horror | Usa (2024)
Ci sono domande che accompagnano l’essere umano sin dall’alba dei tempi, frutto di una curiosità atavica probabilmente inscindibile dall’intelletto. Le questioni esistenziali sul senso della vita, su cosa accada dopo la morte o sulla presenza di una qualche forma divina sono tutte impregnate di un’incertezza insormontabile, a cui cerchiamo incessantemente di dare risposta. Le religioni sono l’esito di questo processo: complessi di credenze, ritualità, dogmi e regole più o meno stringenti, valori e sentimenti che convergono in una forma strutturata, fari di speranza a cui affidarsi per colmare le lacune dello scibile. Scott Beck e Bryan Woods partono da questi presupposti per imbastire un tentativo di riflessione fenomenologica sui concetti che ruotano intorno alla religione, contrapponendo pragmaticamente l’agnosticismo razionale alla cieca devozione, per mostrare come un paradigma fideistico che non ammette il dubbio stazioni in equilibrio precario sul baratro della manipolazione.
Sorella Barnes e Sorella Paxton sono giovani missionarie della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che fanno proselitismo porta a porta per cercare di convertire le persone che si dimostrano interessate a conoscere il loro credo nella tranquillità di una cittadina del Colorado. Tra questi c’è anche il cordiale signor Reed, che accoglie le due ragazze nella propria villetta isolata sulla cima di una collina per dar loro riparo da un’imminente tempesta. L’incipit di "Heretic" lascia dunque presagire senza troppi fronzoli la strada che intende intraprendere, quella di un survival horror canonicamente indirizzato a chissà quali perverse sevizie, anche attraverso una regia languidamente didascalica nel soffermarsi sui dettagli che rendono credibile lo scontato intrappolamento delle protagoniste nella tana del "lupo cattivo". Tuttavia, come detto, l’intenzione dei registi si dimostra dopo poco ben diversa, virando verso uno sviluppo più complesso e decisamente inatteso.
Reed non è infatti presentato come un mostro demoniaco né come una nuova variante raffinata di Leatherface. Si tratta al contrario di un ricercatore, che seppur in una spirale di estremismo psicopatico, vuole quasi accademicamente sperimentare la propria tesi per dimostrarne la veridicità. Si dipana così una fluviale dialogica tra i personaggi, dove il teorico antireligioso si addentra in un’esposizione stimolante sul rapporto ontologico tra fede, verità e dottrina, soffermandosi sulla matrice capitalista che governa le istituzioni spirituali e sul significato di iterazione narrativa dei contenuti. Il tutto sostenuto da una scrittura inizialmente brillante e provocatoria, sia nelle sarcastiche comparazioni pop (le religioni come il Monopoly o Gesù come Jar Jar Binks) sia nella sfida intellettuale posta a delle interlocutrici che incarnano quella stessa sacralità destrutturata, riuscendo contestualmente a mantenere viva l’aspettativa angosciante di una degenerazione ‒ visiva e concettuale ‒ difficile da prevedere.
Nonostante gli ottimi spunti iniziali, il film non trova però il modo di proseguire verso un climax originale e spiazzante. La sceneggiatura di Beck e Woods, già autori di "A quiet place", non riesce a sviluppare nitidamente le proprie idee di partenza, finendo per arrovellarsi sui passaggi teorici delle ipotesi di Reed e sfruttandoli come impulso per una trama che ripiega su un gioco cervellotico ripetitivo e poco incisivo. La tensione sinistra aleggiante nella casa che ospita la pressoché interezza della pellicola non esplode, ma viene reiterata all’infinito, limitandosi a sospingere una retorica enigmatica. Riempiendosi di simbolismi elementari (l’architettura verticale come quella di un girone infernale) e congetture filosofiche ridondanti nella storia del cinema (il dubbio cartesiano tra realtà e finzione dichiaratamente ripreso da "Matrix" o la sperimentazione ascetica di "Martyrs"), "Heretic" ruota senza sosta intorno alle interessanti considerazioni che introduce, mentre il dibattito tra tesi e controtesi diventa gradualmente più superficiale e arranca verso un finale vago e confuso, che preferisce non prendere una vera posizione sul discorso implicitamente politico delineato per tutta l’opera.
D’altro canto, dal punto di vista estetico, i due registi muovono la macchina da presa con astuzia, attraverso sequenze lente e spesso indugianti sulle microespressioni dei protagonisti, ispirandosi alla regia polanskiana di "Rosmery’s Baby" per alimentare l’inquietudine ansiogena nello spettatore. Ciò si interseca con l’ottima fotografia di Chung Chung-hoon, storico collaboratore di Park Chan-wook, che gestisce la penombra e i chiaroscuri con grande efficacia, esaltando l’angustia e la claustrofobia sempre più prepotenti degli spazi nella discesa verso le fondamenta. L’indubbia presenza di qualità artistiche è però allo stesso tempo schiava dell’eccessiva razionalizzazione che permea la struttura narrativa: "Heretic" si preoccupa costantemente di giustificare logicamente ogni dettaglio, anche visivamente, con una sovrabbondanza di elementi puramente funzionali alla prosecuzione della storia, tralasciando la valorizzazione delle proprie possibilità espressive, che non riescono così a sfociare in immagini evocative o particolarmente destabilizzanti.
Anche i tre protagonisti finiscono per essere vittime del raziocinio autoriale, con motivazioni poco comprensibili e tratti caratterizzanti rimodellati arbitrariamente per portare avanti la trama. La loro profondità viene quindi sacrificata in favore di uno schema prefissato, per quanto ciò non tolga valore alle ottime interpretazioni degli attori. Hugh Grant si dimostra un caratterista poliedrico che, raggiunta una definitiva maturità artistica, ha abbandonato il typecasting da rom-com per spaziare tra i generi, interpretando con misurazione il personaggio di Reed ed evitando di eccedere in derive istrioniche, così da coglierne al meglio la subdola spietatezza. Anche Sophie Thatcher, potenziale nuova scream queen in ascesa dopo "Companion", e Chloe East, lanciata da Spielberg in "The Fabelmans", danno prova delle loro capacità, incarnando con una minuziosa gestualità la dicotomia tra Barnes e Paxton, due ragazze unite dalla fede e dall’indottrinamento ma con spirito critico e stili di vita differenti, per quanto anche questa intrigante prospettiva di parallelismo si riassorba lentamente durante il corso del film.
"Heretic" è dunque un’opera che cerca di utilizzare il linguaggio dell’horror religioso per proporre un’esplicita analisi speculativa sul misticismo artificioso e la sete di potere. Ricoprendosi però di una verbosità viscosa e piuttosto inconcludente, si dimentica di completare la ricerca della paura primordiale e di esaltare la rappresentazione della trascendenza orrorifica, pur dimostrando a più riprese di averne perfettamente le capacità. Sicuramente un esperimento alettante nelle premesse, ma che purtroppo si inabissa nel suo morboso intellettualismo.
cast:
Hugh Grant, Sophie Thatcher, Chloe East, Topher Grace
regia:
Bryan Woods, Scott Beck
titolo originale:
Heretic
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
111'
produzione:
A24, Beck/Woods, Catchlight Studios, Shiny Penny
sceneggiatura:
Scott Beck, Bryan Woods
fotografia:
Chung Chung-hoon
scenografie:
Philip Messina
montaggio:
Justin Li
costumi:
Betsy Heimann
musiche:
Chris Bacon