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recensione di Antonio Pettierre

Autore atipico del panorama cinematografico nazionale, Elio Petri è stato il regista che più di ogni altro è riuscito a raccontare gli anni 60 e 70 dell'Italia proletaria e piccolo borghese, con le sue contraddizioni di fondo, utilizzando sempre con maestria un complesso linguaggio cinematografico fatto di una scrittura solida e stratificata e di una messa in scena controllata e funzionale.  "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" compone una trilogia con "La classe operaia va in paradiso" e "La proprietà non è più un furto" che vide la collaborazione alla sceneggiatura e all'ideazione narrativa tra il regista romano e Ugo Pirro. Il sodalizio tra i due si basò sulla comune necessità di raccontare le trasformazioni della società italiana in atto e lo scontro di classe nelle sue diverse espressioni. Tutto questo all'interno di stilemi e temi che però elevarono i film dal contesto meramente storico, rendendoli universali e superando le barriere geografiche e temporali.
In particolare, "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" è interessante per differenti motivi: come esempio di cinema politico, dichiaratamente di denuncia; per l'accurata analisi e narrazione psicologica dei personaggi; per l'utilizzo conscio delle potenzialità ludiche della  macchina-cinema.   


Il gioco  del delitto

La prima sequenza di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" ci mostra un uomo che entra in un palazzo elegante e antico nel centro di Roma. L'uomo ha un appuntamento con una donna all'interno di un appartamento barocco. Mentre hanno un rapporto sessuale l'uomo uccide la donna. L'omicidio avviene in scena, ma non è visibile, con i corpi dei protagonisti nascosti sotto le lenzuola nere. Lo spettatore sente il rantolo della donna ripresa di spalle e solo dopo vede l'uomo nudo coperto di sangue. L'uomo si lava, si veste e poi, con estrema meticolosità, lascia indizi e tracce della sua presenza nell'appartamento. Mentre esce dal cancello del palazzo viene visto da un giovane che sta entrando e non fa nulla per evitarne lo sguardo.
Il giallo di Elio Petri inizia con un assassinio, dove l'omicida è parte attiva dell'indagine, perché il carnefice è un Commissario di Polizia che rimarrà senza nome (interpretato da uno straordinario Gian Maria Volonté) e che sarà chiamato da tutti con il titolo di "dottore". Il gioco di Petri è scoperto: il delitto diviene il meccanismo dove il Commissario è l'icona del potere poliziesco tout court. Il tono grottesco, surrealistico, dell'indagine e del mondo, dove si muove il Commissario, impregna i contenuti e la struttura filmica e profilmica: la colonna sonora di Ennio Morricone, fin dall'inizio, con il tema principale, detta e descrive la gestualità corporea e i movimenti attoriali sia del Commissario sia della vittima - Augusta Terzi (Florinda Bolkan) una ricca annoiata, appartenente all'alta borghesia romana; la messa in quadro di Petri è puntuale ed esteticamente elegante, alternando primi piani a dettagli e particolari, sia della scena sia dei corpi, con movimenti di macchina fluidi; la fotografia di Kuveiller vira su colori caldi e morbidi, con la luce compatta ed estesa per tutta la scena; la scenografia e i costumi passano da temi orientaleggianti e in stile liberty dell'appartamento della Terzi all'architettura funzionale e asettica degli uffici della Questura, fino all'arredamento scarno, sofisticato e post-moderno dell'appartamento periferico del Commissario.
L'omicidio iniziale è nella struttura diegetica l'ultimo atto di una serie di prove, di finzioni, di vere e proprie messe in scena di delitti diversi presi dalla cronaca, che il Commissario e la Terzi si divertono a interpretare, a mimare, sempre preludio o seguito dei loro incontri sessuali (in una sovrapposizione tra sesso, sangue e potere che crea un legame necrofilo tra vittima e carnefice). Tutto questo è mostrato da flashback disseminati durante il tempo filmico, a comporre il quadro generale della storia. E l'aspetto ludico diviene cifra stilistica grottesca del personaggio del Commissario, che viene redarguito dalla sua amante di essere un "bambino", di essere infantile e "sessualmente incompetente". Un bambino-adulto che gioca a fare il poliziotto (regista della rappresentazione dei delitti in una proiezione tra chi è dietro e chi è davanti la macchina da presa, dove il cinema diventa detection del nesso causa-effetto delle azioni dei personaggi) e che si raddoppierà in adulto-bambino autore del vero delitto, in una dualità schizofrenica caratterizzante il personaggio.


