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7.5/10

Dopo "Below Sea Level" e "El Sicario – Room 164", coppia di film ambientati fra Stati Uniti e Messico, seguiti da "Sacro GRA" e "Fuocoammare", entrambi realizzati in Italia, Gianfranco Rosi torna a spingersi al di fuori del mondo occidentale, ricollegandosi così con il suo primo lungometraggio, "Boatman", ambientato in India. Ciò che accomuna la filmografia del regista è l’attenzione alle esistenze marginali, fuori dall’ordinario, poste oltre una teorica linea di confine che separa la legalità dalla criminalità (è il caso del sicario che lavora per il cartello della droga messicano), che divide una vita borghese dalla ricerca/condanna ad altre forme di socialità (come la comunità creata dagli homeless nel deserto a 40 km da Los Angeles ritratta in "Below Sea Level" o l’umanità variegata che popola la periferia periurbana lungo il Grande Raccordo Anulare) o, infine, che segna il confine fra autoctono e migrante (come in "Fuocoammare"). Ciò che accomuna l’insieme dei quattro lungometraggi centrali di Rosi è il racconto di esistenze che fanno parte di logiche che caratterizzano l’occidente in cui viviamo: il regista e coloro che vengono filmati fanno quindi parte della medesima cultura. Il passo compiuto dall’autore in questo sesto lungometraggio è dunque significativo perché esce da tale sistema ideologico per approdare ad un altro, di cui né lui né lo spettatore occidentale fanno parte. Al contempo, si tratta di un ritorno alle origini, dato che l’inizio della sua carriera si è svolto in India.

Al di là della localizzazione geografia, Rosi mantiene in "Notturno" l’approccio documentaristico che ha caratterizzato i suoi film precedenti, ovvero ciò che la critica ha definito «cinema del reale» (1), cioè il «rapporto sempre più stretto tra due pratiche, l’osservazione e la creazione» (2). Il secondo di questi elementi è individuabile, in particolare, nel fatto che diverse scene filmate sono state costruite a tavolino: la messa in scena delle prove teatrali realizzate dai pazienti di un istituto psichiatrico, di cui viene filmata anche la lettura solitaria del copione da parte dei vari attori nelle rispettive stanze; il racconto delle barbarie commesse dai soldati dell’ISIS da parte di bambini che commentano i propri disegni raffiguranti queste stesse atrocità; la visita di un gruppo di donne nella prigione dismessa dove sono stati torturati e uccisi i propri famigliari; infine, le attività compiute da un gruppo di soldatesse all’interno di un bunker in cui si rifocillano e si riposano, tutte caratterizzate da un silenzio irreale. L’elemento più strettamente documentaristico, invece, è inerente alle modalità osservativa e partecipativa descritte da Bill Nichols: la prima è data dall’assenza di «commento fuori campo, senza musica aggiunta o effetti sonori, senza intertitoli ne’ ricostruzioni storiche» (3), oltre al «modo particolare [del regista] di essere presente sulla scena, scegliendo di apparire come invisibile ed esterno agli eventi» (4); la seconda, invece, è data dal fatto che l’autore «va sul campo, partecipa alla vita degli altri, acquista un sentimento concreto o intimo di come sia la vita in un dato contesto» (5). Rosi, infatti, basa sia “Notturno” che i film precedenti sul racconto di storie individuali, fondando quindi la propria indagine del reale sull’elemento umano, sull’individuo concreto con cui instaura rapporti significativi frutto di una lunga e approfondita conoscenza. Le dichiarazioni del regista riportate in diverse interviste confermano questo aspetto: «Prima di girare, ho passato sei mesi cercando di creare un’intimità con quelle persone» (6); «Ho passato tre anni in questi luoghi per cercare un punto di vista, per cercare le persone che mi avrebbero accompagnato nel film, e mi hanno cambiato profondamente. Ho trovato corrispondenza e identificazione con loro» (7). L’approccio al reale avviene dunque tramite l’incontro con individui concreti di cui vengono raccontate le storie. Tuttavia, il cinema di Rosi non si riduce ad essere un semplice collage di vicende personali, non è un album di figurine che non rimanda ad altro che a se stesso, ma trascende verso l’affresco di qualcosa di più grande della somma delle singole storie individuali. Ognuno dei suoi lungometraggi tratta di fenomeni storici e sociali ben precisi: il sottoproletariato periurbano di Roma in "Sacro GRA", i flussi migratori determinati dalla sconfitta delle primavere arabe in "Fuocoammare", i conflitti che stanno dilaniando il Medio Oriente in "Notturno", la spietata logica del capitalismo statunitense in "Below Sea Level" e l'altra faccia dello stesso sistema economico in "El Sicario - Room 164" (il crimine organizzato in senso capitalistico). Di tutto ciò non vengono indagate le cause o l’origine, non è tratteggiato un quadro complessivo finalizzato a fornire allo spettatore una spiegazione approfondita, dato che Rosi non realizza un cinema a tesi o dei documentari didascalici. Il regista, invece, evoca tali fenomeni tramite l’incontro con le storie individuali, approccia il reale a partire dal dato concreto che vive ed esperisce tali dinamiche: l’uomo e le relative vicende personali che si pongono come risultati, come conseguenze e residui degli eventi storici e sociali a cui rimandano. Fino a "Fuocoammare", l’equilibrio fra frammenti particolari (le singole storie individuali) e la totalità a cui rimandano (il fenomeno evocato) è stato garantito dallo spazio, a cui Rosi ha sempre dedicato forte attenzione sia nella scelta delle inquadrature (spesso il regista ha fatto ricorso a campi lunghi e totali, in modo da inserire i soggetti all’interno del loro ambiente), sia nella quantità di riprese dedicate alla raffigurazione dei luoghi in se stessi, privi delle figure umane poi raccontate. I film precedenti a "Notturno" sono ambientati in spazi fortemente circoscritti, come la camera d’albergo in "El Sicario – Room 164", oppure in località geograficamente delimitate, come Slab City in "Below Sea Level", il non-luogo del Grande Raccordo Anulare in "Sacro GRA", le rive del Gange in "Boatman" e l’isola di Lampedusa in "Fuocoammare". In ognuno di questi casi il luogo è stato utilizzato da Rosi sia in quanto elemento omogeneizzante e unificante le singole vicende raccontate, sia come correlativo oggettivo di queste ultime, assumendo quindi il ruolo di un vero e proprio protagonista dei vari documentari.

