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recensione di Stefano Santoli
8.5/10

Il male è ovunque in questo posto.
Sento la sua forza, persino la sua bellezza.

(padre Rodrigues)


Il film è tratto dal romanzo "Silenzio" (1966) di Shūsaku Endo, considerato il capolavoro del suo autore e uno dei testi più importanti della narrativa giapponese del Novecento. Shūsaku Endo, scrittore giapponese e cristiano, fece della propria fede un tema centrale della propria poetica (altro suo testo fondamentale è "Vita di Gesù"). "Silenzio" racconta una vicenda ambientata in epoca Tokugawa, all'inizio del XVII secolo, quando il cristianesimo venne bandito dallo shōgunato. Il gesuita portoghese Rodrigues, insieme al collega Garupe, si reca in Giappone in cerca del suo maestro Ferreira, che si dice abbia abiurato. Sull'arcipelago nipponico vivrà le feroci persecuzioni ai danni dei convertiti, costretti all'apostasia o alla morte.
Del romanzo il film è trasposizione fedele (come già quello diretto nel 1971 da Masahiro Shinoda) e appassionata, com'era lecito attendersi da Scorsese, che da giovane aveva meditato di prendere i voti, qui alle prese con un progetto coltivato da decenni che ha evidenti e grandi risonanze con la sua sensibilità. Con la sua religiosità? Senz'altro, ma le affinità sono più estese.

Violenza e tentazione


In attesa dell'ultimazione del film, era lecito immaginare paralleli con i precedenti lavori del regista che più direttamente affrontano tematiche religiose, "L'ultima tentazione di Cristo" e "Kundun". È facile riconoscere la presenza quasi costante di un'ossessione religiosa sin dagli esordi del cineasta: si pensi alla crocefissione finale in "America 1929: sterminateli senza pietà" (1972) o al tormento di Charlie, il personaggio interpretato da Harvey Keitel in "Mean Streets". Certamente la fede è tema quantomai centrale in "Silence". Ma ad essa si affianca una delle più profonde riflessioni che Scorsese abbia mai compiuto sulla violenza. C'è tantissima violenza, in "Silence". Ben più che in "Quei bravi ragazzi" o in "Casinò": alla violenza fisica (torture e messe a morte sotto le più diverse specie) si affianca una insistente, tremenda violenza psicologica. A questo proposito, in più di una circostanza il film di Scorsese fa venire in mente "Furyo" di Nagisa Ōshima.
Una forma di violenza, quella psicologica, che può essere sintetizzata in una parola: tentazione. Come nel titolo del film del 1987. Che la violenza sia un tema scorsesiano per eccellenza è scontato, ma non mi pare sia stato visto spesso sotto la specie della tentazione. La tentazione è la forma con cui tipicamente si manifesta il Male: nei Vangeli, è il diavolo che tenta Cristo (torniamo al film del 1987). In "Silence", la violenza psicologica cui sono sottoposti padre Rodrigues (il sorprendente Andrew Garfield) e padre Garupe (Adam Driver) è delle più terribili: vien loro offerto il potere di sospendere l'uccisione dei convertiti al cristianesimo purché accettino di abiurare, rinnegare la propria fede. Volendo restare alla coppia di film sopra citati, anche il Dalai Lama di "Kundun" era oggetto di continue tentazioni da parte del regime di Mao. Ma provando a cambiare terreno, anche "The Wolf of Wall Street" non faceva che parlare di tentazione, quella del denaro e del successo facile (che cos'era il lupo di Wall Street, in fondo, se non un demone tentatore che faceva finire sul lastrico centinaia di americani?).

La violenza, in Scorsese, è anzitutto un modo di stare nel mondo, in tensione spasmodica, spesso intollerabile. A volte, necessità vitale. Un hobbesiano stato di natura: homo homini lupus.
Una delle intuizioni di messa in scena più efficaci, in "Silence", è costituita dalla scelta di ricorrere a forme visive di violenza psicologica. Rodrigues è costretto a guardare le torture e le uccisioni dei cristiani da dietro le sbarre di una prigione, e, in una delle sequenze più atroci, deve assistere da lontano, su una spiaggia, all'annegamento dei cristiani e alla sorte che sceglierà per sé padre Garupe, che non sa della sua presenza ed è lasciato solo a decidere della propria vita e di quella dei cristiani condannati.
A proposito di scelte di messa in scena, lo stile di "Silence" è asciutto e rigoroso (peccato solo per la recitazione in inglese anziché in portoghese). Come titolo comanda, la musica è quasi totalmente assente. Vi sono alcune concessioni enfatiche nella prima ora (dopo la quale il film acquisisce maggiore compattezza formale): non ci riferiamo tanto alla suggestiva plongée sulla scalinata, ripresa anche nel trailer, quanto a quella, digitale (di cui Scorsese avrebbe potuto fare a meno) sulla nave diretta in Giappone, che sta per incontrare una tempesta. O ancora ad almeno un paio di dolly ad allargare il campo, per isolare un personaggio in preda allo sconforto in un contesto a lui indifferente. Si tratta di sottolineature didascaliche dalla cui eliminazione la complessiva asciuttezza dell'opera avrebbe tratto giovamento.

