Ondacinema

Fra le serie anime, e di Netflix, più apprezzate del 2022, "Cyberpunk: Edgerunners" è il frutto dell'improbabile collaborazione fra la software house polacca CD Projekt Red e l'apprezzato Studio Trigger, un'imperfetta ballata ipercinetica di crimine, segreti, violenza e romanticismo nel più sfavillante contesto cyberpunk e la cui ricchezza di spunti non va sottovalutata

Cyberpunk: Edgerunners


[Prevedibilmente, seguono, moderati, SPOILER]


"Don't, darling, die on me now
We'll dig the grave close to your home
Don't you fix your eyes on me now
We never said you'd come back home
"

Zeal & Ardor, "Built on Ashes"

 

Chissà se quando Mike Pondsmith progettò nel 1988 la prima versione dell’influentissimo gioco da tavolo "Cyberpunk", rifacendosi esplicitamente a uno dei principali filoni della cultura pop del periodo, avrebbe potuto immaginare che nel 2020, anno di ambientazione della versione più famosa del gioco (la seconda), sarebbe uscito un videogioco capace di porre di nuovo grande attenzione sulla sua opera più celebre. Ancora più difficilmente il game designer avrebbe potuto pensare che quest’ultimo si sarebbe rivelato uno dei giochi più divisivi e discussi degli ultimi anni, capace di compromettere non poco la reputazione di una delle software house più fortunate e amate dell’industria, la polacca CD Projekt Red, a causa di discutibili scelte di marketing e di un’eccessiva ambizione tecnica che da un lato ha reso il titolo ingiocabile sulle piattaforme meno performanti e dall’altro non è corrisposta a un’eguale ambizione dal punto di vista del design e della cura narrativa. Per concludere, sembra ancora più improbabile ritenere che più di 30 anni fa Pondsmith avrebbe potuto immaginare che sarebbe stata una serie anime, uscita a quasi due anni dal videogioco, a riportarlo a sua volta in auge, chiudendo forse un simbolico cerchio di influenze cyberpunk fra Stati Uniti e Giappone durato quarant’anni con un’iperbolica serie anime polacco-nipponica di soli 10 episodi (fig. 1). Signorǝ (si parla di futuro, d’altronde, no?), tutto questo è "Cyberpunk: Edgerunners".

Per introdurre al meglio la serie che è stata uno dei contenuti Netflix più apprezzati degli ultimi mesi non si può ovviamente non accennare allo studio di animazione che l’ha prodotta, il beneamato Studio Trigger, non a caso quasi una controparte nel mondo dell’animazione giapponese di ciò che è (stato) CD Projekt Red per il videogioco, uno studio di ex-indipendenti costruitosi un nome e un expertise in grado di tenere testa ai grandi del settore e soprattutto capace di conquistarsi l’amore incondizionato di schiere di fan grazie a una politica di esibita originalità stilistica e di pensiero. Si può affermare fin da subito che l’universo di "Cyberpunk" non sia stato per lo Studio Trigger la disfatta che è stato per la software house polacca, anche se forse ha comunque evidenziato varie criticità del progetto e in generale del modus operandi dello studio d’animazione. Pur non attribuendo la responsabilità di ciò alla natura tie-in della serie, è difficilmente negabile che il fatto si tratti di un lavoro su commissione abbia contribuito a rendere sotto diversi punti di vista "Cyberpunk: Edgerunners" l’opera più convenzionale e meno decostruttiva di un cane sciolto dell’industria degli anime come Imaishi Hiroyuki, forse un tentativo di conseguire una presunta maturità autoriale, dopo i fin troppo scanzonati divertissement "Space Patrol Luluco" e "Promare".