"Notturno" segna una frattura rispetto alla precedente filmografia per due motivazioni fra loro intimamente intrecciate: da un lato, il raggio d’azione del regista si estende dagli spazi limitati degli altri film per comprendere un’area geografica molto più ampia, che coincide con ben quattro nazioni (Iraq, Kurdista, Libano e Siria); dall’altro, la prospettiva su cui si basano i documentari del nostro è capovolta: se nei film precedenti il regista incontrava una comunità o dei singoli individui appartenenti ad un luogo ben preciso e dedicava il film ad essi e alle loro vicende personali, finendo con l’evocare dinamiche complesse legate tanto al luogo quanto alle persone che vi si trovano, in "Notturno" l’interesse di Rosi è volto a una situazione politica e sociale che viene illustrata attraverso delle storie individuali. Questo rovesciamento della prospettiva precedente, unita all’ampiamento geografico del proprio sguardo, porta alla rottura dell’quilibrio fra frammento e totalità, a cui consegue una forte frammentazione e rarefazione delle storie individuali e del paesaggio. L’obiettivo di raccontare delle dinamiche storiche e sociali così ampie, collocate in un’area geografica tanto grande, ma sempre facendo ricorso a vicende umane reali e individuali, porta il regista a presentare delle storie personali volutamente non approfondite e non raccontate nella loro interezza, dunque frammentarie, come lui stesso afferma in un’intervista: «Ho lavorato moltissimo di sottrazione, mi sono accorto che dovevo andare alla sintesi delle storie, trovando questo elemento di densità della storia, senza preoccuparmi di quello che c’era prima o dopo. In questo senso il lavoro di montaggio è stato difficilissimo perché bastava dare un’informazione in più sul personaggio che non ti volevi più staccare da lui e, quindi, non c’era più un’altra storia che poteva andare assieme» (8). Il risultato è una serie di episodi auto-sufficienti, di micro-narrazioni la cui concretezza è stata progressivamente rarefatta fino a divenire delle situazioni esemplari della crudezza e della disperazione della guerra. Il pianto delle madri, il campo di prigionia, la marcia delle truppe, le milizie che difendono il bunker, le atrocità descritte dai bambini innocenti sono tutti esempi di questa astrazione operata da Rosi delle singole vicende umane che vengono trasformate in emblemi di un concetto astratto: la tragedia della guerra. Lo stesso accade allo spazio: della grande area trans-nazionale in cui è ambientato il film vengono mostrati dei frammenti scollegati gli uni dagli altri di cui, inoltre, non vengono fornite delle coordinate geografiche precise, dato che o si evoca un impreciso confine fra due nazioni o non viene data nessuna indicazione. Anche in questo caso Rosi procede ad una rarefazione astratta che rimanda ad un immaginario comune della guerra: scenari di città in rovina, luccichii notturni all’orizzonte provocati dalle bombe in lontananza, edifici che rimandano ai traumi creati dalla guerra (carceri di tortura e l’ospedale psichiatrico).
Questi frammenti narrativi e spaziali vengono collegati e cementati in un unità tramite il ricorso ad ad un espediente narrativo e ad alcune scelte formali che maggiormente segnano il distacco rispetto ai film precedenti di Rosi. Il primo consiste nelle numerose riprese che mostrano l’uso di dispositivi mediali evocanti la guerra: all’interno del carcere dismesso in cui erano stati torturati e uccisi alcuni soldati catturati, una donna guarda le foto del figlio morto; nel reparto psichiatrico presso Baghdad viene proiettato un filmato contenente scene di guerra, esplosioni e la marcia di soldati che portano la bandiera dell’ISIS; le soldatesse a riposo nel bunker utilizzano un tablet per visualizzare dei filmati contenenti scontri bellici; una donna mostra alla macchina da presa il proprio cellulare contenente dei vocali mandati dalla figlia rapita dalle milizie dello Stato Islamico. Più in generale, la guerra viene evocata non solo da dispositivi mediali ma anche da numerose forme di racconto: dai disegni dei bambini che raccontano le crudeltà dell’ISIS, alla rappresentazione teatrale realizzata dai pazienti del reparto psichiatrico, fino alla litania delle donne che piangono i propri morti all’interno dell’ex carcere adibito a luogo di tortura e omicidio. La guerra, il fil rouge di “Notturno”, dunque, viene continuamente evocata, anche dove è già chiaramente presente (è il caso del tablet usato dalle soldatesse) proprio per rimarcare con forza l’appartenenza delle singole storie a questa tematica e, così facendo, a dare unità alle micro-narrazioni presentate.