Il Giappone di "Silence", esattamente come nel film di Shinoda, è un paese lugubre e inospitale, vessato dalla pioggia e immerso nel fango. In questo orizzonte di desolazione, la missione dei due gesuiti non è la conversione ma il conforto. I cristiani giapponesi si nascondono in grotte come i primi cristiani nelle catacombe (esplicitato dalla sceneggiatura, il rimando alla persecuzione dei cristiani da parte di Roma è uno dei tanti paralleli che il film esplicita con il Nuovo Testamento). Questi convertiti sono ferventi cristiani: cos'altro potrebbero, i due preti, se non cercare di dare conforto a chi ha una fede forse anche più incrollabile della loro? Soprattutto Rodrigues è assalito da mille dubbi, di fronte al silenzio di Dio che dà il titolo all'opera. In una scena è prigioniero in compagnia di cristiani giapponesi: lo vediamo in preda all'angoscia, colpito dalla seraficità con cui una contadina si appresta ad affrontare la morte, nella convinzione che la attenda il Paradiso.

Universi irriducibili

Ma questi giapponesi convertiti sono davvero cristiani? O sono, piuttosto, vittima di un'illusione? Ad esser convertiti sono stati i ceti più umili, la cui esistenza è la più dura e infelice: come dice la contadina a Rodrigues, non è il Paradiso un luogo dove esser felici di andare?
Ma è questo, il cristianesimo?
Per tutta la durata del film, i cristiani sono costretti ad abiurare sotto la forma del fumie, l'obbligo di calpestare immagini sacre. L'icona, per un occidentale, non è l'oggetto della devozione, ma solo una rappresentazione. Le autorità che impongono il fumie ripetono di continuo (tentatori!) che quel gesto costituisce una mera formalità. Ma sta proprio qui l'incolmabile divario fra Giappone e Occidente. Tutt'altro che una formalità, per un giapponese! Calpestare un'immagine sacra può essere puramente un gesto esteriore solo per un occidentale. Infatti Rodrigues, pur di salvare qualche vita, non esita a esortare: "Calpestate! Calpestate!". L'immagine è solo immagine (non c'è transustanziazione come nell'eucarestia): di fronte alla violenza, la fede interiore resterà intatta. Invece centinaia di giapponesi vanno incontro alla morte, privi del coraggio di calpestare un crocifisso. C'è qualcosa di incolmabile, un sentire radicato e profondo che identifica la sostanza con il feticcio. Ed è su quest'elemento che lavora la violenza psicologica degli emissari del potere. Ma allora, non ha ragione piuttosto Ferreira quando, nello straordinario segmento conclusivo del film, dove finalmente incontra Rodrigues, spiega al suo ex-allievo la distanza incolmabile fra Giappone e Occidente? Ferreira racconta che Francesco Saverio, pioniere delle missioni in Giappone, dovette chiedere anzitutto quale parola usare per indicare la divinità. "Dainichi", si sentì rispondere. "Vuoi che ti mostri il Dainichi?", dice Ferreira: e Scorsese stacca sul sole. "Nelle scritture Gesù risorge nel terzo giorno. In Giappone, il sole sorge ogni giorno", continua Ferreira: e così via, per sancire l'impossibilità di ricondurre il cristianesimo a una civiltà così lontana come quella giapponese. In precedenza, Rodrigues si era sentito dire da un interprete che i giapponesi sanno imparare la lingua straniera meglio "di quanto voi sappiate fare con la nostra. Voi non ci capite, non ci apprezzate, non capite le nostre usanze. Noi abbiamo già una religione: forse non ve ne siete accorti".