Fenomenologia dell'esercizio del potere

"Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" è però soprattutto opera in cui viene messo in scena, in modo esplicito e coraggioso, l'esercizio del potere attraverso l'azione del Commissario. Gian Maria Volonté regala una delle sue prove interpretative più convincenti ed eclatanti. Lo spettatore assiste a un'immedesimazione che rasenta la fusione fisica e psicologica con il testo filmico, dove il corpo e la mente dell'attore sono strumento nelle mani del regista per la nascita di un personaggio complesso, pieno di sfaccettature psicologiche, arricchito da tic verbali (l'utilizzo grottesco dell'intonazione dialettale) e fisici (le smorfie facciali e il movimento delle mani e delle braccia, a sottolineare le interazioni con gli altri attori/personaggi all'interno della scena).
Il film fu scritto nel '68 e girato nel '69, in un momento storico-politico particolare per l'Italia, sullo sfondo della strage di Piazza Fontana, e all'inasprimento dello scontro sociale in atto,  e dell'affaire del commissario Luigi Calabresi, ritenuto il responsabile da un parte della sinistra extraparlamentare della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli alla Questura di Milano, e oggetto di una campagna stampa che sfociò poi nel suo assassinio nel '72.
In questo clima di tensione la pellicola fu messa sotto processo dalla censura per il soggetto narrato - per la rappresentazione che si faceva della Polizia (e molti videro nel personaggio del Commissario più di una somiglianza con Calabresi) -  e rischiò di non uscire nelle sale cinematografiche. Ma fu assolto dalla magistratura e riuscì a ottenere un grande successo di pubblico nelle sale italiane. Certo, molti eventi furono fortuiti in quanto il film fu concepito prima degli accadimenti reali, ma rimane un'opera "politica" nel senso di critica al governo e della classe dirigente dell'epoca.
Per Elio Petri però questo fu solo un punto di partenza per affrontare un discorso più ampio. L'interesse principale era mostrare l'esercizio del potere da parte dello Stato in una messa in scena che rispettava le regole estetiche e l'utilizzo drammaturgico del linguaggio cinematografico. Petri, pur essendo un regista di area marxista, fu osteggiato e criticato anche dalla sua parte proprio per questa suo voler fare comunque "arte" utilizzando tutti i meccanismi, anche spettacolari, che la macchina cinema gli metteva a disposizione. Non faceva del cinema "realista",  ma rappresentava e narrava personaggi complessi in situazioni piene di sovrastrutture. Il suo film entra all'interno di un sentire del cinema internazionale, rendendo "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" un'opera universale e fruibile da chiunque. Ed è interessante vedere come alcuni aspetti trattati nel film di Petri si intravedano in qualche modo nel cinema americano della New Hollywood. Si possono trovare, ad esempio, più di un'assonanza tematica in film coevi come "Una squillo per l'ispettore Klute" di Alan J. Pakula, "I tre giorni del Condor" di Sydney Pollack, "La conversazione" di Francis Ford Coppola, che dimostra quanto questo film sia stato più amato all'estero, in particolare dai cineasti statunitensi.
Nella scrittura di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" Pirro fu molto influenzato dall'opera di Bertolt Brecht, mentre Petri era affascinato dalle teorie psicoanalitiche freudiane e da Franz Kafka (una citazione del quale appare nel finale della pellicola, come tributo allo scrittore boemo) che hanno riscontro nella costruzione psicologica del Commissario e della vicenda narrata. L'esercizio del potere diventa azione sistemica di controllo della masse attraverso l'uso della coercizione, dell'intimidazione, della rappresentazione dell'essere al di sopra della legge che vale per il popolo e non per i suoi servitori. E l'omicidio dell'amante da parte del Commissario fin dall'inizio è l'affermazione estrema del suo esercizio, in una rappresentazione decadente e nichilista.