Gli espedienti formali volti a cementare in un’unità gli episodi filmati, invece, sono l’uso insistito della profondità di campo e il ricorso al montaggio per associazioni. La prima è finalizzata a visualizzare uno spazio abbastanza grande da contenere sia l’individuo di volta in volta raccontato, sia degli elementi paesaggistici iconicamente riconducibili ai conflitti mediorientali. Ne sono esempi la scena in campo lungo in cui un uomo viene ripreso mentre viaggia con la propria motociletta e, in lontananza, si intravedono dei pozzi petroliferi incendiati; oppure le riprese notturne in campo medio che inquadrano un uomo su una barca in una palude mentre sullo sfondo si stagliano le luci rosse di incendi in lontananza. Il secondo espediente è il ricorso al montaggio per associazioni, che Bill Nichols descrive a proposito delle caratteristiche del "documentario poetico": questo «sacrifica le convenzioni del montaggio in continuità e il conseguente senso di una collocazione specifica nel tempo e nello spazio, scegliendo invece di esplorare le associazioni e i motivi che riguardano i ritmi del tempo e le giustapposizioni dello spazio. Gli attori sociali non prendono mai le forme di personaggi a tutto tondo, con una mentalità complessa e una visione costante del mondo. Le persone vengono più spesso appaiate con altri oggetti nel ruolo di materiale grezzo che i registi selezionano e dispongono in associazioni e motivi di loro scelta» (9). Quest’ultima considerazione relativa all’equiparazione dell’elemento umano a del materiale trova un esempio perfetto nello stacco fra la scena dedicata al racconto delle atrocità vissute dai bambini mentre descrivono i propri disegni, colmi di macchie rosse simboleggianti scene di morte e tortura, e la scena successiva, raffigurante la porta di un carcere da cui fuoriescono dei detenuti vestiti con delle divise porpora, che ricorda una ferita nella carne viva sgorgante sangue. Il montaggio per associazioni prevale nella prima metà del film, per poi diradarsi successivamente: è in questa parte dato che qui vengono presentati i luoghi in cui è stato girato ed è inoltre qui che si concentrano le didascalie riportanti le vaghe indicazioni geografiche. Si tratta di un modo per collegare queste località, per comunicare l’idea che si tratti di un tutto unico, accomunato appunto dalla guerra. La scena iniziale che mostra la marcia delle truppe militari viene connessa a quella successiva, raffigurante delle donne vestite di nero che si aggirano per il carcere dismesso dove erano stati torturati e uccisi dei soldati, tramite un’associazione sia sonora (il grido delle truppe si trasforma nella litania delle donne) che visiva (entrambe le masse di personaggi si spostano da sinistra a destra dell’inquadratura) Successivamente, lo stacco fra la scena ambientata sul confine fra Iraq-Iran e quella localizzata tra Libano e Siria avviene tramite il collegamento visivo tra le luci notturne, dato che la prima raffigura un uomo che naviga su una canoa attraverso una palude, mentre all’orizzonte si intravedono i fuochi di incendi in lontananza, mentre la seconda mostra le luci urbane dopo il tramonto. Infine, il collegamento fra le successive due aree geografiche, una ambientata sul confine precedente e l’altra collocata su quello fra Kurdistan e Iraq avviene tramite una ripresa dall’alto di una città: si sentono degli spari in lontananza e il rumore di motore, a cui segue la luce dei fanali di un’automobile. Stacco: nello stesso punto in cui era comparso il luccichio dei fari compare un mezzo blindato militare che procede verso l’orizzonte. Dunque "Notturno" oscilla fra la modalità partecipativa e quella poetica: il montaggio per associazioni diviene il collante delle varie storie al posto dello spazio usato nei film precedenti, dal quale invece derivava la prevalenza della modalità partecipativa, dato che il regista e i personaggi convivevano per un lungo periodo di tempo nello stesso luogo.

