You're still in me, baby
I need you
In my heart, I need you
"I need you", Nick Cave
"Sei ancora in me, baby. Ho bisogno di te. Nel cuore, ho bisogno di te". Così canta
Nick Cave in "I need you", una delle tracce del nuovo album "
Skeleton Tree" (copertina nera a lutto): e si trattengono a fatica le lacrime. Forse mai Nick Cave è stato così sontuosamente intimista. "Ti dicono: ‘è ancora vivo nel tuo cuore'. Ma in realtà non è così" dice ad Andrew Dominik in un dialogo di "One More Time With Feeling". "Perché no?" "Perché...
È dentro al mio cuore, ma non è
vivo".
È un film che nasce dal lutto, "One More Time With Feeling" - il lutto per la perdita più lacerante, quella di un figlio. Ma non è un film luttuoso: trasmette allo spettatore un variegato ed entusiasmante ventaglio di sentimenti, certamente intrisi di dolore, in cui non è però la mestizia a farla da padrone, ma l'arte e il bisogno profondo di un artista di mantenere in contatto il proprio io con la propria creatività.
Capita di ascoltare Nick Cave nel corso del film riflettere a 360 gradi su qualsiasi argomento. Lo shock ha travolto tutto, la vita cambiata in un attimo. E' una di quelle fasi esistenziali in cui occorre ridisegnare il senso dell'esistenza, sapendo di non poterlo ricostruire e soprattutto di non poter trasmettere ad altri altro senso se non la propria lacerazione interiore, quella che in realtà si vorrebbe superare, anche con l'arte. "Ma è come un elastico" dice Nick mimandone il gesto: "lo puoi tirare al massimo, cercando di allontanarti dal dolore, ma sai che più lo tendi più violentemente vi farai ritorno".
Arthur, uno dei due figli gemelli, è morto mentre il nuovo album era in fase iniziale di lavorazione. Nick espresse all'amico, il regista Dominik, l'esigenza di aprirsi pubblicamente, senza avere idea di quale forma avrebbe preso il film. La sua unica certezza era di non volere che fosse un'intervista tradizionale. Dominik gli propose l'intuizione -rivelatasi fondamentale per la riuscita del film - di girare in b/n e in 3D. Nick aveva inizialmente delle riserve, non amando il 3D - ma poi, una volta terminato il film, ha espresso il desiderio che questo venisse sempre visto in 3D. Il film si apre proprio con la messa in scena dei dubbi di Nick Cave a farsi riprendere accettando le scelte di Dominik. Uno scetticismo che è indizio di una diffidenza maggiore: quella di riuscire a dare ancora un senso alla rappresentazione di sé, alla messa in scena del suo privato.
Le originali scelte di Dominik (autore poco prolifico, giunto qui al suo quarto film in 16 anni) sono in linea con i caratteri della sua filmografia: in ciascuno dei suoi film il regista neozelandese ha sempre provato a scardinare le strutture dei generi che incontrava, dal biopic al western di "
L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford" (il suo risultato più importante) al gangster movie di "
Cogan - Killing Them Soflty". L'uso del 3D coniugato al b/n è quasi inedito: l'ha adottato Tim Burton per il suo "
Frankenweenie" del 2013, ma si trattava di animazione in stop motion.
Dominik mette al servizio dell'amico una perizia straordinaria, e tra ripetute, avvolgenti panoramiche circolari attorno al pianoforte di Nick Cave, che si alternano a ricorrenti movimenti di macchina in profondità, l'uso del 3D si rivela eccezionalmente immersivo e di enorme fascino nell'accompagnarsi alla strepitosa fotografia in b/n ad altissimo contrasto di Benoît Debie ("Spring Breakers") e Alwin H. Küchler.
Ascoltare i nuovi, intensi brani di "Skeleton Tree" assistendo a queste riprese di Dominik in 3D è un'esperienza unica nel suo genere, specie al cinema su grande schermo. Significa lasciarsi risucchiare nello schermo, nella musica, nell'anima di un uomo.
All'alternanza canonica fra i due piani tipici di un documentario musicale - le interviste e le performance - Dominik sovrappone un altro genere di alternanza, che assume una valenza maggiore: quella fra l'esibizione della messinscena e la potenza magmatica, ipnotica delle performance stesse, in cui sprofondiamo grazie alla stereoscopia. Esibizione della messinscena in quanto, sul set, più volte vediamo ripreso il set medesimo, ascoltiamo venir discusse le scelte stilistiche per la realizzazione delle riprese (e sentiamo nominare e vediamo indicare la macchina da presa 3D). Più volte viene ripreso il binario circolare predisposto attorno al pianoforte di Nick, quello stesso binario su cui si muoverà avvolgente la macchina da presa, durante molte esecuzioni dei brani di "Skeleton Tree".
Il documentario si inoltra lentamente dentro l'uomo, passando dalla dimensione artistica a quella più intima. Dall'oscurità del nero emerge la luce del bianco, che assieme alla musica porta un faro nel buio. E Nick Cave mette i brividi quando afferma, a un certo punto, che all'immensità dell'universo e dell'eterno manca però l'autocoscienza anche solo di un singolo momento di vita, che è concessa all'uomo, per quanto labile, breve, e destinato all'oblio possa essere quel momento.
Tanto era incentrato sulla finzione (sull'istrionismo, sul personaggio, sulla maschera, sulla messa in scena) il bel documentario del 2014 "20.000 Days On Earth" di J. Pollard e I. Forsyth, tanto è calato nella vita, nella carne e nel sangue questo "One More Time With Feeling". Si penetra man mano sempre più a fondo dentro un trauma che non viene dapprima neanche nominato, ma poi diventa progressivamente il nucleo pulsante del film.
10/09/2016