Fig. 1: Cyberpunk: il genere, il gioco da tavolo, il videogioco, la serie anime

"Cyberpunk: Edgerunners" è difatti in primo luogo un sentito, e ragionato, omaggio all’immaginario cyberpunk che è stato così influente sulla fantascienza giapponese e che essa stessa ha contribuito a creare, oltre a essere alla base della carriera di Imaishi Hiroyuki, iniziata come animatore in "Neon Genesis Evangelion" di Anno Hideaki (che cyberpunk stricto sensu non è ma ne è indubbiamente influenzato) e proseguita con una serie di opere che hanno fatto del superamento dei limiti umani e dell’ibridazione fra carne e artefatti due nuclei tematici centrali. Allo stesso modo la narrativa cyberpunk, pur avendo avuto precursori del calibro del romanzo "Do Androids Dream of Electric Sheep?" di Philip K. Dick già nel 1968, si può dire si sia affermata solo a partire dal suo adattamento "Blade Runner" del 1982 e dal successo del romanzo "Neuromancer" di William Gibson di due anni successivo, pressoché coevi alla nascita del cyberpunk nipponico con il manga "Akira" di Ōtomo Katsuhiro, iniziato anch’esso nel 1982. Il Giappone merita quindi non solo parte della paternità del filone per via dell’influenza di immaginario che le sfavillanti e avveniristiche megalopoli nipponiche hanno avuto sui fondatori del cyberpunk mondiale, ma soprattutto in virtù della sconfinata sequela di successori del manga di Ōtomo (a partire dall’adattamento anime dello stesso nel 1988) che hanno reso la fantascienza giapponese probabilmente la più influente nel corso degli anni 80 e 90. Pertanto, il ritorno del cyberpunk in Giappone tramite l’adattamento di una delle opere più ragguardevoli dell’intero filone crea un ponte non solo fra le due sponde dell’Oceano Pacifico ma anche fra le due principali matrici del cyberpunk e i suoi sviluppi più recenti nella forma del cinema transumanista di Imaishi: un coacervo di influenze quanto meno meritevole di un’analisi approfondita.

Il percorso del giovane irrequieto David, che passa in pochi mesi da studente emarginato di una prestigiosa accademia privata a boss della malavita nella corrotta e violenta metropoli californiana Night City, ricalca infatti la rapidissima ascesa che accomuna quasi tutti i protagonisti delle opere del regista giapponese, che si dirigono verso la vetta dell’ordine sociale del proprio mondo in una versione accelerata dei percorsi zeppi di ripetuti passi falsi ed esperienze formative che sono tipici della narrativa shōnen, alla base delle opere di Imaishi anche quando si distinguono, come in questo caso, per violenza e maturità dei contenuti. Se questa rapida scalata conduce spesso al guardare un mondo desolato dall’alto di una letterale altura, immagine della vacuità e di solito distruttività di una simile ascesa repentina (fig. 2), è in particolar modo il percorso necessario per arrivarvi a farsi vero nucleo dell’opera, anche quando si distingue per una rapidità narrativa che spesso sconfina (come in questo caso) in fretta, accumulando eventi, scontri e violenza senza un attimo di distensione, complice anche una narrazione orizzontale fin troppo rapsodica. Ciò si riflette nel percorso del cyberpunk David sempre più assuefatto ai ritmi e alle asperità della vita da gangster, con un corpo augmented[1] che sembra farsi sia armatura che fardello sul fisico e sull’animo di quello che in fin dei conti è un tormentato adolescente, destinato, nonostante i tentativi della sua amata netrunner Lucy, a ripercorre la spirale discendente del suo mentore Maine, evidenziando una fatalità che ben di distanzia dall’onnipotenza della volontà ostentata dai precedenti protagonisti degli anime di Imaishi.


