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recensione di Simone Loi
4.0/10

Elliot è un avvocato che lavora per una multinazionale farmaceutica, rimasto solo con la figlia adolescente Ridley dopo la morte della moglie. Nel tentativo di costruirsi un futuro prospero, i due si accingono a raggiungere la tenuta dei Leopold, plutocrati datori di lavoro di Elliot, il quale spera di ottenere da loro un incarico che possa garantirgli la più totale sicurezza economica; tuttavia, i piani si complicano durante il tragitto, quando padre e figlia si ritrovano improvvisamente coinvolti in un incidente, investendo un animale selvatico. La sorpresa è che non si tratta di un esemplare appartenente alla consueta fauna locale, bensì di un cucciolo di unicorno.

In questo modo, l’incipit dell’opera prima di Alex Scharfman cerca di porre le basi per un film dai tratti indubbiamente originali, anche se già in partenza viziato da alcune dinamiche piuttosto incongrue, come le modalità con cui si realizza l’incidente o la scelta dei protagonisti di caricare il corpo dell’animale nel proprio bagagliaio. L’impostazione claudicante del film è però solo il preludio a un’operazione che vanifica ben presto la potenziale peculiarità del soggetto, impantanandosi in un tentativo poco riuscito di commistione dei generi, tra dark comedy e fantasy horror.

La ricerca della vena comica appare da subito particolarmente marcata, attraverso situazioni grottesche che toccano l’apice quando a schermo compaiono gli oligarchi farmaceutici, tanto avidi di soldi e potere quanto poco intelligenti. Nel voler ridicolizzare ogni gesto e ogni sfaccettatura dei Leopold è sicuramente rinvenibile la voglia di decostruzione della mitopoietica capitalista, insistendo pesantemente sull’ottusità e sulla totale assenza di etica radicate nei magnati, bramosi di monopolizzare a ogni costo la rivoluzionaria scoperta scientifica della nuova specie.

Tuttavia, nel farlo, il film si assesta su schematismi semplicistici, attraverso una configurazione estrema e macchiettista di personaggi e circostanze, che sconfina fin troppo spesso nel demenziale e perde di fatto il mordente politico della critica anticapitalista sottesa. Ciò che ne deriva è un eat the reach fagocitato da una retorica scontata, che si ispira alla potente irriverenza satirica di opere dello stesso stampo, ma che non può purtroppo contare sulla brillantezza di scrittura di "Triangle of Sadness" o sui feroci slowburn di "The White Lotus", né tantomeno proteggere la propria fragilità dietro una maschera languidamente patinata à la "Saltburn". 

In questo contesto, la piega horror verso cui vira gradualmente "Death of a Unicorn" potrebbe quindi diventare una svolta significativa, andando a controbilanciare la struttura instabile di partenza, ma risulta al contrario appiattita dalla mancanza di equilibrio. Gli elementi del monster movie e le immagini splatter sarebbero infatti ideali per rafforzare la sferzata distruttiva verso i megalomani industriali, se non fosse che la scarsa amalgama con l’impianto narrativo e una certa goffaggine di messa in scena ne limitano drasticamente l’impatto, fino ad assorbirne quasi completamente le possibilità espressive.

D’altro canto, a "Death of a Unicorn" non mancano degli spunti interessanti, che forse avrebbero solamente necessitato di una maggiore attenzione. La figura centrale dell’unicorno attinge difatti da un preciso immaginario medievale, che il film prova ad attualizzare coniugandolo con tematiche strettamente contemporanee. Il riferimento esplicito, parte integrante della sceneggiatura, è al ciclo di arazzi esposto al Metropolitan Museum of Art di New York intitolato "Caccia all’unicorno", che illustra la cattura e il soggiogamento della bestia mitologica, pronta a difendersi violentemente dalle angherie umane. La trappola mistica che i cacciatori utilizzano nel manufatto per attirare l’animale è una fanciulla pura, in grado di stabilire con esso un legame catartico, che nel film assume i connotati della Ridley interpretata da Jenna Ortega.

