Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
6.5/10

Per il loro nono lungometraggio, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti hanno scelto un titolo, "Un documento", degno dell’approccio rigoroso che ha connotato l’ultima parte della loro filmografia, quella che comprende "Guerra e pace", "Una giornata nell'archivio Piero Bottoni" e "Bestiari, erbari, lapidari". Un approccio qui portato alle estreme conseguenze del rigore assoluto, formale e contenutistico.

Siamo nell’Ospedale Niguarda di Milano, nel Dipartimento di Salute Mentale, in cui è stato creato un Servizio di Etnopsichiatria, considerato il sempre crescente numero di persone provenienti da altri paesi che si rivolgono a quell’ospedale - e a quel dipartimento in particolare - per problematiche varie tra cui quelle legate ai traumi derivanti dall’emigrazione in Europa e dal passato che li ha costretti a compiere quel passo.
Un progetto rivolto principalmente agli immigrati e ai senza fissa dimora, ossia a coloro che non hanno una residenza e dunque un servizio territoriale di riferimento che possa assisterli per le questioni psichiche e psicologiche.
In una stanza dell’ospedale riadattata a luogo d’ascolto assistiamo a tre sedute di psicoterapia individuale di un giovane paziente originario del Congo, giunto in Italia, dopo essere stato anche in Francia, per fuggire alla violenza e a un futuro di guerra, l’unico che poteva garantirgli il suo paese. Con lui ci sono una psicologa, uno psichiatra e una mediatrice linguistica che traduce dal francese, lingua in cui si esprime il ragazzo.

Le riprese risalgono al gennaio 2018, quasi sette anni prima dell’uscita del film, presentato nel novembre 2024 al Filmmaker Festival.
Sette anni che chiaramente non sono stati dedicati alla post-produzione, visto che il film consta di soli tre campi fissi in piano medio, di circa mezz’ora l’uno di durata, ciascuno senza stacchi di montaggio, né montaggio sonoro. Sette anni che sono serviti, invece, a maturare la necessaria distanza e consapevolezza da un progetto letteralmente ripescato dai cassetti (o per meglio dire dagli hard disk).
Le riprese erano state infatti pensate inizialmente come possibile integrazione del decisamente più strutturato "Guerra e pace", che trattava il tema dei conflitti con una ripartizione cronologica tra passato remoto (la guerra in Libia del 1911-1912 ripercorsa attraverso le fotografie e i filmati d’epoca), il passato prossimo (il segmento ambientato nell’unità di crisi della Farnesina), il presente (la scuola militare francese per creare professionisti dell’immagine di guerra; gli addestramenti della legione straniera) e il futuro (l’epilogo dedicato alla conservazione dell’immagine e dunque alla memoria).
Le riprese al Niguarda si sarebbero integrate con il film del 2020 per una evidente affinità tematica: da un lato la guerra, centrale anche in questo "Un documento"; dall’altro la pace, nella sua declinazione di pace interiore, uno degli obiettivi della psicoterapia. La pace è nel tentativo di ricordare i momenti positivi rimasti nella memoria del giovane, sebbene soverchiati da cattivi pensieri e ricordi. La pace è lo sguardo verso il futuro e le prospettive che si possono aprire nella vita del ragazzo, la necessità di guardare avanti a ogni costo, creando il proprio avvenire.
La comunanza dei temi non è ad ogni modo stata ritenuta dai due registi elemento sufficiente per integrare almeno una parte delle riprese al Niguarda nel film che sarebbe stato presentato a Venezia nel 2020. C’è del resto una diversità sostanziale tra le due opere, senza contare che il messaggio veicolato da "Un documento" raggiunge la sua piena e autonoma compiutezza soltanto sulla lunga durata, cosa che si sarebbe mal conciliata con gli inevitabili rimaneggiamenti necessari all’incasellamento in un lungometraggio strutturato in capitoli eterogenei.

Eppure, con "Guerra e pace" questo "Un documento" condivide anche il tema dell’immagine, che era centrale soprattutto nel primo e nel terzo segmento del film del 2020.
Qui, tuttavia, il tema dell’immagine non è affrontato e discusso a livello teorico. In "Un documento" si fa teoria dell’immagine con una scelta pratica del tutto radicale, quella di un’immagine completamente statica, bloccata sui due professionisti senza mai inquadrare il paziente. Una scelta che più drastica non si può, quella della totale negazione del controcampo, i cui motivi, però, paiono chiaramente ben diversi da quelli che avevano portato in passato a qualcosa di simile, in film di finzione, per ragioni artistiche e stilistiche.
Il rifiuto del controcampo non è sicuramente dettato da ragioni di privacy o di riservatezza, o di tutela del paziente, obiettivi che ben si sarebbero potuti ottenere in altri modi, ad esempio inquadrando soltanto il busto o le mani del ragazzo, oppure riprendendolo di schiena e mostrandone quindi soltanto la nuca, o in altri modi ancora. L’immagine bloccata sui due professionisti non è nemmeno, a rigore, una focalizzazione su un presunto alter ego dello spettatore, visto che psichiatra e psicologa in realtà interagiscono con il paziente, ponendogli domande o rielaborando le sue riflessioni.
Si può dire che con questa scelta D’Anolfi e Parenti arrivino a negare completamente l’immagine, a favore dell’immagine evocata. L’immagine, insomma, lascia spazio all’immaginazione. Non sorprende, dunque, che i due registi avessero addirittura concepito una versione del film con lo schermo completamente nero.
Contestualmente all’abiura nei confronti dell’immagine, si riportano al centro del discorso cinematografico i dialoghi e le parole, come era del resto avvenuto nel primo lungometraggio documentario dei due registi, "I promessi sposi", che peraltro abbracciava i ben diversi toni della commedia di costume e in cui comunque non vi era una scelta di forma così radicale (in quel caso a non essere inquadrati - o, meglio, a essere inquadrati di schiena - erano i funzionari dello stato civile e comunque soltanto per una porzione dell’opera).

Con questo film rigorosissimo D’Anolfi e Parenti si discostano da quella fase mediana della loro carriera (culminata in "Spira mirabilis") che li aveva portati ad abbracciare un approccio più lirico e spirituale ai temi trattati, di stampo herzoghiano.
Nel farlo, proseguono la strada intrapresa negli ultimi anni di un’idea di documentario di taglio fortemente wisemaniano, con un’attenzione alla persona e all’istituzione, ma tornando altresì alle origini e valorizzando l’importanza della parola rispetto all’immagine.


07/03/2025

Cast e credits

regia:
Massimo D Anolfi, Martina Parenti


distribuzione:
Rai


durata:
102'


produzione:
Montmorency Film


fotografia:
Massimo D'Anolfi, Martina Parenti


montaggio:
Massimo D'Anolfi, Martina Parenti


Trama
Tre sedute di psicoterapia di un paziente originario del Congo, svoltesi all’Ospedale Niguarda di Milano, alla presenza di una psicologa e di uno psichiatra.