Nello svolgersi dell'indagine attraverso l'esplicitazione di indizi prodotti dal Commissario, in un percorso di autoflagellazione durante lo svolgimento della narrazione, questa sequenza è emblematica dell'esercizio del potere assoluto incarnato nel personaggio del Commissario. L'omicidio avviene nello stesso giorno in cui il Commissario da capo della Squadra Omicidi viene nominato responsabile dell'Ufficio Politico e nel suo discorso programmatico di insediamento proclamerà: "(...) L'uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite.(...) Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne. La città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere. La repressione è il nostro vaccino. Repressione è civiltà". Petri dà forza al messaggio scegliendo di utilizzare carrellate e movimenti della macchina da presa profondi di grande maestria registica, evitando il controcampo, proprio per far prendere corpo alle parole del personaggio. Volonté usa la voce con toni che variano dal basso all'alto, e viceversa, accompagnati dal movimento della macchina da presa che rende la sensazione di cooptazione dell'intera platea - pubblico passivo e reattivo, vittima e artefice allo stesso tempo -  all'interno di un controllo pressoché perfetto della messa in scena.
Altro esempio di questa rappresentazione sono i tre interrogatori che si snodano nella diegesi filmica.
Il primo avviene subito dopo la scoperta del corpo di Augusta Terzi. Uscendo dal proprio ufficio di capo della Squadra Omicidi, il Commissario raggiunge i colleghi che stanno interrogando un sospettato. Il presunto assassino è seduto, attorniato dai poliziotti che incombono e con il Commissario che stappa le bottiglie e invita tutti a bere (compreso il sospettato) e guardandolo, dall'alto in basso, afferma: "Qui l'unico colpevole sono io". La macchina da presa è ossessiva e oppressiva e lo sguardo è inquisitorio, soffocante, pur essendo un momento di (finta) giovialità.
Il secondo interrogatorio è quello dell'ex-marito della Terzi, girato nei sotterranei della Questura (sotto il livello della città, al di sotto delle regole civili, al di sopra della legge). Il Commissario assiste al di là di un vetro come uno spettatore qualsiasi: l'uomo viene coperto da improperi e minacciato dai poliziotti, in un contesto di assenza di qualsiasi elemento di diritto. Il Commissario - dopo aver ricordato un gioco con Augusta che subisce un finto interrogatorio - entra e partecipa anche lui alla violenza psicologica di Terzi sentenziando alla fine: "Per me è innocente".
L'ultimo interrogatorio avviene sempre nelle medesime stanze. Degli studenti sono stati fermati in un rastrellamento, dopo che è scoppiata una bomba nei pressi della Questura. Il Commissario interroga e tortura uno dei sospettati, facendogli bere dell'acqua salata e facendogli così confessare che il colpevole è Antonio Pace. Quest'ultimo è stato un amante di Augusta ed è il giovane che ha visto uscire il Commissario dalla casa dell'amante subito dopo l'omicidio nella prima sequenza. Dopo un'elissi temporale, il Commissario interroga Pace che gli tiene testa e da un iniziale comizio contro la democrazia, il Commissario piagnucola e implora il Pace di denunciarlo in una messa in scena dai toni fortemente grotteschi e iperrealisti, dove si assiste a un ribaltamento dei ruoli tra accusato e accusatore.
Le tre sequenze sono, in un'evoluzione diegetica, la messa in scena dell'esercizio quotidiano della sopraffazione che tracima dalle regole ed elimina i confini tra bene e male, dove i corpi sono soggetto e oggetto e l'emotività è fuori controllo in una rappresentazione simbolica della farsa del potere e del suo esercizio.