La giovane attrice di "Scream" e "Mercoledì" continua a dimostrare il suo talento anche con un personaggio non particolarmente profondo, riuscendo ad accentuare i timori e lo sconforto della sua generazione verso un senso di predestinazione apocalittica, dettato dall’ingordigia dell’essere umano nel suo rapporto con la natura. Il mito medievale vede quindi una trasposizione all’interno della questione ecologica, che implica l’involuzione secolare di una società in cui alle smanie di controllo aristocratiche si aggiungono anche gli interessi di vile sfruttamento economico. Anche in questo, però, la scrittura di Scharfman pecca di superficialità, non espandendo le riflessioni ambientali e soprattutto quelle bioetiche, preferendo invece adagiarsi su una facile raffigurazione manichea, che abbandona sullo sfondo la complessità delle tematiche coinvolte.

Di certo non aiuta la modesta qualità degli effetti speciali, in particolare una cgi piuttosto posticcia con cui sono realizzate la maggior parte delle inquadrature degli unicorni, che distoglie l’attenzione dai rimandi metaforici con il rischio di minimizzarli a meri espedienti per il sospingimento della trama, come accade ad esempio per l’irreversibilità della morte umana contrapposta alla continua capacità di rinascita e resurrezione della natura, incarnata dallo stesso unicorno.

Oltre al discorso sociale e universale, è poi presente una dimensione introspettiva, concentrata nel rapporto padre-figlia tra Elliot e Ridley. Si tratta di un’unione famigliare contenente i contrasti tipici dell’età adolescenziale, che deve fare i conti con l’elaborazione di un lutto condiviso e con l’attenzione paterna ad assicurare alla figlia prima di tutto l’agiatezza finanziaria, perdendone di vista i bisogni affettivi. Una relazione con importanti margini di sviluppo, ma troppo facilmente dispersa e tralasciata nella moltitudine tematica affrontata dal film, nonché ostacolata dall’approssimazione bidimensionale caratterizzante il personaggio di Elliot, che nemmeno le doti interpretative di Paul Rudd riescono in qualche modo a salvare. Soltanto nel finale il legame tra i due protagonisti torna prepotentemente al centro del racconto, ricalibrandosi sulla costruzione di un’intrigante connessione spirituale, che, per quanto non possa sopperire alle varie problematiche del film, riesce per la prima volta a riunire i vari argomenti trattati in un consolante sguardo di speranza verso il futuro.

"Death of a Unicorn" è in definitiva un’opera ricca di idee, ma incapace di farle esplodere creativamente. Con una sceneggiatura che scalfisce solo in superficie le potenzialità poliedriche del proprio soggetto e la mancanza di identitari sprazzi registici o visivi, Scharfman si dimostra probabilmente ancora troppo acerbo per un progetto di tale ambizione. Ciò che rimane è una buona occasione sprecata, fatalmente risucchiata in un conglomerato di sterile intrattenimento.


19/04/2025

Cast e credits

cast:
Jenna Ortega, Paul Rudd, Will Poulter, Téa Leoni, Richard E. Grant


regia:
Alex Scharfman


titolo originale:
Death of a Unicorn


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
107'


produzione:
A24, Ley Line Entertainment, Monoceros Media, Secret Engine, Square Peg, The Royal Budapest Film Co


sceneggiatura:
Alex Scharfman


fotografia:
Larry Fong


scenografie:
Amy Williams


montaggio:
Ron Dulin


costumi:
Andrea Flesch


musiche:
Giosuè Greco, Dan Romer


Trama
Elliot e Ridley, padre e figlia, sono in viaggio verso la villa del ricchissimo capo di Elliot, magnate di un’azienda farmaceutica. Lungo la strada investono per sbaglio un animale selvatico, che si rivela sorprendentemente essere un cucciolo di unicorno.
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