Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
8.0/10

Kiyoshi Kurosawa si è ritagliato un posto nella storia del cinema a cavallo tra i due secoli: dopo il successo di "Cure" (1997), i suoi film successivi - cinque, tutti notevoli - iniziano a essere selezionati nelle sezioni collaterali dei grandi festival europei fino a "Kairo" (2001) che in Un Certain Regard a Cannes viene insignito del premio FIPRESCI. Le sue opere assurgono in breve tempo a cult internazionali, mentre si andava affermando il filone dello j-horror di cui è sempre stato considerato il padre nobile. Tra la seconda metà degli anni 80 e i primi anni 90, Kurosawa aveva però difficoltà a trovare lavoro e, infatti, ripiega sulla docenza universitaria, mestiere iniziato per necessità e a lungo mantenuto (tanto da divenire professore di alcuni futuri registi). Nei primi anni anni 90 esplode il fenomeno del V-Cinema (film direct-to-video), palestra per tantissimi futuri maestri (Miike Takashi in testa), che permette a Kurosawa di tornare sul set con continuità. Il regista impara a gestire budget minuscoli e i tempi ristretti per il tournage ma ha abbastanza libertà per sperimentare una forma espressiva e un timbro che saranno l'elemento dirompente dei suoi film maggiori. Nel dittico "The Revenge" (1997) la vita di un detective viene stravolta quando riconosce i criminali che sterminarono la sua famiglia quando lui era solo un bambino: guardando i due film si apprezzano i germi di stile che Kurosawa affinerà nei successivi "Eyes of the Spider" (1998) e "Serpent's Path" (1998), storie di vendette, di fughe da sé stessi, di ossessioni monomaniacali e logoranti. Nel 2024 Kurosawa ha firmato tre lavori, un medio e due lungometraggi, che segnano per lui un deciso ritorno verso le atmosfere e gli stilemi costruiti alla fine degli anni 90: "Chime" si presenta quale résumé che ricapitola i cardini formali e le inquietudini striscianti dei suoi horror; "Serpent's Path" è il remake del film del 1998, ambientato stavolta a Parigi; "Cloud" prevede la ripresa di quel cinema, ma calato nella contemporaneità.

Import/Export

Ryōsuke Yoshii, protagonista di "Cloud", viene presentato mentre contratta con un produttore di macchinari medici. Alla fine convince l'uomo che, piuttosto che mandare al macero quelle trenta giacenze, tanto vale accettare la sua offerta, seppur esigua, di 90 mila yen (mentre al dettaglio potevano essere venduti fino a 400 mila). Tornato a casa, Ryōsuke si mette al computer e, usando il nickname di Ratel, propone la rivendita dei macchinari con un prezzo di 200 mila yen, sottolineando come sia la metà del prezzo originario. La speculazione riesce e nel giro di poco tempo l'intero carico viene venduto. Yoshii non è soltanto un cinico rivenditore su internet (e sul dark web, come viene accennato), uno scammer, per usare un'espressione gergale diffusasi su internet, perché lavora regolarmente come operaio in una lavanderia industriale e qui il direttore l'ha preso sotto la sua ala offrendogli una promozione. Nelle prime scene sembra che i pianeti si siano allineati e Ryōsuke viva un momento di fortuna sfacciata. Tuttavia, ci sono alcuni segni che turbano la quotidianità dell'uomo: spedito il carico, mentre sale le scale verso il suo appartamento, trova un topo morto dentro un foglio di giornale e, successivamente, quando sta rincasando in motorino, frena repentinamente e cade, essendosi accorto di un cavo d'acciaio teso sulla strada. Poco dopo l'uomo decide di dare le dimissioni, di rinunciare all'offerta dell'amico e mentore di investire in una start up e di trasferirsi con la fidanzata in una villa fuori città per concentrarsi unicamente sulle compravendite. È il primo punto di svolta di un film che è costruito come continuo depistaggio, in cui Kurosawa riesce in modo subliminale a concentrare un orizzonte delle attese per poi ricentrare la narrazione in uno slittamento di senso ma anche di generi. Se infatti era facile immaginare che l'autore di "Kairo", profeta dell'apocalisse della smaterializzazione digitale nello sciame del web, ritornasse sul luogo del delitto con un thriller intitolato "Cloud", rimandando a quel non-luogo in cui stocchiamo file e informazioni o attraverso cui usufruiamo di una vasta rete di servizi, meno ovvio ipotizzare come questo lavoro indaghi i modi che ha il capitalismo per tradursi in sopraffazione e conflitto aperto tramite il processo di gamification della realtà, adattando il lessico dell'action alla propria grammatica filmica.