Fig. 2: "straight to the top", il viaggio dell’eroe come letterale ascesa
nelle opere di Imaishi

Da questo punto di vista "Cyberpunk: Edgerunners" mette bene in evidenza gli elementi in comune fra il cyberpunk e il noir (fig. 3), genere a cui la trama dell’anime può essere più facilmente avvicinata, in primis per la fatalità e per l’andamento quasi circolare dei suoi sviluppi (David che si ritrova a ripetere il medesimo percorso di Maine, solo più in grande, con un’unica, fortuita, deviazione finale). A questo punto va rimarcato quanto il noir abbia influenzato il cyberpunk fin dalla sua nascita, oltre a essere a sua volta un immaginario narrativo e uno stile estetico assurto alla fine a macro-genere. Ambedue sono difatti generi urbani, rappresentanti la sensibilità alterata di un’umanità prigioniera di un contesto in rapida modernizzazione, in cui le macchine e gli artefatti in generale sono diventati veri padroni dello spazio in cui ci si muove[2], rispecchiandosi così nell’intrappolamento spazio-temporale che vivono sia i protagonisti del noir sia quelli del cyberpunk, costretti a transitare in ambienti indiscernibili e dai confini indefiniti (fuori da fantasie e allucinazione non si esce mai da Night City, a eccezione del breve scontro pre-finale per l’esoscheletro) e forzati a ripetere le medesime azioni in un ciclo quasi ipnotico (l’efficace montaggio alternato della prima metà dell’episodio 4), che può culminare solo in un epilogo fatale. L’indiscernibilità del mondo in cui si muovono i protagonisti di "Cyberpunk: Edgerunners" è rafforzata anche dalla stratificazione di complotti e macchinazioni che non permette di definire la propria traiettoria ma solo di assuefarsi a un eterno ritorno di violenza, sesso, sballo e arricchimento, facendo qui come nel noir dell’inganno il principale motore narrativo e della finale caduta in trappola l’unico epilogo possibile.

Anche a livello visivo e micronarrativo la serie dello Studio Trigger si trova a incarnare efficacemente la permanenza di topoi noir dentro il cyberpunk, come la presenza di femme fatale, a cui il personaggio di Lucy può essere perfettamente avvicinato, sia per quanto concerne la presentazione estetica sia per la caratterizzazione iniziale, oppure la resa espressionistica dello spazio urbano, "luogo sinistro, doppio e misterioso, in cui l’individuo si dibatte e si smarrisce, senza speranze concrete d’integrazione"[3] e la cui crescita ipertrofica e ricchezza di colori e sfumature rispecchia la smaniosa evoluzione di David, così come delle vicende di cui si trova ad essere protagonista. Sostituire al bianco e nero del noir classico l’abbondanza di una sfaccettata palette di colori è d’altronde un tratto in comune sia col cyberpunk "classico" à la "Blade Runner" sia con disparati neo-noir come "Sonatine" e "Mulholland Drive", similmente all’esplicitazione della violenza un tempo censurata a causa del Codice Hays, elemento che trasforma "Cyberpunk: Edgerunners" in una vera e propria orgia di violenza, ricca di esplosioni di corpi e dettagli anatomici minuziosamente rappresentati. Viene così messa in scena la deformazione iperbolica di un’umanità sempre più augmented e sempre più sull’orlo della definitiva resa alla macchina che è dentro di sé, la cyberpsicosi che finisce per affliggere vari personaggi principali e che viene sbattuta in faccia allo spettatore fin del tonitruante prologo.


Fig. 3: il noir nel cyberpunk, il noir in "Cyberpunk"

Già nei primi minuti la serie di Imaishi pone il focus sulla visione e sulla centralità dell’occhio nel suo regime discorsivo, presentandosi mediante la visione della ultima registrazione dei crimini di un cyberpsicopatico, quindi come un atto di voyeurismo di ciò che viene ritenuto non rappresentabile (e difatti non guardabile legalmente) ma anche come una prefigurazione del destino in cui incapperà David, per il momento solo spettatore di un simile inferno di sangue e metallo, ruolo che d’altronde spetta anche agli stessi spettatori dell’anime. L’occhio, e la sua circolarità, si impongono fin dall’inizio di "Cyberpunk: Edgerunners" come il centro dell’esperienza percettiva sia dei protagonisti sia degli spettatori, in una continua rimodulazione del tema dell’ocularità al centro del noir, rappresentante sia lo smodato desiderio, e tentativo quasi fisiologico, di vedere sia la sua negazione per via di una realtà troppo rapida e stratificata per essere realmente comprensibile con lo sguardo[4]. Appare a questo punto tutt’altro che casuale l’ossessione degli autori della serie per gli occhi dei personaggi, costantemente augmented ed attraversati da scritte e grafici (fig. 4). D’altronde quello che può essere considerato l’antagonista principale dell’anime, l’ambizioso fixer Faraday, si distingue per avere un occhio tripartito, a rappresentare la sua maggiore capacità di comprensione e controllo sugli eventi, che si rivela comunque non significativa alla luce della sua brutale dipartita, enfatizzata da un’ultima inquadratura ravvicinata ai suoi occhi meccanici. Ancora più rilevante è la rappresentazione visiva della cyberpsicosi, resa non solo con allucinazioni di vario genere, ma con la letterale moltiplicazione degli occhi dei cyberpsicopatici che rende il drammatico tentativo del corpo di venire a capo di un mondo così sfaccettato, e di un fisico così ormai trasformato dagli impianti, esasperando il suo senso più preminente.

