Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

Che interesse può suscitare un film il cui incipit contenga elementi che lasciano già esplicitamente intravedere la conclusione della vicenda narrata? Domanda tutt’altro che oziosa, ma che in realtà contiene in nuce il segreto alla base di ogni testo di successo, filmico, letterario o musicale che sia: la sua appetibilità. Il fatto cioè che lo spettatore, il lettore o l’ascoltatore venga coinvolto e si identifichi nel protagonista in modo così indissolubile da volerne rivivere e condividere emotivamente le esperienze. È il caso de "Il ragazzo dai pantaloni rosa", film che, ispirandosi a fatti realmente accaduti, assurge ad esempio di come si possa trattare un tema come quello del bullismo e del cyberbullismo adottando una prospettiva singolare, innovativa e perciò stesso avvincente.

Scegliendo infatti di narrare la vita di un adolescente dal suo punto di vista, ma collocando le sue riflessioni in un lasso temporale che è esterno alla vita stessa, si dà ad esse una dimensione più profonda e un’etica più consapevole grazie a uno sguardo narrativo privilegiato. Il protagonista, che rievoca le proprie vicende, le filtra attraverso una nitida luce binoculare che ripercorre i fatti e contemporaneamente li intesse con commenti lapidari e toccanti che restituiscono allo spettatore la dimensione del giovane che è ormai diventato adulto. Taluni giudizi, come “In adolescenza, se ti senti vincente o perdente pensi che lo sarai per tutta la vita” da un lato sospingono lo spettatore sulla strada empatica dell’immedesimazione nel protagonista, dall’altro su quella del confronto con sé stesso. Si diceva dell’incipit, all’interno del quale l’espressione raggelante “Oggi avrei avuto 27 anni. Avrei avuto. Se non avessi avuto l’idea di…” non frena bensì alimenta la curiosità dello spettatore.

Il protagonista, Andrea Spezzacatena, è un adolescente di 13 anni estremamente sensibile che vive in una famiglia dalla serenità solo apparente e nella quale si preoccupa prima degli altri che di sé stesso. Emblematici, in questo caso, i commenti che con fare interrogativo la suocera rivolge alla nuora. Il nucleo familiare di Andrea è gravato dalla precarietà lavorativa, clichè tuttavia fin troppo trito perché la sceneggiatura vi si concentri facendone un nodo tematico del film. Margherita Ferri, la regista, preferisce infatti rivolgere la sua macchina da presa verso ben altro: il sordo logorio affettivo che demolisce la solidità dei rapporti umani all’interno della famiglia, ad esempio. Il protagonista, a riprova del suo acume, non ignora il problema, chiede solo il perché. Sono invero tanti i perché di Andrea. E sono tutti rivolti agli adulti e dalla prospettiva di un giovane il quale, suo malgrado, si ritaglia una bolla al cui interno tentare di crescere in fretta. Ma, come gli ribadisce la coetanea Sara, egli è ancora piccolo. Premuroso nei confronti del fratello minore Daniele quando si paventa la separazione dei genitori, desideroso di arginare ogni possibile scintilla d’attrito tra di essi, giunge al punto di rinunciare all’intercessione della madre presso il padre per limitare le conseguenze di una guasconata a scuola.