[Attenzione, possibili spoiler]

Retribution

Yoshii rigetta la possibilità di un mestiere trasparente e di reinvestire quanto guadagnato all'ombra di Ratel in una società i cui profitti possono essere gestiti senza sotterfugi. Yoshii è assorbito dalla sua identità virtuale, perché assuefatto all'azzardo della rivendita che non funge solo da metonimia della speculazione finanziaria e, per estensione, delle economie del capitalismo avanzato ma anche da vero e proprio gioco. La metafora del gioco non è particolarmente nuova e il termine ombrello di gamification è ormai ricorsivo nella produzione critica, sia in ambito culturale, sia in ambito socio-economico e politico. Ebbene, la rivendita è un gioco aleatorio, infatti Yoshii rischia che il suo investimento non porti ai frutti desiderati, come gli fa notare la moglie del produttore di macchinari medici. L'agone in cui si svolge questo gioco è internet che, per Yoshii, è separato dalla sua vita quotidiana (dove conduce un'esistenza all'apparenza mediocre). John Huizinga nell'ormai classico "Homo ludens" nota che "il gioco s'isola dalla vita ordinaria in luogo e durata"[1] svolgendosi entro certi limiti. È proprio l'attraversamento di questa soglia invisibile, l'ingresso in un cerchio magico e l'accettazione delle regole che permette il funzionamento del gioco. E poiché quanto fatto da Ratel è aleatorio, un'altra qualità del gioco è un'ansiosa aspettativa, la tensione dettata dall'incertezza della riuscita: più volte durante il film, la regia si sofferma sull'espressione di Yoshii, teso verso il monitor in attesa che la sua merce venga venduta. All'interno dei game studies è piuttosto dibattuta la questione di confine tra mondo digitale, in cui si abitano i videogiochi, e il mondo ordinario e a Yoshii accade di accorgersi come non smetta di essere Ratel una volta esaurito un carico e spento il computer. In tal senso, è difficile non interpretare Yoshii come la metafora di un capitalista avido e ottuso che non vede chiaramente il mondo intorno a lui e, pertanto, non interpreta i segni del cambiamento causati dal suo agire.

Le vittime dello spietato cinismo di Ratel, le cui ripercussioni non sono solo economiche ma anche personali e umane, hanno scoperto, riuniti sul web, la sua vera identità e meditano di stanarlo. La cospirazione del gruppo di vittime comporta un nuovo tipo di gioco da affrontare, con un differente livello di difficoltà e uno spazio, reale, che valica i limiti della rete: profili con nickname e avatar divengono presenze fisiche, le minacce si materializzano. La posta in gioco non è finanziaria, ma la sopravvivenza. È un secondo twist, perché non è più Ratel a giocare con gli altri ma gli altri a giocare con Ratel. L'uomo più esperto del gruppo suggerisce al neoarrivato di considerarlo un gioco e di divertirsi; questi decide di mascherarsi come se interpretasse il ruolo dell'hoodlum, perfetto per fare irruzione a casa di Ratel scatenando la caccia all'uomo. Di fatto, non avviene l'interpretazione di un personaggio come in un gioco di ruolo, bensì si verifica quell'immersione che s'instaura quando giocatore e personaggio si fondono per diventare una persona [2]. "Cloud" squaderna la sua realtà come un gioco pervasivo, ossia "un gioco che presenta una o più caratteristiche salienti che ampliano il contratto del cerchio magico del gioco a livello sociale, spaziale o temporale"[3].

