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recensione di Mirko Salvini
6.5/10
Quando un film scatena polemiche feroci, finisce nelle mani della censura e le persone che hanno preso parte alla lavorazione ricevono insulti o addirittura minacce di morte, è facile la tentazione di solidarizzare con l'opera, specie se ha avuto solo il torto di mostrare la società per quello che è. Questa poco invidiabile sorte è toccata a "Much Loved", titolo internazionale di "Zin li fik", nuovo lavoro del regista franco-marocchino Nabil Ayouch (già autore di "Ali Zaoua, prince de la rue" e "Les chevaux de Dieu"), giovane cineasta piuttosto affermato (tre suoi film sono stati in passato selezionati dal Marocco per la corsa all'Oscar di Miglior Film Straniero) ma non nuovo a certe polemiche. Presentato nella Quinzaine cannense, "Much Loved" ha subito suscitato ire per la sua rappresentazione, definita oltraggiosa, della donna e del mondo della prostituzione in quel di Marrakech. Di certo non un bel biglietto da visita per la società marocchina, e i contestatori non saranno certo stati felici di sapere che se in patria il film è stato censurato, all'estero i distributori non si sono fatti attendere (fra cui per l'Italia la nuova arrivata "Cinema" di Valerio De Paolis, che si è aggiudicata già diversi titoli di qualità per le nostre sale).
Cosa ha fatto arrabbiare così tanto i fondamentalisti? In fin dei conti non è certo la prima volta che il cinema maghrebino racconta il mestiere più antico del mondo (basti pensare solo ai recenti "Grains de grenades" di Abdellah Toukouna e "Sarirou al assrar" di Jillali Ferhati), e Ayouch non è l'unico regista marocchino a suscitare reazioni severe in patria. Sicuramente il linguaggio spiccio con cui viene raccontata la vita delle sue protagoniste. Non che sia l'originalità il tratto distintivo di "Much Loved", ma evidentemente sequenze troppo osé, la franchezza nel descrivere certi costumi, un'ipocrita doppiezza ben radicata nella società locale e uno sguardo troppo gay friendly (sebbene alcuni distinguo andrebbero fatti) devono avere colmato la misura.

Al centro della storia troviamo il personaggio di Noha, interpretata dalla bella esordiente Loubna Abidar (una sorta di Shabana Azmi marocchina), leader di un terzetto (ma diventa un quartetto prima dei titoli di coda) di prostitute che si intrattengono con una clientela più o meno scelta, fra avventori sauditi (quelli preferiti perché più generosi) e occidentali. Noha e le sue compagne (per dirla come Pietrangeli) devono affrontare le difficoltà di tutti i giorni, fra soldi che servono a mantenere familiari o fidanzati parassiti, il tempo che passa, uomini che possono passare da appassionati a maneschi nel giro di un attimo e in generale un paese che sfrutta i servigi di queste donne calpestandone al tempo stesso la dignità. Ayouch è molto efficace nel comunicare questo nella bella sequenza in cui Noha visita la sua famiglia, con la madre e i fratelli più giovani che si comportano freddamente pur accettando i suoi soldi (l'unico che mostra le affetto è il figlioletto, affetto che però la donna non riesce a ricambiare). L'ipocrisia familiare ha anche una faccia pubblica rappresentata da un ufficiale di polizia corrotto che non perde occasione di sfruttare le miserie della protagonista per arraffarne i guadagni. Le alternative a una vita grama? Poche in effetti, forse un signore che si dichiara innamorato e ben intenzionato (ma pur sempre sposato) o la possibilità (comunque difficile) di raggiungere un padre che vive in Europa, ma le donne sono le prime a non crederci più di tanto e a non farsi troppe illusioni, per quelle bastano i film bollywoodiani da vedere insieme nei momenti di pausa.

Essendo sostanzialmente delle emarginate, Noha e le sue amiche non hanno difficoltà a fraternizzare coi travestiti che battono per strada, anche loro invisi ai moralisti, o coi bambini, spesso prede di turisti pedofili (c'è anche qualche blanda parola di sostegno nei confronti del popolo palestinese, davvero inaspettata considerato che la madre del regista è ebrea). Va però detto che l'aspetto gay friendly è forse quello in cui il film mostra delle falle. Se il personaggio di Randa (Asmaa Lazrak), la più giovane del gruppo, quella probabilmente meno portata per questo lavoro, si concede una parentesi lesbo (anche se durante la sequenza è visibile un certo imbarazzo, solo in parte giustificabile con l'inesperienza della ragazza), Soukaina (Halima Karaouane) va su tutte le furie quando scopre nel laptop del suo cliente arabo Ahmed foto di uomini nudi, sostenendo che questo per lei è umiliante. Inoltre la sceneggiatura non lesina parole come froci e checche (ma va detto che il tono dei dialoghi è spesso scurrile).

La direttrice della fotografia Virginie Surdeji inquadra nelle scene erotiche i corpi delle protagoniste con un'insistenza che a qualcuno ricorderà le sequenze erotiche (anche quelle discusse) di "La vita di Adele". Però va detto che le attrici non si limitano a mostrarsi svestite ma regalano ai loro personaggi l'energia necessaria per far risultare credibili i loro drammi quotidiani. Merito soprattutto loro se questo film, tutto sommato convenzionale, risulta coinvolgente e la sua denuncia particolarmente efficace.

11/10/2015

Cast e credits

cast:
Loubna Abidar, Asmaa Lazrak, Halima Karaouane, Sara Elhamdi Elalaoui, Danny Boushebel, Carlo Brandt, Abdellah Didane


regia:
Nabil Ayouch


titolo originale:
Zin li fik


distribuzione:
Cinema


durata:
104'


produzione:
Les Films du Nouveau Monde


sceneggiatura:
Nabil Ayouch


fotografia:
Virginie Surdej


scenografie:
Hind Ghazali


montaggio:
Damien Keyeux


costumi:
Siham Assakhiri


musiche:
Mike Kourtzer


Trama
Un gruppo di prostitute nell'odierno Marocco affrontano tutti i problemi legati ad una società ostile verso le donne che esercitano tale professione
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