Per quanto riguarda la grammatica di regia, il punto di vista di Andrea è garantito innanzitutto dal fatto che egli è quasi costantemente nell’inquadratura, di lato quando si confronta con gli adulti, soprattutto con la madre. Talvolta, il suo porsi in un certo senso già adulto viene significato, oltre che dalle parole, dalla posizione della macchina da presa; come quando, in un confronto con il padre, pur rimanendo seduto appare più in alto rispetto a quest’ultimo. Il confronto con gli altri adolescenti, soprattutto a scuola, è rappresentato in modo più vario, collocando le inquadrature all’altezza del volto protagonista, oppure isolandolo dagli altri, come in occasione delle scritte derisorie alla lavagna. L’ambivalente rapporto di amore-odio con "l'amico" Christian è preannunciato da un’inquadratura che prima mostra il volto del protagonista e poi, senza stacco, viene rivolta verso l’aiutante-antagonista. Il bullismo e il cyberbullismo si concretizzano nelle offese, sovente anche in voice-over per evidenziare la pervasività, l’anonimità, l’incontrollabilità del pettegolezzo, e nell’amaro commento del narratore (“la tecnologia ti insegue ovunque”). In neanche due ore di pellicola, il regista riesce perfino a congegnare un inserto metacinematografico, con Andrea e Sara che vanno al cinema, condividono questa passione e si scambiano le rispettive impressioni. Il diario con le recensioni che Andrea consegna a Sara è più di un regalo di compleanno; è la reificazione del lascito che la regista consegna a tutti gli adolescenti.

Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film non esente da imperfezioni, ma i suoi pregi sono nettamente prevalenti: una sceneggiatura che deve la sua solidità alla congrua trattazione di quanto promesso in apertura, alla regolarità della linea narrativa, alla coerenza con la quale sono costruiti i personaggi e all’evidenza delle loro funzioni (l’ambiguità di Christian è ovviamente inevitabile per la riuscita della storia). Se un appunto può esser fatto, la quantità di scene in cui la musica extradiegetica copre i dialoghi risulta eccessiva, anche se queste possono essere lette come momenti nei quali il protagonista, indulgendo alla sognante dimensione del ricordo, fa sfumare il dettato letterale delle parole. Anche il ricorso al rallenti, più volte ripetuto, rischia di essere manieristico, per quanto efficace e coerente con lo stato d’animo del protagonista in occasione dei gesti di bullismo: dilatare la durata dei tempi riferiti ai maltrattamenti amplifica la dimensione della loro intollerabilità. La regista è alla sua seconda opera incentrata sul bullismo, dopo "Zen sul ghiaccio sottile" (2018). Rispetto al film d'esordio, rinunciando agli intermezzi costituiti dai paesaggi naturali, vengono meno anche le relative istanze metaforiche: il regime narrativo de Il ragazzo dai pantaloni rosa è decisamente più forte. in questo film, d'altra parte, si ripropongono alcune scene scene significative, quali l'abbraccio consolatorio tra figli e genitori e figli o il procedere del protagonista nei corridoi della scuola tra gli sguardi carichi di disprezzo dei compagni. Volgendo lo sguardo oltreconfine e prendiamo in considerazione "Cyberbully - Pettegolezzi on line" (2011), di Charles Binamé, la Ferri mostra maggior cura nel delineare i personaggi e i dialoghi. Il ragazzo dai pantaloni rosa regge bene anche il confronto con opere mature. Per la vertigine che precipita Andrea in una crisi identitaria così forte da spingerlo ad aderire in toto all’immagine cucitagli addosso dai suoi persecutori, tanto da tingersi le unghie, il protagonista ricorda la seconda parte de "L’inquilino del terzo piano" (1976); con la differenza che nel film di Roman Polanski il fatale tumulto interiore appare sotto una luce più inquietante per le scelte di fotografia e perchè tale travaglio non può essere nemmeno confidato a persone fidate. 


24/11/2024

Cast e credits

cast:
Maurizio Jiritano, Settimo Palazzo, Corrado Fortuna, Sara Ciocca, Claudia Pandolfi, Andrea Arru, Samuele Carrino


regia:
Margherita Ferri


titolo originale:
Il ragazzo dai pantaloni rosa


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
114'


produzione:
Eagle Pictures, Weekend Films


sceneggiatura:
Roberto Proia


fotografia:
Martina Cocco


scenografie:
Lily Pungitore


montaggio:
Mauro Rossi


costumi:
Giorgia G. Maggi


musiche:
Francesco Cerasi


Trama
Il giovane Andrea Spezzacatena, vittima di bullismo, decide di torgliersi la vita il giorno del suo quindicesimo compleanno.