Ondacinema

recensione di Stefano Santoli
7.0/10

“Western Stars” per metà è un film concerto, corrisponde alle riprese delle esibizioni dal vivo di tutte le tracce dell’ultimo album omonimo. Esibizioni per pochi amici, tenutesi nell’aprile del 2019 nel bellissimo fienile che si trova all’interno delle tenute di Bruce Springsteen. Per l’altra metà è una collezioni di aforismi, riflessioni recitate da Bruce Springsteen su immagini appositamente girate nel Joshua Tree National Park, che traggono spunto di volta in volta da una delle canzoni dell’album per allontanarsene e prendere la via di una meditazione più generale sull’esistenza. Prese nel loro insieme, queste riflessioni vanno a comporre un flusso di coscienza unitario, interrotto di volta in volta da una delle canzoni dell’album, flusso che si configura come una sorta di bilancio interiore, una summa ragionata della propria poetica. In questo l’impostazione dell’opera ricalca quella dei concerti tenuti per oltre un anno e mezzo in un teatro di Broadway, che, come testimoniato dal relativo film e album “Springsteen on Broadway” del 2018, vedevano una selezione di canzoni intervallate da lunghi monologhi autobiografici. Che si tratti di un film speciale per Springsteen lo dimostra anche il fatto che, a differenza di precedenti lavori del fido Thom Zimny dedicati al making of di album storici (“Born to Run”, “Darkness on the Edge of Town”, “The River”) composti da materiale d’archivio, in questo caso il musicista ha voluto giustapporre a quella di Zimny la propria firma in qualità di regista.

Sulla copertina dell’album campeggia, in mezzo a un paesaggio desertico, un mustang, un cavallo selvatico senza sella. Simbolo di libertà individuale, la libertà del vagabondo di tante ballate springsteeniane, fra le quali “Hitch Hikin’”, traccia d’apertura di “Western Stars”. Una delle primissime scene del film ci mostra un mustang che si unisce ad un branco, entrando al galoppo nello schermo da un angolo. La dialettica fra libertà individuale e legami affettivi (anzitutto familiari) è il tema centrale di “Western Stars”. È la dialettica che divide l’autostoppista protagonista di “Hick Hickin’” dal padre che attende il figlio in “Tucson Train”. Tutti gli argomenti toccati da Springsteen appaiono ramificazioni di questo tema di fondo. E la dialettica fra individuo e collettività, libertà e doveri, in fondo è anche quella fra lo Springsteen settantenne di oggi, marito e padre da tre decenni, e lo Springsteen più giovane, ventenne e poi trentenne, di quella fase della sua vita che arriva al 1984 – metà esatta della propria esistenza (i 35 anni danteschi!) – anno di pubblicazione di “Born in the USA”, ultimo di una serie di album che costituiscono il corpus più significativo della sua opera, in cui si racchiude, con poche modifiche ulteriori, la sua poetica.

Man mano che il film procede, “Western Stars” si delinea sempre più quale una particolare forma di preghiera rivolta al suo pubblico. Non semplicemente un bilancio autoreferenziale, ma una serie di inviti ed esortazioni: quasi un lascito spirituale. Un elemento importante ne è l’insistenza sulla necessità di custodire le cose che più stanno a cuore senza darle per assodate; la consapevolezza dell’incerto, dell’impermanenza di ciò che si crede conquistato per sempre e può svanire in un attimo. Vi si accompagna una severità di autocritica sorprendente, in quanto esposta con serenità, come da chi si è messo davvero alle spalle i lati più ruvidi del proprio io, quelli più spigolosi e misantropi (“volevo a lungo ferire chi mi amava. Ho trascorso 35 anni per cercare di rimuovere questa parte di me”). Anche l’autocritica non è autoreferenziale ma rivolta a noi: Springsteen sembra voler rasserenare chi lo ascolta, esortando alla stessa serenità che traspare dalle sue parole. Non c'è nessuno che non abbia commesso errori, sembra dire: non fatevene una colpa, servitevene per elevarvi. È uno Springsteen pacificato quello di “Western Stars”. Come dall’album, traspare soprattutto solarità da questo film, anche se… di tipo crepuscolare, com’è crepuscolare - quasi in un ossimoro - “Hello Sunshine”, il primo singolo estratto.  

L’amore, la vicinanza degli affetti, ad allontanare il destino dei tipi solitari protagonisti di alcune ballate, che hanno visto sfumare i sogni o le illusioni, e sono rimasti con un pugno di mosche in mano. Il rapporto coniugale con Patti Scialfa diventa allora un approdo, e la conferma che la dialettica fra libertà e responsabilità si può risolvere in armonia. Niente forse dice tutto più semplicemente dell’affermazione secondo cui “dall'amore deriva la creatività”, che sfata in un istante il luogo comune per il quale la creatività dovrebbe derivare dal tormento e dalla mancanza di serenità. Niente di più falso, a sentire Springsteen.


06/12/2019

Cast e credits

cast:
Bruce Springsteen, Patti Scialfa


regia:
Thom Zimny, Bruce Springsteen


distribuzione:
Warner Bros.


durata:
83'


produzione:
Barbara Carr, Brett Dicus, Adrienne Gerard, Jon Landau, George Travis, Thom Zimny


fotografia:
Joe DeSalvo


montaggio:
Sally Lyons, Brian Miele


musiche:
Bruce Springsteen


Trama
A riprese dal vivo delle canzoni dell'album omonimo, eseguite durante due sere dell'aprile 2019 in un fienile della tenuta di Springsteen, si alternano sequenze all'aperto girate al Joshua Tree National Park, in cui la voce over di Springsteen spiega le canzoni in rapporto al proprio vissuto e alla propria visione del mondo