura le critiche verso opere di ben altro livello ricavate dai libri di King; ma in effetti senza andare a scomodare capolavori, come quello di Kubrick, va detto che di fronte a "Cell" anche le trasposizioni pure troppo fortunate di Frank Darabont ("Le ali della libertà, "Il miglio verde" e "The Mist") e persino i lavori di mestieranti come Mick Garris finiscono per guadagnarci. Speriamo, per gli appassionati, che i futuri appuntamenti previsti, tra i quali il nuovo "It" o "La torre nera" (opere peraltro molto più care ai lettori rispetto a "Cell"), ci sorprendano più positivamente. Anche perché fare qualcosa di meglio francamente non sembra difficile!
18/07/2016