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recensione di Antonio Pettierre
8.0/10

Quando la dottoressa Stone gira su se stessa sperduta nello Spazio, dopo che lo sciame di detriti spaziali colpisce lo Shuttle e il telescopio Hubble distruggendoli, Cuarón muove la macchina da presa fino al primo piano del personaggio preso dal panico. Lentamente si passa la visiera del casco e lo sguardo gira fino a trasformarsi in una soggettiva (una delle due utilizzate in tutto il film). Lo spettatore, in quel preciso istante, è dentro la tuta e vede i colori e le luci del pianeta Terra e il nero dello Spazio come in una centrifuga, in un movimento circolare senza controllo, perché la visione è senza controllo nella vastità del nulla. Per poter vedere devi avere punti di riferimento - così come nella vita così anche nel cinema - e Stone li ha persi tutti. Metafora della difficoltà dell'essere umano nel cercare di avere certezze emotive. E del resto, lo sciame di rifiuti colpisce ogni novanta minuti per sconvolgerti emotivamente e fisicamente. Ogni novanta minuti, la durata di un film, come a dire che il cinema colpisce nel profondo la mente dello spettatore.
La metafora metacinematografica è la più intensa e autoriale di "Gravity", come se Cuarón ci dicesse che l'atto del guardare è la necessità primaria per poter essere, esistere.

Alfonso Cuarón fa parte della ormai affermata "Scuola messicana" del cinema contemporaneo (insieme ai sodali Guillermo del Toro e Alejandro González Iñárritu). Stessa provenienza, gusti cinematografici simili, cura della messa in scena, grande capacità di utilizzare gli strumenti cinematografici, percorsi produttivi paralleli (tra Messico e Stati Uniti, i tre registi hanno fatto piccoli film e grandi produzioni con le major e star hollywoodiane), Cuarón fa del cinema spettacolare, ma tenendosi ancorato a temi personali ricorrenti: la solitudine, la visione della morte, la ri-nascita, così come li aveva già affrontati nella sua precedente opera, "I figli degli uomini", in un futuro distopico, una società morente dove non nascono più bambini.

Alfonso Cuarón utilizza il genere fantascientifico per narrare i temi che gli stanno più a cuore, come il suo amico Guillermo del Toro, ma lo fa restando legato a una realtà tecnologica e umanistica del tutto verosimile e possibile: la sterilità biologica della razza umana, per l'inquinamento e la dissoluzione sociale, oppure l'incidente spaziale (non tanto remoto, visto che sopra la nostra testa ormai il volume di detriti spaziali è diventato tanto alto che lo scienziato Donald J. Kessler ha formulato una tesi - la Sindrome Kessler - che teorizza una reazione a catena con scontri esponenziali dei satelliti che porterebbe a un blocco del loro utilizzo per generazioni).
Il regista messicano con "Gravity" compie un'operazione di ribaltamento del canone della missione spaziale dove l'estensione ontologica allo Spazio, verso l'esterno e l'approdo a un nuovo mondo, viene sostituito da un ritorno alla Madre Terra. Un'introflessione umanistica per cercare la salvezza, contro l'estroflessione tecnologica che porta la distruzione e la morte, ispirandosi più al cinema di Andrej Tarkovskij e Stanley Kubrick piuttosto che ad "Apollo 13" di Ron Howard.

In questo contesto, un secondo tema portante è quello della ri-nascita dell'uomo (anzi della donna, riaffermazione del femminino come elemento di fertilità e simbolo di vita). Il cavo che collega i due astronauti è un cordone ombelicale; la Soyuz diventa un utero biomeccanico per rigenerare una Ryan Stone sull'orlo della morte e la ripresa in campo medio all'interno della base spaziale russa mette in quadro un feto fluttuante nel vuoto amniotico dello Spazio; la caduta sulla Terra con la navicella cinese è un seme che fa rifiorire la vita; l'acqua del lago (mare?) è la culla della vita. Il personaggio si libera dello scafandro, della pelle artificiale morta, per risorgere e striscia boccheggiante sulla spiaggia argillosa, per poi faticosamente mettersi ritta e camminare.
L'evoluzione della vita: il carbonio che arriva dallo Spazio, la vita che cresce nell'acqua, pesce, anfibio, rettile, scimmia, homo sapiens.

Ma prima di tutto ciò, assistiamo al silenzio dello Spazio infinito in un alternarsi di claustrofobia/ agorafobia continua per tutta la durata filmica di "Gravity". E la pesantezza della gravità non è quella  fisica, ma etica. Il peso emotivo dei ricordi grava sull'animo di Ryan Stone (dal nome maschile e che si rileverà dura come una pietra - nomen, omen). Le fa da contraltare il comandante della missione Matt Kowalsky, guascone e professionale, freddo nelle azioni e caldo nelle emozioni, fino al gesto estremo, che si trasformerà in sogno, in una particella della memoria della donna, un innesto emotivo che muterà la Stone per sempre.

Film di effetti speciali, "Gravity" fa un uso del CGI funzionale alla ricostruzione realistica dell'ambiente spaziale, e lo stupore è tanto più grande quanto esso si avvicina al reale. Effetti speciali, quindi, non per creare illusioni o mettere in scena fantasie, ma per replicare il reale. Così come è funzionale il 3D, mai invasivo e che potenzia gli elementi spaziali extraterrestri ed extraveicolari, anche qui un ribaltamento del loro scopo con un'estensione tecnologica implicita nella macchina-cinema come riproduzione della realtà.
Presentato in prima mondiale all'ultima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, "Gravity" di Alfonso Cuarón è un'opera sull'uomo e sulla sua caducità, di intensa emotività e di nitida bellezza, dove il tutto della messa in scena è più importante della somma dei suoi dettagli (compresi i personaggi, interpretati da Sandra Bullock e George Clooney al servizio dell'opera e del suo autore).


01/10/2013

Cast e credits

cast:
Sandra Bullock, George Clooney


regia:
Alfonso Cuarón


titolo originale:
Gravity


distribuzione:
Warner Bros Italia


durata:
92'


produzione:
Esperanto Filmoj, Heyday Films, Warner Bros. Pictures


sceneggiatura:
Alfonso Cuarón, Jonás Cuarón


fotografia:
Emmanuel Lubezki


scenografie:
Andy Nicholson


montaggio:
Alfonso Cuarón, Mark Sanger


costumi:
Jany Temime


musiche:
Steven Price


Trama

La dottoressa Ryan Stone è una brillante ingegnere biomedico alla sua prima missione spaziale insieme al veterano Matt Kowalsky. Durante quella che doveva essere una passeggiata di routine, succede l’imprevisto. La navicella viene distrutta colpita dai detriti di un satellite e i due astronauti sono abbandonati a loro stessi, legati l’uno all’altra mentre precipitano nel buio dello Spazio.  

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