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recensione di Luca Sottimano
7.0/10

È un film segnato dalla cupezza, l'atteso ritorno della coppia Gabriele Mainetti (regia) e Nicola Guaglianone (sceneggiatura) a cinque anni da "Lo chiamavano Jeeg Robot", in concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia. Le prime immagini mostrano Israel (Giorgio Tirabassi), padrone del circo "Mezza Piotta", che, guardando in macchina, invita a immergersi nella magia dello spettacolo; uno stacco e vediamo la sua compagnia in scena, intenta a incantare i tanti spettatori con mirabolanti magie ma intorno a loro c'è un'atmosfera buia, carica di oscuri presagi. C'è giusto il tempo di presentare i membri della compagnia, quando la realtà della Storia prende il sopravvento: dal cielo gli aerei bombardano il tendone e causano una strage tra i civili e la macchina a mano ci conduce tra la distruzione e la morte.

"Freaks Out" è ambientato nella Roma del 1943 occupata dai nazisti e racconta di Matilde (Aurora Giovinazzo), Cencio (Pietro Castellitto) Mario (Giancarlo Martini) e Fulvio (Claudio Santamaria) che vivono come fratelli nel circo di Israel. Quando quest'ultimo scompare misteriosamente, forse in fuga o forse catturato dai nazisti, i quattro "fenomeni da baraccone" restano soli nella città occupata e si mettono alla sua ricerca. Sulle loro tracce si mette un ufficiale nazista, Franz (Franz Rogowski), con l'obiettivo di ricevere l'approvazione dai gerarchi e salvare le sorti della guerra.
I protagonisti sono dunque un gruppo di "diversi" con particolari abilità: Matilde è una donna elettrica, Mario una calamita umana, Cencio attrae gli insetti, Fulvio è un uomo-lupo. Supereroi sui generis dotati di poteri, che, come per il protagonista di "Jeeg Robot", possono diventare, più che un dono, una maledizione e un fardello, causa anche dello stigma sociale: in questo aspetto, non sembra esserci molta differenza tra la Roma della Seconda Guerra Mondiale e quella attuale. La loro condizione li associa così a tutte le vittime del nazismo, come evidenzia lo stesso Israel, di fede ebraica e per questo perseguitato dal regime. Ed è un momento molto riuscito quando, tra i deportati, l'inquadratura si sofferma su una ragazzina con la sindrome di Down, ponendo l'attenzione su chi ha subito senza essere sempre ricordato nelle commemorazioni.

Rispetto all'opera precedente, del "Mainetti-Guaglianone touch" ritroviamo il desiderio di fare puro genere, il gusto per l'avventura, la passione per la storia, l'amore verso i personaggi ritratti con sguardo intimo e umano. Quanto la prima, low budget, riusciva a calare in una dimensione locale un genere e un immaginario estero, qui il respiro produttivo è sicuramente più ampio, da blockboster,  e i vari topoi sono funzionali per comporre uno svolgimento che trae il suo fascino dall'immediatezza e chiarezza delle situazioni e dalla semplicità dei personaggi. L'obiettivo è infatti quello di narrare prima di tutto una fiaba fantastica, ibridando diversi filoni (war movie, superhero movies, freak show, avventura) nella cornice di una delle pagine più drammatiche del Novecento. In questo senso, la caratterizzazione del villain a cui, aderendo all'inderogabile diktat del panorama contemporaneo, viene fornito un approfondimento psicologico, stona con il tono generale risultando troppo superficiale. Nelle disavventure dei quattro freaks appaiono prevalenti le dinamiche ironiche e comiche, guardando in particolare al Tarantino di "Bastardi senza gloria" nel tratteggio grottesco dei personaggi, al Jean-Pierre Jeunet di "Delicassen" (un'altra storia surreale su cui si posa l'ombra del nazismo, qui ricordato nella fotografia degli interni), ma soprattutto a un senso dell'intrattenimento spielberghiano.
Ai toni della farsa si intrecciano quelli della tragedia e, come evidenziava l'incipit, per tutto il film aleggia persistente un'atmosfera buia e plumbea, in cui a dominare sono la nebbia, il cielo scuro, la morte e le macerie. Questa dicotomia è incarnata in particolare dalla dimensione teatrale: come rimangono incantati gli spettatori dalle performance della compagnia di Israel, così anche Franz ha un proprio circo, che si riempie di gente desiderosa di divertirsi. Il montaggio alterna la loro inebriante festa alle scene della deportazione sui treni verso il campo di concentramento. La forza illusoria dello spettacolo di magia lascia il segno agli orrori della Storia.

"Freaks Out", in definitiva, risulterà meno diromperente rispetto a quel fulmine a ciel sereno che era stato "Lo chiamavano Jeeg Robot", ma rappresenta un'altra tappa nell'operazione di progressivo sdoganamento del blockbuster fiabesco-fantastico nel panorama cinematografico italiano, che mai prima d'ora aveva toccato questi lidi.


09/09/2021

Cast e credits

cast:
Franz Rogowski, Giancarlo Martini, Gianni Parisi, iAndrea Scifo, Max Mazzotta, Giorgio Tirabassi, Pietro Castellitto, Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria


regia:
Gabriele Mainetti


distribuzione:
01 Distribution


durata:
141'


produzione:
Goon Films, Lucky Red, Rai Cinema, GapBusters


sceneggiatura:
Gabriele Mainetti, Nicola Guaglianone


fotografia:
Michele D'Attanasio


scenografie:
Massimiliano Sturiale


montaggio:
Francesco Di Stefano


costumi:
Mary Montalto


musiche:
Gabriele Mainetti, Michele Braga


Trama
Nella Roma del 1943, in piena seconda guerra mondiale, si svolgono gli spettacoli del circo di Israel. Dopo la scomparsa misteriosa del proprietario, Matilde, Cencio, Fulvio e Mario, considerati da tutti dei "fenomeni da baraccone", si ritrovano soli senza la guida del loro padre putativo. I quattro "fratelli" cercano una via di fuga dalla città occupata dai nazisti.
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