Si diceva che la frammentazione delle storie personali e la mancanza di indicazioni geografiche portano tanto alla rarefazione dei vissuti individuali quanto alla loro astrazione: ogni piccola scena mostrata si carica così di un senso ulteriore perché rimanda a un tempo passato (le violenze accadute), presente (il lutto, la tragedia, le atrocità attuali) e futuro (le devastazioni che incombono nell’immediato), oltre che a una geografia locale (l’evento filmato nell’hic et nunc del momento) ma anche estesa, che rispecchia e rifrange ogni luogo di guerra e terrorismo. Infine, ogni essere umano rappresenta tanto se stesso quanto chiunque abbia avuto a che fare con la Guerra, in ogni luogo e tempo: ogni individuo, dunque ogni storia personale, viene trascesa dalla Storia che in essi è incarnata. Al contempo, se tali immagini sono dotate di un surplus di senso, di un’iper-valenza iconica, ne consegue che non sono sufficienti in se stesse dato che rimandano costantemente ad altro da sé: all’umanità lacerata, ai conflitti e alle barbarie che i conflitti bellici comportano. Dunque, la sovversione del rapporto fra totalità e singole parti operata da Rosi comporta la creazione di un film costituito da singoli frammenti che rimandano ad altro da se stessi: si tratta di immagini incomplete che, per questo, sono utilizzate come lembi del reale, del quale conservano la traccia pur essendone insufficienti a significarne il tutto. È questa la ragione profonda della forte estetizzazione operata dal regista in “Notturno”: la radicale incompiutezza delle immagini che lo compongono (perché impossibilitate a racchiudere in se stesse, nella loro umana particolarità, la totalità che Rosi vuole presentarci), la loro intima insufficienza e, contemporaneamente, il costante rimandare ad altro da sé, viene parzialmente colmata da una compiutezza formale particolarmente ricercata e fortemente esibita. Inoltre, tale cura estetica si pone anche come garanzia di intellegibilità universale, come mezzo che assicuri la possibilità di lettura e comprensione da parte di qualsiasi spettatore: al fine di comunicare l’incomunicabile (l’abominio della guerra), Rosi ricorre ad una struttura formale che possa veicolare tale senso eccedente. Questa estetizzazione viene perseguita in particolare tramite la cura della composizione delle immagini, oltre che nell’uso sapiente della profondità di campo e del colore. Di quest’ultimo si è già parlato a proposito della scena raffigurante i prigionieri vestiti di rosso, filmati mentre si riversano al di fuori di una porta del carcere. Diversi momenti presentano una dominante cromatica: si pensi al blu dell’inizio del film, raffigurante le esercitazioni delle truppe militari, oppure, qualche minuto dopo, al rosso intenso che incornicia l’uomo sulla canoa che naviga nella palude. Spesso il colore viene usato in combinazione con la profondità di campo: è il caso dell’inquadratura riguardante le esercitazioni dei militari, citata più volte, oltre che di due scene che ci mostrano un uomo, interamente vestito di bianco, mentre cammina per una città intonando canti religiosi. Nella prima lo si vede mentre attraversa in profondità una strada del mercato durante la notte: le pietre al centro dell’inquadratura riflettono la luce artificiale e accompagnano il passaggio della figura umana mentre canta. Nella seconda ci viene mostrato mentre attraversa una strada contornata da case: le luci serali artificiali colorano tutta l’immagine di una splendida tonalità ambra. Anche la cura della composizione fotografica riveste in quest’ambito una forte importanza: tutto il film ne è caratterizzato e si segnalano, tra i tanti, due esempi. Nel primo caso, lungo il confine fra Kurdistan e Iraq, Rosi filma delle donne guerriere mentre pattugliano il bunker in cui si trovano. All’interno di quest’ultimo, la macchina da presa riprende delle finestre che danno sull’esterno tramite una panoramica, per poi staccare su una di queste: l’inquadratura è composta dalla cornice interna della finestra, fuori dalla quale le guerriere si dispongono simmetricamente secondo una traiettoria obliqua (dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra). Nel secondo caso, verso la metà del film viene presentato un ragazzino che accompagna un cacciatore di frodo: la macchina da presa è inclinata dal basso verso l’alto e, in tal modo, riprende in campo lungo il cielo per due terzi dell’immagine e, per la parte restante, raffigura un campo con i due che camminano da sinistra a destra. L’immagine è in questo modo divisa perfettamente in tre parti (di cui due sono occupate dal cielo e una dal terreno) a cui corrisponde una ripartizione per colori, marrone e blu, che sono, inoltre, colori complementari.


