Ondacinema

recensione di Stefano Santoli
8.0/10

La disciplina del free climbing è la scalata di pareti rocciose verticali senza alcuna protezione. Arrampicandosi cioè senza rampini, senza corde, con il solo uso delle dita delle mani e della punta delle scarpe. “Free Solo”, che ha vinto il premio Oscar per il miglior documentario nel 2019 (ed è disponibile sulla nuova piattaforma Disney+), racconta l’impresa compiuta da Alex Honnold, un free climber che nel giugno 2017 ha scalato El Capitan, una parete di roccia di circa mille metri di dislivello situata nel parco nazionale Yosemite in California, la cui scalata – estremamente ardua – non era mai stata tentata prima senza protezione.


Vita e morte

Fare free solo significa sfidare la morte. È questo prima di tutto: prima che una forma di “conquista dell’inutile”, parafrasando il titolo del libro in cui Werner Herzog racconta la lavorazione di “Fitzcarraldo”. È necessaria la prestazione perfetta. Come apprendiamo dal film, la precisione necessaria a riuscire in una scalata di free solo equivale a quella necessaria per vincere una medaglia d’oro olimpica. Con una differenza: se non esegui la prestazione perfetta, se meriti solo l’argento, muori. L’ultima parte del film, quella che illustra l’impresa compiuta da Honnold, è di rara suspence. L’apice della potenza adrenalinica, che può risultare insostenibile, è rappresentato dal momento in cui Alex affronta il passaggio in assoluto più ostico della scalata. Un passaggio che può essere affrontato solo in due modi: o con un piccolo salto nel vuoto (a centinaia di metri di altezza), o con una impegnativa mossa col piede, simil-karate. Alex decide (improvvisa) quest’ultima. La sa fare, certo. Ma attaccato a un cavo di sicurezza, che ora non ha.
Chi sfida in questo modo la morte, lo fa perché trova in quei momenti la dimensione in cui si sente veramente vivo. È un archetipo che accompagna la storia dell’uomo, e nel XX secolo vive nella prosa di Hemingway. Facendo free solo la morte non è solo un’ipotesi: si muore davvero. Il documentario, che gira tutto intorno a questo tema, lo dice chiaramente (anzi lo mostra, in una scena improvvisa che fa rabbrividire). Il documentario “Free Solo” è anche divulgativo circa uno sport estremo che è una delle pochissime ultime frontiere rimaste, nella nostra era, per il grande eroismo epico – quello che un tempo fu dei grandi esploratori temerari, gli ultimi dei quali probabilmente sono stati gli uomini inviati sulla luna in un’epoca in cui le sortite umane fuori dell’atmosfera erano ad altissimo rischio (come ricorda “First Man” di Chazelle).
Alcune analisi cliniche avanzano l’ipotesi che il segreto dell’impulso di Alex a sfidare la morte risieda nella sua amigdala, l’organo che gestisce le emozioni e la paura. L’amigdala di Alex lavora in modo dissimile dalla media: ciò spiegherebbe non solo il suo rapporto con la paura di morire, ma soprattutto la necessità di stimoli eccezionali per percepire l’emozione della vita.


Rappresentare la morte? Causare la morte?

Uno dei più celebri scatti fotografici di tutti i tempi è “Morte di un miliziano lealista” di Robert Capa, che è sempre stato oggetto di controversie anche morali per il suo soggetto. “Free Solo” tematizza la possibile rappresentazione della morte, in più occasioni oggetto di discussione esplicita fra i registi, Alex stesso e la sua fidanzata. Toccando così il punto eticamente più delicato del più generale problema estetico del rapporto tra reale e sua rappresentazione. Le questioni in concreto sono due. La prima è che Alex può morire e la sua morte può venire ripresa. Cosa ne sarà del film? Viene in mente ancora Herzog, che in “Grizzly Man” rifiuta di mostrare la morte del protagonista, riprese audiovisive che il grande cineasta non ha reso pubbliche.
La seconda questione è ancora più delicata: se Alex morirà, potrebbe essere colpa di una distrazione dovuta all’interferenza di chi lo sta riprendendo con mezzi tecnici che, per quanto il meno invasivi possibile, non c’è modo di evitare del tutto che lo influenzino (anche psicologicamente) con la loro presenza: comunque si tratta di droni che gli ronzano attorno e macchine da presa piazzate a varie altezza sulla parete rocciosa. E in qualche caso vediamo Alex ammiccare in macchina.
Alex non scala El Capitan al primo tentativo. Una prima volta si blocca e torna indietro, ancora prima del sorgere del sole, partito in piena notte con casco provvisto di torcia. Gli era mancata la sicurezza necessaria, anche per colpa del circo mediatico che gli gravita intorno, fra cui i registi del film in primissima linea. Al secondo tentativo ce la fa, anche perché i registi, più consapevoli del problema costituito dalla loro invadenza, cercano accorgimenti per essere meno invasivi. Il film non precisa nel dettaglio quali siano questi accorgimenti. Così come non osa dire che destino avrebbe avuto, il film, se ad Alex fosse andata male. Ambiguità che riflettono forse le medesime incertezze con cui il protagonista affronta la propria stessa sopravvivenza.


23/04/2020

Cast e credits

cast:
Alex Honnold


regia:
Elizabeth Chai Vasarhelyi, Jimmy Chin


titolo originale:
Free Solo


distribuzione:
Itaca srl


durata:
100'


produzione:
Elizabeth Chai Vasarhelyi, Jimmy Chin, Shannon Dill, Evan Hayes


fotografia:
Jimmy Chin, Clair Popkin, Mikey Schaefer


montaggio:
Bob Eisenhardt


Trama
Storia dell'impresa compiuta dall'arrampicatore Alex Honnold, primo al mondo a scalare in free solo la parete "El Capitan", nello Yosemite National Park in California, il 3 giugno 2017