Libertà

Rodrigues è un uomo superbo: nel suo tormento, tende a identificarsi con Cristo. All'inizio del film, Scorsese si sofferma a lungo su un'icona di Cristo, che appare in controcampo perfettamente sovrapposta al volto di Rodrigues. Più avanti l'identificazione si fa esplicita: specchiandosi in un fiume, Rodrigues vede il volto di Cristo invece del proprio. È un'identificazione fonte di forza, che scaturisce dalla consapevolezza che, come Cristo, anche lui sta soffrendo nel silenzio del Padre, e, come Cristo, la sua sofferenza ha il senso di testimoniare agli altri una fede incrollabile anche se, personalmente, almeno in parte è portato a dubitare (proprio a causa di quel silenzio). Ma il richiamo della tentazione si fa sempre più potente, mentre, per tutto il corso del film, il personaggio di Kichijiro - uomo privo di forza interiore ma non cattivo, che tradisce, abiura e si confessa a ripetizione - è il vero specchio in cui Rodrigues è chiamato a riconoscersi. Ciò che non vuol essere, e cui i giapponesi vogliono ridurlo: un uomo spezzato dentro.
Di fronte alla consapevolezza della superbia del proprio ostinato volersi identificare con Cristo, di fronte al dubbio che il cristianesimo in Giappone non sia che una versione distorta della fede che pretendevano di diffondere, le sirene dell'abiura si fanno in Rodrigues sempre più suadenti, specie quando è posto di fronte alla scelta di una vita agiata in Giappone, con tanto di moglie (il parallelo con "L'ultima tentazione di Cristo" è ancora una volta strettissimo). Ma - anche se è vero che l'idea di diffondere il cristianesimo in Giappone era sbagliata, e che dunque può avere un senso cambiare il proprio ruolo in terra nipponica - dall'abiura non potrà scaturire un'identità più vera. Nessun avvicinamento a un sé più autentico può scaturire dalla violenza. Accettare le condizioni che gli sono proposte significa rinunciare alla libertà. Sudditi privati di una personalità: pedine prive di autonomia parti di un'armonia più grande dove non esistono individui liberi. Questo sono gli esseri umani nel Giappone del XVII secolo, e non solo.

Rodrigues è portato a riconoscere che, in quanto uomo, non potrà mai essere come Cristo (e che ogni tentativo di imitazione di Cristo non sfugge all'essere atto di superbia). Lo stesso vale per l'orgoglio occidentale di rappresentare con la propria civiltà il valore della Libertà. L'apostasia è ciò che richiede una cività centrata su autorità e obbedienza, quale era senza dubbio il Giappone Tokugawa. Ma vale solo per il Giappone? O il messaggio ha una valenza universale? Qui, crediamo, sta il maggior valore dell'operazione di Scorsese, che ha il merito di aver portato fuori dal Giappone un'opera concepita da Endo anzitutto come critica nei confronti del proprio paese. Il film di Scorsese è allegoria di un'ambiguità da cui sembra impossibile uscire. Non si dà fede senza autentica adesione interiore, e, dunque, senza libertà: ma di fronte alla civiltà giapponese descritta da "Silence", lo spettatore occidentale è sollecitato nella sua persuasione di appartenere a una civiltà che detiene il primato della Libertà individuale. E pecca di superbia esattamente come Rodrigues quando tende a identificarsi con Cristo.

L'ultima inquadratura del film svela un segreto: una delle pochissime aggiunte di Scorsese al testo di Endo. Quell'inquadratura, posta in conclusione, acquista un particolare significato. Forse, Rodrigues ha mantenuto interiormente la propria fede, e dunque la propria libertà. Ma, se lo ha fatto, comunque le sue azioni non hanno potuto corrispondervi. E allora è come dire: si può essere ciò che si è, ma solo nella propria interiorità. Il mondo, semplicemente, non consente di corrispondere a se stessi.
Il Male è sovrano di questo mondo. E il mondo, per Scorsese, è come il Giappone di Endo: una "palude" dove il bene non può mettere radici.


10/01/2017

Cast e credits

cast:
Adam Driver, Andrew Garfield, Liam Neeson, Shinya Tsukamoto, Tadanobu Asano, Ciarán Hinds, Yôsuke Kubozuka


regia:
Martin Scorsese


distribuzione:
01 Distribution


durata:
161'


produzione:
Cappa Defina Productions, Corsan, Emmett/Furla/Oasis Films, Sikelia Productions, AI-Film, Fábrica de


sceneggiatura:
Jay Cocks, Martin Scorsese


fotografia:
Rodrigo Prieto


scenografie:
Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo


montaggio:
Thelma Schoonmaker


costumi:
Dante Ferretti


musiche:
Kim Allen Kluge, Kathryn Kluge


Trama
Due gesuiti portoghesi partono per il Giappone alla ricerca di padre Ferreira, in missione per diffondere nelle isole il cattolicesimo. In Giappone conosceranno e subiranno le feroci persecuzioni condotte dallo shogunato ai danni dei convertiti, costretti all'apostasia. E una sorpresa finale attenderà i due gesuiti, proprio nella persona di padre Ferreira...
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