La dimensione onirica della colpa 

I cinque flashback montati danno un senso diacronico dell'evoluzione del rapporto tra il personaggio del Commissario e di Augusta Terzi. Ma possono anche essere interpretati come inserti onirici sia per i contenuti della messa in scena, che mostrano un Commissario in una veste altra, diversa, differente, intima, sia per la loro messa in serie: la loro interpolazione non avviene utilizzando stacchi o dissolvenze, ma sono annunciati da una specie di sbalzo ripetuto dei fotogrammi nel montaggio di raccordo tra una sequenza e l'altra che dà un senso di sussulto mentale del personaggio. In quel momento entriamo nei ricordi, penetriamo appunto in una dimensione onirica del Commissario e sempre in momenti topici della fabula. E i flashback risultano essere sotto questo aspetto momenti di dissonanza causati dal senso di colpa crescente del personaggio nella pervicace ricerca della confessione del colpevole, cioè della sua.
L'estremo esempio della dimensione onirica lo abbiamo nel prefinale, dove viene rappresentato l'arrivo di tutto il gruppo dirigente a casa del Commissario, dopo la consegna di una confessione scritta. La sequenza ha inizio dall'inquadratura del dettaglio del piede del personaggio disteso sul letto. Tutta la sequenza ha un che di surreale e grottesco, con il Commissario che piagnucola e viene rimproverato come un bambino e si assiste a un contrappasso degli interrogatori precedenti. Ma in questo caso è anche un interrogatorio ribaltato: dove l'interrogato confessa e chi interroga smonta la confessione. Ancora una messa in quadro composta da primi piani, dettagli di nuche, mani, parti di volti e la macchina che sta addosso a tutti i personaggi all'interno della scena. Il potere difende se stesso, il movente viene rigettato: è un caso di "dissociazione", come afferma il Questore. Il tono onirico è anticipato anche dall'apparizione del fantasma della Terzi. Alla fine il Commissario desiste e firma una ritrattazione promettendo: "Faccio tutto quello che volete". La sequenza viene chiusa con la stessa inquadratura, sul piede. Il sogno è terminato e il Commissario si sveglia. Ripete gli stessi gesti in un'iterazione del sogno nella realtà (filmica). Ma ciò che può essere mostrato in una dimensione onirica deve essere celato agli occhi dello spettatore e del pubblico. Il Commissario abbassa la persiana e nella penombra china il capo di fronte ai colleghi. La confessione del potere è celata perché in questo caso la realtà non supera la fantasia.
La completezza della messa in scena, la struttura narrativa stratificata e l'estetica limpida fanno di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" un capolavoro - premiato nel 1970 con il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes e vincitore dell'Oscar come miglior film straniero -  un'opera ancora attuale per la vis polemica e la lucida denuncia politica.


22/02/2014

Cast e credits

cast:
Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Salvo Randone, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Arturo Dominici, Aldo Rendine


regia:
Elio Petri


titolo originale:
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto


distribuzione:
Columbia Pitcures


durata:
112'


produzione:
Vera Films, Euro International films


sceneggiatura:
Elio Petri, Ugo Pirro


fotografia:
Luigi Kuveiller


scenografie:
Carlo Egidi


montaggio:
Ruggero Mastroianni


costumi:
Angela Sammaciccia


musiche:
Ennio Morricone


Trama

Il giorno stesso della sua promozione al comando dell’Ufficio Politico della Questura di Roma, il capo della sezione Omicidi, reazionario e prepotente, assassina la propria bellissima amante nel suo appartamento. In modo deliberato lascia indizi sul luogo del delitto, mentre i suoi colleghi iniziano l’indagine.