(1) C. Uva, V. Zagarrio, Gli scenari della contemporaneità, in C. Uva, V. Zagarrio (a cura di), Le storie del cinema. Dalle origini al digitale, Carocci, Roma, 2020, p. 42.
(2) D. Dottorini, Il "cinema senza nome". Lo sguardo documentario del nuovo millennio, in A. Cervini (a cura di), Il cinema del nuovo millennio. Geografie, forme, autori, Carocci, Roma, 2020, p. 91.
(3) B. Nichols, Introduzione al documentario, Il Castoro, Milano, 2006, p. 116.
(4) Ivi, p. 118.
(5) Ivi, p. 122.
(6) V. Garbagna, Notturno non è un film che dà delle risposte, in "Duels", 10 settembre 2020.
(7) V. Sammarco, Notturno Rosi, in "Cinematografo", 8 settembre 2020.
(8) V. Garbagna, Notturno non è un film che dà delle risposte, cit.
(9) B. Nichols, Introduzione al documentario, cit., p. 109.


03/03/2021

Cast e credits

regia:
Gianfranco Rosi


distribuzione:
01 Distribution


durata:
100'


produzione:
Donatella Palermo, Gianfranco Rosi, Serge Lalou, Camille Laemlé, Orwa Nyrabia, Eva-Maria Weerts


fotografia:
Gianfranco Rosi


montaggio:
Jacopo Quadri


Trama
Frutto di tre anni di riprese realizzate sul confine tra Iraq, Kurdistan, Siria e Librano, "Notturno" documenta la tragedia umana, sociale e politica in cui versa il Medio Oriente.