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recensione di Giancarlo Usai
7.0/10
"La mia vita da Zucchina" è il primo lungometraggio dello svizzero Claude Barras, studioso e praticante di animazione negli studi più importanti di mezza Europa. Ma è anche, e soprattutto, ancora una volta, un film che porta la firma di Celine Sciamma, la cineasta francese impostasi all'attenzione internazionale con "Tomboy" e che, con la conferma di "Diamante nero" e la sceneggiatura di "Quando hai 17 anni", ha ormai conquistato a pieno diritto la qualifica di narratrice assoluta dell'infanzia e dell'adolescenza. C'è infatti la regista transalpina dietro il soggetto di questo prodotto dell'animazione europea, realizzato con una tecnica a passo uno dalla resa visiva assolutamente fuori dal tempo e dalle mode, e scritto con una tenerezza e una delicatezza sentimentale che ricordano il Ken Loach dei tempi migliori.

Zucchina, soprannominato così dalla mamma alcolizzata, resta senza genitori: viene dunque condotto in un istituto dove i bambini come lui, orfani per le più disparate ragioni, trovano degli educatori che fanno loro anche da tutori nella speranza, sempre più flebile con il passare degli anni, di trovare una famiglia disposta ad adottarli. Qui Zucchina vive tutte le fasi di una maturazione che, nella solitudine di una casa non propriamente felice come la sua, aveva in precedenza saltato. C'è il percorso dell'istruzione, dell'educazione ai sentimenti di amicizia e rispetto, si impara il concetto di solidarietà e infine può essere che si sentano anche i primi palpiti amorosi.

In 66 minuti (un minutaggio che rasenta la definizione di mediometraggio), il film di Barras fotografa con amorevole vicinanza una realtà poco indagata dal cinema d'animazione, specialmente quello fortissimo che proviene dagli Stati Uniti. L'infanzia interrotta di chi non ha una famiglia viene qui raccontata con un tocco leggero, compassionevole eppure così attinente al vero. E a far da supporto a una scelta di sceneggiatura così realistica e lontana da pulsioni fantasy interviene appunto la tecnica stop-motion. Qui non siamo dalle parti della perizia tecnica e visiva dei geni americani della Laika; siamo piuttosto orientati verso uno stile che ricorda gli esperimenti più straordinari del Tim Burton dei bei tempi, quello, per intenderci, de "La sposa cadavere". I pupazzi animati di Barras sono caricaturali e irritualmente distanti dalla fisionomia di un bambino in carne e ossa: sono, per l'appunto, invenzioni bellissime da osservare nei movimenti a scatti che compiono all'interno di paesaggi elementari, che omaggiano quei libri per piccini che, mentre si sfogliano, si fanno voluminosi.

Barras parla ai piccoli, la Sciamma si rivolge ai grandi. È questo il compromesso: l'animatore che dirige disegna i suoi protagonisti con una scelta démodé e la sceneggiatrice che scrive puntella i dialoghi, semplici ed elementari, di dettagli fondamentali. È nelle piccole cose, infatti, che "La mia vita da Zucchina" si ispira al miglior cinema teen della vecchia Europa: nelle battute dei personaggi che animano la vicenda si nasconde il dramma silenzioso della famiglia che non c'è. E, come nei suoi film con attori in carne e ossa, Celine sa fotografare tutto con una capacità di non urlare alla tragedia, bensì sussurrando possibili soluzioni: l'importanza di istituti come questo, appunto; ma anche la forza del legame di amicizia e di affetto; la bellezza del gioco e del divertimento in un'età che poi rimpiangiamo tutti, nessuno escluso.

Forse eccessivamente osannato da critici che non sono più abituati ad emozionarsi con un'animazione che sappia guardare oltre la computer grafica, "La mia vita da Zucchina" rilancia con forza proprio questo assunto, che, poco tempo fa, avevamo sottolineato alle prese con "Kubo e la spada magica": nel marasma generale di grandi major che producono "cartoni animati" in serie, con il solo scopo di incassare alla grande, svilendo il potere del sogno e dell'impossibile nascosto dietro l'animazione cinematografica, piccoli autori crescono e si impongono come gli eredi dei grandi del passato. Nell'antico Giappone come nella Francia contemporanea, è ancora possibile commuoversi di fronte a teneri pupazzi che vivono le peripezie quotidiane che incontriamo nel nostro grigio mondo, in modalita live action.
05/12/2016

Cast e credits

regia:
Claude Barras


titolo originale:
Ma vie de Courgette


durata:
66'


sceneggiatura:
Céline Sciamma, Germano Zullo, Claude Barras e Morgan Navarro


fotografia:
David Toutevoix


scenografie:
Ludovic Chemarin e Delphine Daumas


montaggio:
Valentin Rotelli


musiche:
Sophie Hunger


Trama
Protagonista è un bambino di 9 anni soprannominato Zucchina, che dopo la scomparsa della madre viene mandato a vivere in una casa famiglia: grazie all’amicizia di un gruppo di coetanei, tra cui spicca la dolce Camille, riuscirà a superare ogni difficoltà, abbracciando infine una nuova vita.
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