Il discorso sullo sguardo è inoltre una delle componenti più marcatamente imaishiane dell’intera serie, la quale può essere considerata un ulteriore passo nella riflessione sul controllo che l’occhio (il gaze, direbbe Laura Mulvey[5]) impone sull’oggetto della sua attenzione (spesso il corpo, in primis femminile) al centro della produzione del regista, che per questa ragione può essere addirittura considerata una decennale esplorazione del fanservice[6]. "Cyberpunk: Edgerunners" si distanzia d’altro canto dalle opere precedenti di Imaishi, sia seriali sia filmiche, non solo per il maggiore realismo delle ambientazioni e della violenza, ma soprattutto per la già citata fatalità del racconto, apparentemente ben distante dal trionfale viaggio dell’eroe al centro di quei racconti. Se si riflette però sul loro usuale punto d’arrivo, il ritorno all’anonimato dopo aver conseguito i più alti risultati[7], si può intravedere il medesimo canovaccio narrativo anche dietro il percorso di David, arrivato come nessun altro vicino a minacciare l’egemonia della megacorporation Arasaka eppure destinato a venire rapidamente dimenticato, se non da parte di Lucy, che lo ricorderà, diversamente da come si dice a Night City (e pure da lei inizialmente ribadito), "per come ha vissuto" e non "per come è morto". La vicenda della misteriosa netrunner rappresenta in modo ancora più evidente un aggiornamento di quel topos narrativo, in quanto il suo, e di David, ultimo fine è tornare nell’anonimato che le è stato negato fin da bambina (in quanto strumento di ricerca della Arasaka), riproponendo così il tema noir della fuga dal passato e dell’occultamento della propria identità per poter sopravvivere.


Fig. 4: "All Eyez on Me", occhi, gaze, impianti e ossessioni
in "Cyberpunk: Edgerunners"

Purtuttavia, è soprattutto dal punto di vista strutturale che "Cyberpunk: Edgerunners", figlio di CD Projekt Red e del team di sceneggiatori capeggiato da Rafał Jaki quanto di Imaishi Hiroyuki e dello Studio Trigger, si dimostra in primis un’opera di questi ultimi, rinverdendo il tipico andamento saldamente bipartito del racconto, diviso in due sezioni narrativamente simili ma la cui apparente specularità si rivela spesso ingannevole. Se un film di circa 100 minuti come "Promare" è stato costretto dalla breve durata a sussumere questa rigida bipartizione in un flusso narrativo in cui sono i singoli protagonisti a incontrare in momenti diversi un’ascesa, uno stop e poi una ripartenza fino ad arrivare alla vetta, le altre due opere principali di Imaishi, cioè le serie "Gurren Lagann" e "Kill la Kill", dividono in maniera piuttosto rigida il loro racconto lungo circa 25 episodi. A una prima parte leggermente più lunga, fondamentale per introdurre tutti o quasi i personaggi principali e generalmente considerata migliore o quanto meno più equilibrata, segue in entrambe le opere un secondo atto che alza la posta in gioco, introducendo nuove minacce e complicando la già ricca ragnatela di relazioni fra i personaggi. "Cyberpunk: Edgerunners" segue la medesima struttura, con l’affermazione di David come cyberpunk gregario e poi come gangster interrotta (o forse favorita, in fin dei conti) ambedue le volte da una missione rivelatasi molto più pericolosa del previsto, enfatizzando però, in primis a causa della brevità della serie, le debolezze di questo tipo di racconto: la monotonia dovuta alla ripetizione di situazioni troppo concentrate, lo sviluppo dei personaggi limitato dal taglio netto nella fabula, gli squilibri di ritmo fra le due parti per via della diversa durata.

