Ondacinema

Lo sceneggiatore di "The Revenant" Mark L. Smith e il regista Peter Berg mettono in scena per Netflix il sanguinoso Utah del 1857, in un western cupo e brutale che dà inizio alla grande al 2025 del colosso streaming

Lo Utah nel 1857 era una polveriera. Anche in uno scenario complesso e infiammabile come gli interi Stati Uniti ottocenteschi, la situazione dello stato sviluppatosi intorno a Salt Lake City risaltava per la delicatezza degli equilibri e i brutali episodi di violenza. Anche se la cosiddetta "Guerra dello Utah", altresì conosciuta come "ribellione mormone", fu risolta senza battaglie ufficiali e dunque per trattato, sono numerosi e particolarmente efferati gli episodi di violenza che la segnarono.
È da uno di questi, il "massacro di Mountain Meadows", che lo sceneggiatore di "The Revenant" (Alejandro González Iñárritu, 2015) Mark L. Smith (qui showrunner e co-produttore esecutivo) parte per costruire "American Primeval", un’epopea western che mescola personaggi ed episodi reali a protagonisti di fantasia intenti a sopravvivere in un contesto di rara durezza e completamente privo di stabilità politica.

Dopo un inizio dilatato, in piena tradizione di certo western, nel quale tutti i protagonisti di "American Primeval" vengono introdotti nell’avamposto pioniere di Fort Bridger, la grandiosa scena dedicata al suddetto massacro fagocita tutto il resto, facendo divampare il violento realismo di cui è capace la miniserie Netflix. Le frecce sibilano e stracciano lo schermo come raramente hanno fatto, fanno paura per davvero; il piombo piove sui pionieri inermi e le loro tende; buoi imbizzarriti investono bambini e distruggono le carovane.
Con l’ausilio di un po’ di CGI, ma soprattutto i movimenti della cinepresa perfetti di Jacques Jouffret, la regia efficace di Peter Berg ("Hancock", "Painkiller") sbalordisce per come ricrea la celebre e terribile imboscata. Un inferno che divampa praticamente dal nulla, durante il quale un nutrito gruppo di ignari pionieri diretti in California viene massacrato dalla milizia mormone, travestita e accompagnata da nativi della tribù Paiute, allo scopo di legittimare la cacciata degli indigeni americani (in particolare gli Scioscioni) tanto voluta dal leader della LDS Church (e primo governatore dello Utah) Brigham Young. È la prima di una serie cospicua di sparatorie, attacchi, esecuzioni e agguati sempre necessari per lo sviluppo drammaturgico che Berg e Jouffret gestiscono con perfezione nel corso dei sei episodi, nei quali non si possono dormire sonni tranquilli. Anzi, il fatto che le scene d’azione e la violenza siano così ben dosate all’interno di un lungo girato, composto tanto da paesaggi mozzafiato quanto da lunghi dialoghi con il fine di ricostruire la precaria situazione politica locale, le rende ancora più efficaci.

I sopravvissuti del massacro che apre la danza macabra di "American Primeval" sono i suoi protagonisti, che vengono divisi così in gruppi e storyline. C’è la mormone Abish (Saura Lightfoot-Leon) che verrà rapita e poi integrata dalla comunità scioscione, presso la quale conoscerà e sposerà la causa dei nativi. C’è poi suo marito Jacob Pratt (un sofferente e disperato Dane DeHaan), che si metterà alla ricerca della sposa insieme ad altri mormoni, ignaro però che la vogliono morta in quanto testimone dell’inganno al centro del massacro. Il loro agognato e fatale reincontro non potrà che rappresentare la cosiddetta tragedia nella tragedia. Infine, la donna braccata dai cacciatori di taglie in seguito a un omicidio commesso per legittima difesa, Sara Rowell (Betty Gilpin), il suo figliolo Devin (Preston Mota) e la giovane indigena Two Moon (Shawnee Pourier) verranno invece scortati dal taciturno Isac Reed (un ombroso, ma rassicurante Taylor Kitsch) attraverso le montagne tempestose dello Utah verso la salvezza.
Attraverso questo gruppo, prende vita uno dei canoni più rilevanti del western, quello della traversata, costruito con gran rigore e senso dell’epica. Si accende però con lui anche l’unico barlume di speranza raccontato dalla serie, che offre scampo soltanto a chi si allontana alla sanguinosa fondazione dello stato americano.

A offrire un ritratto sfaccettato dell’epoca vi è poi un corollario di personaggi secondari interpretati con maestria e una cura maniacale sugli accenti: il sanguinario scioscione Red Feather (Derek Hinkey), la mistica capo tribù Winter Wind (Irene Bedard), il capitano dell’esercito illuminato e fatalista Edmund Dellinger (Lucas Neff) e, ovviamente, il pioniere Jim Bridger (Shea Wigham). Servendosi di una diegesi che interseca episodi romanzeschi avvincenti a una rappresentazione storica accurata, di una direzione rigorosa che sa però deviare nello spettacolare, Smith e Berg hanno prodotto un western cupo e appassionante che potrebbe fare innamorare del genere la Netflix Generation. Non si tratta di un prodotto rivoluzionario o perfetto - soffre, ad esempio, di qualche cliché di troppo (ad esempio i sermoni di Young didascalicamente sovrapposti alle azioni criminose di cui è mandante) - ma di un’opera dal sicuro impatto e dalla misura impeccabile.

Merita infine una menzione la colonna sonora degli eroi post-rock Explosions In The Sky, meravigliosi nel musicare la natura impervia dello Utah attraverso i loro limpidi intrecci di arpeggi, ma anche di mordere con le chitarre quando si tratta di inseguire roboanti cavalcate nella prateria.

American Primeval
Informazioni

titolo:
American Primeval

titolo originale:
American Primeval

canale originale:
Netflix

canale italiano:
Netflix

creatore:
Mark L. SMith

produttori esecutivi:
Mark L. Smith, Peter Berg, Eric Newman

cast:

Taylor Kitsch, Betty Gilpin, Dane DeHaan, Saura Lightfoot-Leon, Derek Hinkey, Joe Tippett, Jai Courtney, Preston Mota, Shawnee Pourier, Shea Whigham

anni:
2025