Ondacinema

recensione di Alessandro Viale
Sono anni vorticosi per le arti, e il cinema si ritrova nella corrente della rivoluzione avanguardista ancora tanto giovane da non essere nemmeno sviluppato nella sua odierna forma di audio-visivo. 
Ribaltare il linguaggio senza averlo ancora fermato in un codice universale, storicamente una libertà forse mai più ripetibile. Sono i tempi del Dadaismo (il manifesto tardivo è del 1918) e del Surrealismo (1924). Tempi in cui il cinema mondiale cerca nuove forme in opposizione al cinema romantico1. Sono anni, con tutto quello che ne possa conseguire, di "pace" fra le due guerre mondiali. In Giappone il 1926 è l'anno in cui inizia formalmente il regno di Hiroito e con lui il periodo Shōwa. È un periodo fertile per cambiamenti e riflessioni, con l'instabilità di una guerra terminata da poco, l'altra già in nuce e sul trono quello che sarà l'imperatore più longevo della storia. In questo contesto, e proprio in quel 1926, viene realizzato "Una pagina di follia".

Il regista è il trentenne Teinosuke Kinugasa, celebre per essere uno dei nomi di punta della Nippon Katsudō Shashin, meglio nota come Nikkatsu Corporation. Kinugasa è uno dei più famosi onnagata (attori maschi che interpretano ruoli femminili, detti anche oyama) dell'epoca. In cinque anni, dal 1917 al 1922 (anno a partire dal quale i ruoli femminili nei film giapponesi vennero interpretati esclusivamente da attrici2) gira da attore circa cento film.
Kinugasa lascia la Nikkatsu per unirsi alla compagnia del maestro del cinema muto Shozo Makino, la Makino Kinema, per poi, nel 1925, fondare la propria casa di produzione che prende il nome di Kinugasa Eiga Renmei. Sappiamo di certo che i soldi a disposizione erano pochi, tanto che molti tra attori e operatori accettarono di lavorare gratis e di vivere praticamente sul set3. Sempre dalla stessa fonte si dice che gli attori si prodigavano a spingere i carrelli o aiutare con i macchinari.
Kinugasa si fece prestare dalla Shochiku un teatro di posa per girare l'intero film, ma, sempre per la mancanza di fondi, aveva a disposizione troppi pochi punti luce, e per sopperire all'eccessiva oscurità delle scene dipinse con una vernice argentata tutte le pareti del set. Forse è la nascita del cinema indipendente giapponese. Il film esce nei cinema ma non è un successo, impossibile che lo sia. Stare fuori dai circuiti delle major significava non avere visibilità nelle sale, essere tagliati fuori sostanzialmente dalla possibilità di avere dei profitti interessanti da un film. Infatti Kinugasa andò praticamente in bancarotta, e diresse nei due anni successivi più di dodici film.

Il film viene distrutto in un incendio presso gli studio Shimogamo nel 1950. E per altri venti anni è considerato perduto per sempre. Fino a che, si dice, lo stesso regista nel 1971 ritrova un negativo e una pellicola sviluppata in proprio magazzino a casa (si dice nel capanno degli attrezzi in giardino). Dopo quarantasette anni il film può essere di nuovo proiettato. Tagliato di circa mezz'ora. Con una nuova, o meglio con in aggiunta una colonna sonora, perfetta, curata da Muraoka Minoru (che appena l'anno precedente aveva licenziato uno dei suoi album più noti: "Bamboo"), Kurashima Toru (Noburu Kurashima, tecnico del suono per il maestro Nagisa Ôshima ne "La cerimonia").
Come è ben noto ai cinefili, all'epoca nei cinema in Giappone i film erano accompagnati da un recitato di attori presenti in sala per far meglio comprendere lo sviluppo della narrazione. Infatti "Una pagina di follia" non ha didascalie. Si presenta come un flusso di incoscienza in immagini. 
Ne deriva una difficile comprensione di alcuni passaggi di trama nella visione odierna. E il dispiacere è notevole. 
Come giustamente fa notare Vlada Petrić nel saggio "A page of Madness: a neglected masterpiece of the silent cinema": "The fact remains that historically Kinugasa made the first full feature film whose plot development is radically subverted, while its cinematic structure includes virtually every film device known at the time"4, e  questi dispositivi-tecniche (devices) sono funzionali al racconto, allo sviluppo della storia, inserendo di fatto il film non tanto nel filone delle avanguardie ma più in un cinema "classico", narrativo. E uso la parola "classico" non solo per gusto provocatorio. Ma per sottolineare il fatto che questo film ha una sua forza prima di tutto inserendosi in un contesto che non sia quello sperimentale. I momenti più destrutturati nel montaggio o con i movimenti di macchina più arditi, sono materia stessa di narrazione. Cinema allo stato puro.