The Most Dangerous Game

Kurosawa precipita il proprio protagonista in questo nuovo mondo ("un mondo di dolore" dirà uno degli aguzzini) che in fondo mantiene le coordinate della prima parte, pur non rispondendo alle medesime regole. Come detto, il mondo si allarga e si popola di nuovi personaggi, ciascuno dei quali porta avanti il suo gioco: non soltanto il gruppo che vuole linciare Yoshii in diretta streaming ma anche Sano, il giovane assistente il cui ruolo rimane a lungo ambiguo, e la fidanzata Akiko, sempre più rapace.

Queste trasformazioni di senso sono accompagnate da precise scelte linguistiche che consistono nell'usuale quanto spiazzante economia espressiva: Kurosawa può lavorare a un film con un unico set di focali attraverso cui potenziare l'effetto opprimente di inquadrature strette in spazi angusti oppure la mancanza di punti di riferimento in spazi più ampi di inquadrature più larghe. La prospettiva, l'angolo di ripresa, la composizione dell'inquadratura e la disposizione dei personaggi lungo diagonali talora strettissime sono punti di forza decisivi della sua regia, il cui sguardo distaccato osserva un reale caotico ed enigmatico. Tale compattezza formale rende le increspature narrative e i movimenti di macchina - spesso carrellate laterali, lenti zoom-in o zoom-out - scosse telluriche che terremotano le certezze dei personaggi come degli spettatori: a Kurosawa è sufficiente inquadrare un paesaggio il cui cielo si oscura, modificare l'illuminazione di un interno oppure mostrare un'ombra che si agita in secondo piano per sganciare la scena dal reale e produrre il perturbante. In "Cloud" l'apparizione dell'uomo mascherato dietro la porta, i cui movimenti sono resi fantasmatici dal filtro del vetro smerigliato, fornisce un ottimo esempio del talento del regista nella costruzione di tensione e inquietudine tramite le immagini.

Nella prima parte il piccolo mondo di Ryōsuke Yoshii è descritto nell'alternanza tra l'appartamento e la fabbrica, luoghi rispettivamente angusti e freddi; la grandezza di Kurosawa non si esaurisce solo nella selezione degli ambienti ma anche nella gestione della loro risonanza emotiva. Trasferendosi nella villa fuori città, Yoshii ha abbastanza spazio per avere i comfort di una grande casa e un magazzino per i suoi traffici: nondimeno occupa soprattutto una stanza (similmente al vecchio appartamento), quella che ruota intorno al suo computer. Lo spazio gradualmente si amplia e quando la casa viene profanata dall'incursione del gruppo di aggressori, ogni luogo diviene possibile terreno di conflitto: vivendo in prima persona un gioco così pericoloso Yoshii capisce che non ci sono confini sicuri, né porte né schermi che possono proteggerlo dal mondo. Anticipazione di questo slittamento una scena posta nella parte iniziale:
l'uomo e la fidanzata sono in autobus inquadrati frontalmente mentre conversano; dopo un taglio di montaggio l'angolo di ripresa è laterale e la macchina da presa si avvicina ai personaggi, finché non entra nell'inquadratura, alle loro spalle, una figura e il sonoro si spegne; Yoshii si gira di scatto ma la figura corre soltanto verso l'uscita del mezzo. La breve scena è un fulminante saggio della bravura di Kurosawa che riesce a raggiungere picchi di tensione in modo improvviso pur, di fatto, giocando semplicemente con le aspettative degli spettatori. Tuttavia, delinea in modo nitido il leitmotiv della prima parte, volta a disseminare indizi e tracce di una presenza estranea che segue i movimenti del protagonista.