La brevità rende d’altro canto "Cyberpunk: Edgerunners" un’efficace introduzione all’opera dello Studio Trigger, un concentrato tematico e stilistico che per quanto sia meno esuberante del passato (non vediamo qui né i piani sequenza digitali di "Promare", né la riconfigurazione dello spazio d’azione di "Kill la Kill", né l’eclettismo stilistico di "Panty & Stocking with Garterbelt") ribadisce la stessa ricerca di cinetismo e di stratificazione visiva alla base di tutte le opere dello studio (fig. 5). La serie di Imaishi, che non a caso ha ottenuto un grandissimo successo in seguito alla distribuzione, si ritrova difatti a mediare fra gli stilemi che hanno reso la produzione del suo regista e dei suoi collaboratori una delle più originali e caratteristiche nel mondo degli anime contemporaneo e le aspettative di Netflix e del pubblico delle grandi piattaforme OTT, nonché forse dei fan del videogioco e dell’opera originale di Mike Pondsmith. La divergenza di "Cyberpunk: Edgerunners" rispecchia infatti anche il contributo occidentale in sede di scrittura, da cui si può arguire derivino in parte il maggiore realismo e la maggiore crudezza della narrazione, nonostante non siano comunque mancate le varie libertà prese dallo studio nipponico in corso d’opera.


Fig. 5: l’evoluzione (e la normalizzazione) stilistica dello Studio Trigger

Esasperando la mescolanza di influenze giapponesi e statunitensi tipica del cyberpunk fin dalle sue origini all’interno di una singola opera già a partire dal processo creativo, la serie dello Studio Trigger diviene un coacervo di stili e registri che rende onore ai suoi modelli storici, pur aprendo il fianco a varie critiche come quelle precedentemente analizzate, che d’altronde ne fanno un valido oggetto d’analisi. Similmente a molte opere miliari del genere, "Cyberpunk: Edgerunners" si fa portatore di una malinconia indefinita, di nostalgia verso un passato idealizzato che spesso, basti pensare al percorso di David stesso, è difficile anche solo da identificare, ben rappresentata dall’iconica theme song "I Really Want to Stay at Your House", la quale diviene a sua volta riferimento e rinforzo del generico afflato umanista che muove l’agire di quasi tutti i protagonisti, così come la derivante interpretazione degli spettatori. Distanziandosi in maniera piuttosto chiara dall’esaltazione della body augmentation cara a molti esponenti del pensiero transumanista, la serie di Imaishi e Jaki mette chiaramente in luce le criticità e i rischi del superamento tecnico dei limiti umani, pur senza auspicare un, discutibile, ritorno alle radici biologiche dell’umanità, una presa di posizione che sarebbe parsa in contraddizione con l’esaltazione ipercinetica della tecnologia e delle sue possibilità trasformative che la serie e l’intera produzione dello Studio Trigger mettono in scena da ormai più di un decennio.