Ma al di là di espressioni altisonanti, di purezza di cinema si dovrebbe disquisire in altre sedi. Quel che risulta interessante di "Una pagina di follia" è il bilico, il labile equilibrio fra film d'avanguardia e film, diciamo per distinguerlo dal primo, narrativo. Forse è un appunto di nessun rilievo, ma è curioso vedere come la pellicola stia fra i due stati. Come a superare una distinzione che in realtà si fa spesso, e a ragione, per film simili. Si sofferma in proposito Mariann Lewinsky, che in una lunga intervista5 sul film di Kinugasa afferma: "To treat A Page of Madness as a purely aesthetic achievement and considering its narrative as irrelevant reduces the film to a formalistic tour-de-force. But the narrative has an essential function since it provides the human basis of emotions and sets the tone of atmosphere and - even at its most experimental, the film never ceases to be a fictional film unfurling the drama of fictional protagonists, (with the exception of maybe the first few minutes, but then beginnings have their own rules, until the effect of fiction sets in.)"6.
Infatti i nomi che si citano in vari saggi e articoli, ovviamente in maniera condivisibile e ragionata, accostati a "Una pagina di follia" sono "L'ultima risata" di Murnau, "La rosa sulle rotaie" di Abel Gance, ancor prima di altri titoli più legati strettamente alle avanguardie artistiche.

Per i motivi di cui sopra la trama è di difficile comprensione, soprattutto nei suoi passaggi di flashback e negli sviluppi dei rapporti fra i protagonisti. Si consiglia di leggerla prima della visione, che probabilmente su un film di novanta anni il rischio di spoiler è già decaduto. Comunque di seguito la sinossi:
Durante una furiosa notte tempestosa, una ballerina rinchiusa in un manicomio danza nella sua cella. Il marito va a lavorare come inserviente nell'ospedale, dopo il ricovero della donna, anche perché si sente in colpa per averla abbandonata tempo prima, quando faceva il marinaio. La donna in passato ha tentato il suicidio provocando la morte, per annegamento, del giovanissimo figlio.
Il giorno successivo, la figlia maggiore della coppia fa visita alla madre per annunciarle il suo imminente matrimonio.
Senza un motivo evidente di fronte alla cella della ballerina scoppia una violenta rissa. La donna viene malmenata da un ospite del manicomio e per difenderla il marito picchia il pazzo e viene per questo rimproverato dal direttore.
L'uomo guardando fuori dalla finestra vede una manifestazione, con molta gente allegra, e inizia a immaginare di vincere alla lotteria un comò, da regalare come corredo per la figlia.
La ragazza ha paura che il fidanzato la possa lasciare per colpa della situazione della madre, il padre allora cerca di far evadere la moglie, che però, spaventata dal mondo esterno non riesce a scappare.
L'inserviente allora fa un incubo terribile: prima la figlia è in balia di tre pazzi, poi c'è una rissa con il primario dell'ospedale, e in chiusura la figlia si sposa con uno dei pazzi incontrati nel manicomio.
L'incubo si trasforma in un sogno, e sui volti dei malati vengono poste delle maschere sorridenti, e così tutti sembrano finalmente felici.
Ma al mattino ogni cosa torna al suo posto.

