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recensione di Luca Sottimano
5.5/10

C’è un problema di fondo nella sceneggiatura dell’ultimo lavoro di Mia Hansen-Løve, "Un bel mattino", che riguarda il modo in cui il film si pone nei confronti dello spettatore. Verso la fine, la protagonista spiega alla figlia come la grande libreria del padre Georg, professore di filosofia affetto da una malattia neurodegenerativa, sia uno specchio della sua anima, sottolineando proprio come questo sia rappresentato dai variegati colori delle copertine. Peccato che sul valore simbolico degli interni, case di intellettuali borghesi piene di volumi, il film faccia leva dal primo minuto, così come sul marcato gioco di colori che si crea tra questi e i personaggi. Un' esplicitazione verbale di quello che già mostrano le immagini, superflua e anche un po’ sfacciata, a dirla tutta. Ora, incaponirsi su una singola linea di dialogo potrebbe sembrare futile, ma qui questo passaggio diventa discutibile per il contesto in cui è inserito. In un film pieno di riferimenti a scrittori e filosofi, che ipotizziamo possa rivolgersi ad un pubblico colto, risulta infatti quasi una sottovalutazione delle capacità di quest’ultimo. E non solo: se il coté letterario ne "Le cose che verranno", precedente film della regista/sceneggiatrice, trovava riuscita intersecazione con le vicende della protagonista, in "Un bel mattino" non è altro che generica caratterizzazione del personaggio di Georg, in un calderone di vuote citazioni che mescola Kafka, Kant e altri nomi celebri. Una spia di come tutto l’intreccio di quest’ultimo film non sia all’altezza dei precedenti, segnando un momento di appannamento dell’autrice nel riproporre la sua poetica consolidata, che speriamo sia solo momentaneo.

Dopo le trasferte di "Maya" e di "Sull’isola di Bergman", "Un bel mattino" rappresenta infatti un ritorno a casa per Hansen-Løve. In termini di ambientazione (Parigi) ma soprattutto in termini di tematiche e stile, sempre più rohmeriano che assayassano, o meglio sempre più hansenloviano. Come in "Le cose che verranno", al centro c'è una madre single con figli, che deve reinventare la propria vita. Ma se in quest’ultimo il personaggio di Isabelle Huppert, Nathalie, incarnava anche la dimensione intellettuale (in quanto insegnante di filosofia), in "Un bel mattino" questa è rappresentata dal padre della protagonista, che ha la medesima professione. La figlia, Sandra, è invece una traduttrice, che vede la cultura soprattutto come il mezzo in cui la memoria del genitore sarà conservata quando quest’ultimo non ci sarà più. La casa di Georg, come quella di Nathalie, è piena di scaffali con tanti volumi, le cui copertine colorate giocano su un’ampia palette cromatica rispecchiata dagli abiti dei personaggi, spesso blu o rossi, e ancora dalle gote dell'interprete di Sandra, Lea Seydoux. Una valenza simbolica assente nell’altra opera che però sembra quasi nascondere la minor stratificazione a livello di contenuto. "Le cose che verranno" metteva infatti in scena uno scontro intergenerazionale, raccontando di come gli ideali della protagonista, ormai matura, si scontrassero con quelli dei giovani nel mondo odierno. In "Un bel mattino" la cultura diventa mera peculiarità del padre, e il focus sulla scrittura il modo in cui evidenziare il portato della sua malattia: dopo aver fatto della produzione letteraria tutta la sua vita, ora non può più vedere e dunque dedicarsi a questa.

Specificità dell’intreccio di "Un bel mattino" è poi il mostrare i parenti a discutere su cosa fare dell’eredità di George, i suoi libri appunto. C’è in nuce il tema della casa come luogo dell’anima, da svuotare e rivitalizzare altrove, dell’oggetto artistico come souvenir di un’intera esistenza. Siamo dalle parti di "L’ Heure d’èté" di Olivier Assayas (con al centro i beni dello zio dei protagonisti, famoso pittore e collezionista), ma senza la riflessione acuta sul tempo e sul cinema presente in quest’ultimo film. Inoltre, il potenziale lato "oscuro" della cultura, di cosa può avere comportato una vita dedita completamente ai libri, viene solamente accennato, perché Hansen-Løve è troppo innamorata dei suoi personaggi. O forse in fin dei conti quasi del suo stesso cinema, delle sue ossessioni, arrivando vicino a un altro recente esito infelice di un’altra grande cineasta francese: "Incroci sentimentali" di Claire Denis.

Ma "Un bel mattino" è anche una storia sentimentale. Mentre si deve occupare del genitore, Sandra riallaccia i rapporti con un vecchio amico, Clément, sposato con un figlio, del quale diventa presto amante. I due si concedono, si lasciano e poi si riabbracciano. La condizione del padre diventa per lei un monito ad accogliere i sentimenti, a non sprecare il proprio tempo, a vedere le persone care e quello che le sta intorno. La protagonista, sul versante sentimentale, ha diversi tratti in comune con quella interpretata da Lola Creton in "Un amore di gioventù". Passa tutto il tempo in una dimensione malinconica, anche nei momenti di intimità con l’uomo, afflitta dalla condizione del padre e da un malessere che porta sempre con sé. Alla prima collaborazione con Hansen-Løve, Lea Seydoux aderisce bene al suo stile minimalista. La regista pone lo sguardo sulla figura femminile e sul suo desiderio lasciando che le emozioni sgorghino nel modo più naturale possibile, in particolare quel tentativo di trattenere qualcosa che è impossibile trattenere.

Nel raccontare questi due piani narrativi, la storia passa attraverso tutte le stagioni, primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera, aspetto in cui la fotografia gioca un ruolo cruciale. Il caldo che si percepisce quando Sandra e Clément stanno insieme cozza con il freddo perenne all’interno dell’abitazione del padre. Denis Lenoir dà in particolare il suo meglio nelle parti in esterni dove, in estate, la luce del sole è in primo piano rendendo traslucide le figure ed entrando dalle finestre. In autunno gioca invece sui tipici colori ocra e in inverno su quelli freddi. La componente visiva è dunque uno dei punti di forza del film, che rimane apprezzabile anche nel modo di delineare la geografia e le geometrie dei sentimenti, la sincera goffaggine delle relazioni, nel tratteggio della figlia di Sandra, piccola ma già molto sveglia. Ma se consideriamo la sostanza dell’intreccio, come spiegato, "Un bel mattino" lascia molto a desiderare. Senza, in conclusione, dimenticare i tanti spunti lanciati nel mucchio e non approfonditi (la "malattia" della figlia, la professione della protagonista) e un finale che, mostrando un'epifania alla "Il raggio verde", non può che suggellare la distanza dal modello. 


19/01/2023

Cast e credits

cast:
Léa Seydoux, Melvil Poupaud, Pascal Greggory, Nicole Garcia


regia:
Mia Hansen-Løve


titolo originale:
Un beau matin


distribuzione:
Teodora Film


durata:
112'


produzione:
Les Films Pelleas, Razor Film Produktion, Arte France Cinéma


sceneggiatura:
Mia Hansen-Løve


fotografia:
Denis Lenoir


scenografie:
Mila Preli


montaggio:
Marion Monnier


costumi:
Judith De Luze


Trama
Sandra è una madre single che lavora come interprete e si trova ad affrontare un momento di grande incertezza nella sua vita: suo padre è malato e sempre meno autosufficiente, mentre l’incontro casuale con un vecchio amico, Clément, si trasforma presto in una relazione appassionata. Clément però è sposato e Sandra non può abbandonarsi a questo grande amore come vorrebbe…
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