Superata la fascinazione delle capacità aumentate, incarnata ottimamente da tutti gli utilizzi del Sandevistan di David, la tecnica resta comunque uno strumento dell’umano, che deve fare attenzione a non rimanerne schiavo, evento che può portare solo a conseguenze fatali, e che non è invero così centrale nel racconto, laddove è l’umano troppo umano perseguire i propri sogni e, una volta raggiuntili, crollare travolti dalla malinconia e dalle conseguenze di ciò che si è fatto per inseguirli a essere al centro discorsivo della serie, come l’agrodolce, e fin troppo frettoloso, finale sottolinea. Allo stesso modo l’animazione più ipercinetica e anti-realistica (ma in fin dei conti anche il videogioco più tecnologicamente avanzato e narrativamente ambizioso), come quella dello Studio Trigger, resta comunque uno strumento per raccontare storie semplici e lineari di un’umanità emotiva e divorata dalle proprie pulsioni e brame, che sembra alla portata del proprio happy ending, villain compresi, ma a cui viene costantemente negato, in questo caso piuttosto tragicamente. La nuova carne cronenberghiana non può sorgere nell’orizzonte delle opere di Imaishi, così come sulla superficie dell’agognata Luna su cui ora Lucy salta in solitudine, lasciando spazio al continuo mergersi con marchingegni e artefatti (le tecnologie digitali qui meno presenti, qualcuno direbbe abusate, rispetto agli ultimi lavori dello Studio Trigger) per creare nuovi instabili ibridi di carne e macchina, di transumanesimo e buoni sentimenti. "Cyberpunk: Edgerunners", con le sue molteplici matrici e i suoi numerosi pubblici di riferimento, è alla fine una sorta di nave di Teseo audiovisiva, come il suo protagonista David, everyman transumanista fin dal nome generico, una commistione di mille oggetti e concetti in cui non tutto si tiene ma di cui, alla fine, non c’è, forse, veramente niente da buttare.

 



[1] Con il termine "body augmentation", parte del più generale concetto di "human enhancement", si intende l’innesto di impianti di vario genere nel corpo umano per incrementarne specifiche capacità, detti "cromo" nel contesto di "Cyberpunk". Il concetto è centrale nel pensiero transumanista ma trova posto anche nella riflessione sulla chirurgia estetica e nella body art

[2] Veronica Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico hollywoodiano, Venezia, Marsilio, 2010, p. 133

[3] Ibidem

[4] Ivi, pp. 134-5

[5] Cfr. Laura Mulvey, "Visual pleasure and narrative cinema", Screen, 16 (3), 1975, pp. 6–18, e M. Mulvey, "Afterthoughts on ‘Visual Pleasure and Narrative Cinema’ Inspired By ‘Duel In The Sun’ (King Vidor, 1946)", Framework: The Journal of Cinema and Media, 15 (17), 1981, pp. 12–15 , il classico della riflessione sullo sguardo maschile come motore narrativo nel cinema hollywoodiano classico e il suo aggiornamento a opera della stessa autrice

[6] Cfr. David John Boyd, "‘Nonsensical is our thing!’: Queering fanservice as ‘Deleuzional’ desire-production in Studio Trigger’s Kiru ra Kiru/Kill la Kil", Queer Studies in Media & Popular Culture, 1 (1), 2016, pp. 61-83, il quale si focalizza soprattutto su "Kill la Kill", pur riservando spunti di riflessione su tutta la produzione Trigger e sull’intera animazione giapponese

[7] Ad esempio Simon che dopo aver salvato la Terra torna a lavorare come scavatore in "Tengen Toppa Gurren Lagann", oppure in "Kill la Kill" il definitivo abbandono da parte di Ryūko di ciò che la rendeva speciale

Cyberpunk: Edgerunners
Informazioni

titolo:
Cyberpunk: Edgerunners

titolo originale:
Saibāpanku Ejjirannāzu

canale originale:
Netflix

canale italiano:
Netflix

creatore:
Rafał Jaki, Imaishi Hiroyuki

produttori esecutivi:
Rafał Jaki, Dylan Thomas, Taiki Sakurai, Yoshiki Usa

cast:

Kenn, Aoi Yūki, Hiroki Tōchi, Michiko Kaiden, Takako Honda, Wataru Takagi, Tomoyo Kurosawa, Yasuyuki Kase, Kazuhiko Inoue, Kenjiro Tsuda, Yurika Hino, Yukihiro Misono

anni:
2022