La sceneggiatura è firmata da Kinugasa stesso, Bankô Sawada, Minoru Inuzuka (noto successivamente in occidente per le sceneggiature della serie di film con protagonista il massaggiatore cieco Zatoichi) e Yasunari Kawabata. A quest'ultimo sono attribuiti il soggetto e l'idea iniziale. Kawabata, che nel 1968 vinse il premio Nobel per la letteratura, in quegli anni era molto attivo nello sviluppo del Movimento Neopercezionista (Shinkankakuha) in collaborazione, fra gli altri, con Yokomitsu Riichi. Proprio Yokomitsu Riichi dà una sintetica e precisa definizione della corrente: "The phenomenon of perception for the Shinkankakuha is, to put it briefly, the direct, intuitive sensation of a subjectivity that peels away the naturalized exterior aspects and leaps into the thing itself"7. E di riflesso rivela le intenzioni del lavoro di Kawabata nella sceneggiatura di "Una pagina di follia", che a tutti gli effetti è da considerarsi un lavoro neopercezionista. Il mettere in scena la follia, con gli strumenti propri del cinema, il suo linguaggio (inquadratura, montaggio...) cercandone in qualche modo la trasposizione sensoriale. Il contenuto che diventa forma rivela una forza devastante, anche a novanta anni di distanza e azzarderei a dire anche fra duecento anni sarà lo stesso. Perché qui non si tratta nemmeno di rappresentazione, cioè di mostrare o, peggio, dimostrare. Come spesso capita nei film. Ma di rivelare attraverso il materiale filmico un'idea, oltrepassando i limiti del reale.




1 Lo spunto è preso da The Story of Film: An Odissey di Mark Cousins.
2 Enciclopedia Treccani del Cinema.
3 The cinema of Japan and Korea di Justin Bowyer.
4 L'intervista integrale si trova qui.
5 "Resta il fatto che toricamente Kinugasa ha realizzato il primo film il cui lo sviluppo della trama è radicalmente sovvertito, mentre  la sua struttura cinematografica include virtualmente ogni dispositivo conosciuto all'epoca".
6 "Trattare 'Una pagina di follia' esclusivamente come un capolavoro estetico e considerare la sua narrazione irrilevante riduce il film a un tour de force formale. Ma la narrazione ha una funzione essenziale in quanto fornisce le basi umane delle emozioni e stabilisce una particolare atmosfera e - anche quando si fa più sperimentale - il film non cessa mai di essere un film di finzione che svolge il dramma dei suoi protagonisti fittizi (ad eccezione forse dei primi minuti, ma gli inizi hanno le loro regole, sino a che l'effetto della finzione viene introdotto)".
7 "Il fenomeno della percezione per Shinkankakuha è, per farla breve,  la diretta, intuitiva sensazione di una soggettività che toglie via gli aspetti esteriori naturalizzati e si getta nella cosa stessa".

25/12/2017

Cast e credits

cast:
Masao Inoue, Ayako Iijima, Yoshie Nakagawa


regia:
Teinosuke Kinugasa


titolo originale:
Kurutta Ippēji


durata:
59'


produzione:
Kinugasa Eiga Renmei


sceneggiatura:
Yasunari Kawabata, Teinosuke Kinugasa, Minoru Inuzuka, Bankô Sawada


fotografia:
Sugiyama Kohei


scenografie:
Ozaki Chiyo


montaggio:
Kinugasa Teinosuke


costumi:
Hayashi Kazaku


musiche:
Muraoka Minoru, Kurashima Toru (versione 1971)


Trama
Durante una furiosa notte tempestosa, una ballerina rinchiusa in un manicomio danza nella sua cella. Il marito va a lavorare come inserviente nell'ospedale, dopo il ricovero della donna, anche perché si sente in colpa per averla abbandonata tempo prima, quando faceva il marinaio. La donna in passato ha tentato il suicidio provocando la morte, per annegamento, del giovanissimo figlio. Il giorno successivo, la figlia maggiore della coppia fa visita alla madre per annunciarle il suo imminente matrimonio.