Nell'ultimo atto, quando Yoshii viene soccorso da Sano, il regista avvia una sequenza d'azione che rielabora il gunplay privandolo del magnetismo coreografico e concentrandosi sull'efficacia del gesto piuttosto che sulla bellezza. Come già in passato, Kurosawa mette in scena la violenza in modo brusco: la predilezione per il campo medio e lungo rende la sparatoria impassibile, priva di pathos e la distanza visiva viene cucita dai volumi sonori della sorda detonazione delle armi.
L'ambientazione dell'ultima parte di "Cloud" è forse il vero protagonista della macrosequenza action. Si tratta di una fabbrica abbandonata, che rammenta il set di "Serpent's Path", che Kurosawa riprende con angoli ampi mostranti i diversi livelli e piani, così come i movimenti di macchina sottolineano le scale e il reticolo di tubature, la fotografia taglia le zone d'ombra e le transizioni buio-luce. Un labirinto dove perdersi, un inferno post-industriale da cui provare a uscire non redenti bensì condannati: in tale traiettoria, Yoshii sembra scuotersi dal torpore di un'apatia - mirabilmente resa dal volto indecifrabile di Masaki Suda - con cui aveva attraversato l'intera narrazione. Sul finale sembra scorgere in quel viaggio in macchina insieme a Sano, che appare ora più sicuro e ben più esperto del mondo di lui, l'ingresso verso l'inferno.
In quella pietra miliare che fu "Kairo", il monitor del computer rifletteva l'alienazione individuale, la rete disintegrava le connessioni umane e dunque trasmutava il corpo in ectoplasma, la realtà del mondo in quella degli inferi. In "Cloud" i sentimenti e gli impulsi più deteriori dell'essere umano covano e si rafforzano su internet per poi rompere gli argini agendo nel mondo reale in un processo di incorporazione. E l'istinto di sopraffazione, violento sia in campo economico sia nel richiamo atavico dello scontro, non conosce né limiti di tempo né limiti di spazio ed è il gioco a cui ciascuno a suo modo sta partecipando. L'inferno non sono solo gli altri.

[1] J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 1964, p. 29.
[2] Cfr. R. Bartle, Designing virtual worlds, New Riders Publishers, Berkeley 2004, p. 155-6.
[3] M. Montola, Exploring the Edge of the Magic Circle: Defining Pervasive Games, Game Research Lab, University of Tampere, 2005.


16/04/2025

Cast e credits

cast:
Masaki Suda, Kotone Furukawa, Daiken Okudaira


regia:
Kiyoshi Kurosawa


titolo originale:
Kuraudo


distribuzione:
Minerva Pictures


durata:
123'


produzione:
Nikkatsu


sceneggiatura:
Kiyoshi Kurosawa


fotografia:
Hidenori Nagata


scenografie:
Kyoko Matsui


montaggio:
Koichi Takahashi


costumi:
Haruki


musiche:
Shinji Watanabe


Trama
Ryosuke Yoshii (Masaki Suda) lavora in una piccola fabbrica e guadagna soldi come rivenditore con lo pseudonimo di Ratel. Commercia dispositivi medici, borse, statuette… Compra a basso prezzo, vende a caro prezzo: questo è tutto. Muraoka (Masataka Kubota), un compagno di classe dei tempi dell’istituto tecnico che ha insegnato a Yoshii i trucchi della rivendita, lo avvicina con una proposta potenzialmente redditizia, ma lui la rifiuta per continuare a dedicarsi a questa attività, di dubbia moralità ma redditizia. Per Yoshii, infatti, l’unica cosa che conta è arricchirsi. Tanto che arriva a rifiutare una promozione dal suo datore di lavoro, Takimoto (Yoshiyoshi Arakawa), mettendo fine ai suoi tre anni di lavoro e dimettendosi all’istante. Affitta una casa in riva al lago fuori città per scopi sia abitativi che lavorativi e inizia una nuova vita con la sua ragazza, Akiko (Kotone Furukawa).
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