Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
7.0/10

doppia pelle

Nei romanzi di Michel Houellebecq il movimento centrifugo da Parigi è correlato alla crisi esistenziale dei protagonisti. Per fuggire da se stessi o da una situazione divenuta insostenibile, i personaggi abbandonano casa e lavoro, oppure partono per poi dilazionare il momento del ritorno, andandosi a rifugiare in piccoli paesi o località di villeggiatura deserte. Quando "Doppia pelle" inizia non conosciamo esattamente le motivazioni che hanno spinto Georges, interpretato in maniera sorprendentemente beffarda da Jean Dujardin, a mettersi in macchina per raggiungere uno sperduto paese di montagna. Durante il suo viaggio solitario, Quentin Dupieux si sofferma sulla sequenza in cui il protagonista, nel bagno di un autogrill, spinge con forza la sua giacca verde a coste nel gabinetto. È un passaggio la cui spiegazione, comunque del tutto irrazionale, si comprenderà solo nel corso del film e se si accetta il gioco dettato dall’umorismo grottesco e nonsense del regista.

L'uomo acquista una giacca di pelle di daino (le daim del titolo originale) per una cifra esorbitante: è al cento per cento made in Italy e ogni frangia è al suo posto lo rassicura l'anziano che gliela vende, il quale in una slancio di generosità gli regala anche una handycam digitale. Georges si rimira soddisfatto allo specchio che gli rimanda l’immagine di un uomo diverso. La sera, al bancone di un bar, chiede alla cameriera e a un’avventrice se stiano parlando della sua giacca, millantando che gli capita spesso trattandosi di un indumento fuori dal comune; quando le due donne gli chiedono cosa faccia nella vita, egli pensa alla custodia della videocamera che ha con sé e asserisce di essere un cineasta lì per delle riprese in solitaria.

Georges sembra non avere la più pallida idea di cosa stia facendo in quel paese, che evidentemente non conosce, perché in realtà la pelle di daino è un prodotto tipico dell'artigianato locale e nessuno è particolarmente impressionato dalla sua giacca. Riesce a trovare alloggio solo impegnando la propria fede in oro con il portiere in quanto è ormai senza un soldo: la moglie, forse ex, al telefono gli dice che per lei lui non esiste più. Insieme all’acquisizione del daim, la rimozione di ogni ponte con la sua esistenza precedente segna narrativamente la crisi identitaria del protagonista. L’oggetto diviene il feticcio a cui Georges aderisce intimamente fino a dargli voce, interpretandone i desideri ed eseguendone l'occulta volontà: "Le daim" si tramuta nell’abdicazione dell'inconscio di Georges a un oggetto inanimato. Cosa può desiderare una giacca di pelle di daino? Ovviamente l'eliminazione di tutte le altre giacche, che essa sia l'unica giacca del mondo e Georges l'unico a indossarla. Il bizzarro punto di partenza dà il la alla quest del nostro, che pedina le persone chiedendo loro di togliersi la giacca, con la scusa di stare girando un film. L'altro oggetto infatti quasi sempre presente in scena, benché meno vistoso e meno adorato da Georges, è proprio quella videocamera che gli permette di essere protagonista e di riorganizzare la realtà circostante a lui secondo nuove e deliranti regole. Lo schermo diviene dunque il teatro di una possessione filmata da un regista amatoriale: non è un caso che il primo dialogo tra Georges e la giacca si svolga attraverso il piccolo schermo LED della videocamera ma che, nel prosieguo, la regia utilizzi l'inquadratura della giacca poggiata sulla sedia come reaction shot sulle battute dell’uomo, fino a dei veri campi e controcampi con la voce di Georges fuori campo. La regia di Dupieux è tutt’altro che virtuosa, è anzi sobria e filma anche le scene più crude con un distacco sardonico e privo di enfasi. Parallelamente all’identificazione tra la giacca e il protagonista, in alcuni passaggi lo sguardo del regista aderisce a quello della videocamera di Georges: se questi sta filmando in soggettiva, allora l'inquadratura è una soggettiva, se invece la videocamera è poggiata per inquadrare in campo lungo l'azione di Georges, allora anche la macchina da presa filmerà tale campo lungo.

A seguirne le gesta, quasi una partner in crime, è Denise, la barista interpretata da Adèle Haenel, montatrice amatoriale che intuisce immediatamente come Georges non sia un vero regista ma, rimanendo affascinata dalle immagine girate, desidera collaborare con lui investendo nella produzione del film e motivando l'uomo con l’acquisto di altri indumenti in pelle di daino che ne completano la trasformazione. In questa follia criminale in cui la doppia pelle indossata da Georges è anche uno sguardo raddoppiato dalla presenza del dispositivo di ripresa, Dupieux solletica l’interrogativo morale sulla separazione tra artista e arte creata, senza mai però affondare il colpo. In tal senso, è senza dubbio interessante che il ruolo di Denise sia interpretato dalla Haenel, sia per la biografia dell'attrice sia per il suo ruolo attivo all'interno del MeToo francese (manifestato con forza anche durante gli ultimi premi César). È la sua presenza da pasionaria del cinema a divenire l'agente provocatore che permette a Georges di continuare a filmarsi ma anche a trovare un compimento al suo metamorfico arco narrativo.


30/04/2020

Cast e credits

cast:
Jean Dujardin, Adele Haenel


regia:
Quentin Dupieux


titolo originale:
Le daim


distribuzione:
Europictures Distribuzione


durata:
77'


produzione:
Atelier de production; Arte Cinema; Canal+


sceneggiatura:
Quentin Dupieux


fotografia:
Quentin Dupieux


scenografie:
Joan Le Boru


montaggio:
Quentin Dupieux


costumi:
Isabelle Pannetier


musiche:
Janko Nilovic


Trama
Georges, 44 anni, si lascia alle spalle casa, famiglia e tutto quanto durante la notte per isolarsi in un villaggio di montagna. Prima del suo arrivo, ha acquistato per oltre € 7.500 in contanti la giacca con frange in camoscio al 100% dei suoi sogni e che gli ha dato ai suoi occhi uno "stile malato". In un gesto commerciale, il venditore gli offre anche una nuova videocamera digitale che trasformerà Georges in un atipico regista...