drammatico, giallo | Francia (2024)
Lo avevamo predetto in chiusura della nostra recensione di "Mon crime" e così è stato: nuovo anno (se consideriamo l’uscita in Francia nell’autunno 2024), nuovo lungometraggio di François Ozon (il 23° in poco più di trent’anni di attività), nuovi territori esplorati, a partire da quanto affrontato in precedenza. "Sotto le foglie" inizia introducendo lo spettatore nella chiesa del piccolo paesino della Borgogna dove si svolgono le vicende. La prima immagine della protagonista Michelle (Hélène Vincent) è della sua nuca, primo elemento di disturbo di un’operazione che molto gioca sul depistamento. Allo stesso modo, il suo coinvolgimento nella cerimonia avalla l’idea, stereotipata, di donna anziana devota e di buon cuore, poi minata dal prosieguo della storia.
Il film continua mostrandoci, con lunghe inquadrature in cui la cinepresa resta spesso immobile in campo medio, la quotidianità di Michelle, che vive tranquilla in campagna tra la cucina, l’orto e il bosco dove si reca per raccogliere funghi con l’amica Marie-Claude (Josiane Balasko). Più stiamo a osservare i personaggi, più in fondo non li capiamo e non li avremo inquadrati nemmeno alla fine della storia, complice anche un montaggio che mette in ellissi le principali svolte della narrazione, lasciando alle testimonianze dei personaggi (fallaci e contradditorie) il compito di riscostruirle. A partire dall’immagine dei funghi velenosi che trova nella sua raccolta, ben presto l’idillio viene spezzato dall’irruzione del male: l’avvelenamento di Valerie, figlia di Michelle.
Si innesca così la dimensione mystery, che apparentemente richiama Agatha Christie: il microcosmo chiuso dove avviene un omicidio, che lascia emergere il marcio nel sereno mondo borghese. Qui però l’intreccio si fa sempre più intricato e non c’è detective, non c’è poliziotta che possa risolvere il mistero e restaurare la pace. Si scivola dunque in "Sotto la sabbia" (il lungo di Ozon più vicino a "Sotto le foglie" a livello narrativo e di messa in scena) e nel cinema di Alain Guirandie. Con "L’uomo nel bosco" in comune troviamo l’ambientazione e il velo di opacità sui personaggi, ma non (sorprendentemente, parlando di Ozon) l’analisi della loro sessualità. Eppure "Sotto le foglie" rimane un’opera genuinamente queer in quanto saltano tutte le etichette, tutti i confini: colpevole/innocente, atto doloso/atto incidentale, bene/male.
Ozon, del resto, cineasta queer lo è fin dai suoi primi cortometraggi ("Une robe d'été"), attraverso storie che hanno per lo più messo al centro ragazzi e ragazze ("Estate ‘85", "Mon crime" i più recenti). Raccontando di più generazioni, il suo ultimo lavoro si apre allora al concetto di nucleo alternativo, che il regista aveva accennato in "Il tempo che resta" e che qui tratta cogliendo l’eredità di Josiane Balasko, interprete di Marie-Claude e in precedenza regista/sceneggiatrice di opere fieramente femministe (la più celebre, "Gazon Maudit", 1995). Come in quest’ultimo, in "Sotto le foglie" si fanno e si disfano coppie e triangoli non tradizionali: Michelle/Marie-Claude/Vincent (figlio di quest’ultima), poi Michelle/Lucas, suo nipote, e infine Michelle/Lucas/Vincent. Alle radici, c’è per Lucas una madre, Valerie, incapace di prendersi cura del figlio e di voler bene alla propria madre; un padre lontano e distaccato, l’ennesima pessima figura genitoriale in Ozon, da "Sitcom" (1998) a "È andato tutto bene" (2021).
A segnalarne la nascita è ancora una volta la regia, che, rifacendosi a certe direttrici del cinema statunitense classico (a proposito di fluidità, per un autore tematicamente molto moderno), è funzionale alla narrazione con accorgimenti quasi impercettibili. Quando Michelle e Marie-Claude aspettano Vincent all’uscita di prigione, la cinepresa si colloca a distanza per poi piano piano avvicinarsi a loro. Uno stacco e li vediamo insieme nell’angusto abitacolo dell’auto, e un’immagine simile torna alla fine della storia.
Se dunque le azioni, o l’interiorità stessa dei personaggi, rimangono insondabili, quello che conta, sottolinea il regista, sono i sentimenti. I protagonisti sanno donare sincero affetto: si accennano per come sono, superando pregiudizi e non lasciando che il passato sia zavorra sul presente. Basi solide per forti legami che assurgono a ripari dal mondo circostante, sia di città (incarnata da Valerie) sia di campagna, che rivela mentalità ben poco aperta: su questo fronte, Ozon si avvicina al cinema di Jacques Audiard, si veda in particolare "Regarde les hommes tomber" e "Un sapore di ruggine e ossa". Allo stesso tempo, il ritratto dei protagonisti, che forse (o forse no) si macchiano di (ingiustificabili?) crimini, è, come accennato, tutt’altro che esemplare, fuori dalle dicotomie buoni/cattivi, empatia/condanna.
In un panorama cinematografico dove domina il "nuovo letteralismo", ovvero quella tendenza a esplicitare temi e messaggi dell’opera, che sia attraverso i dialoghi o le immagini, Ozon non guida lo spettatore verso un (pre)definito approdo: gli permette di farsi una propria opinione su cosa e chi vede sullo schermo. Un appello alla sua intelligenza che oggi è un atto quasi sovversivo.
cast:
Garlan Erlos, Ludivine Sagnier, Pierre Lottine, Josiane Balasko, Hélène Vincent
regia:
François Ozon
titolo originale:
Quand vient l'automne
distribuzione:
BIM
durata:
103'
produzione:
François Ozon
sceneggiatura:
François Ozon
fotografia:
Jérôme Alméras
scenografie:
Christelle Maisonneuve
montaggio:
Anita Roth
costumi:
Pascaline Chavanne
musiche:
Evgueni, Sacha Galperine