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L'era pionieristica della fantascienza attraverso dieci film degli anni Sessanta che raccontano un cinema di genere sospeso tra ingenuità e spunti geniali, prima dell'arrivo del monolite di Kubrick a far da spartiacque

Nel grande calderone di quello che può essere chiamato “cinema di genere”, la fantascienza è stata - sin dagli albori della settima arte - uno dei filoni più popolari e longevi. Dai rivoluzionari quattordici minuti di “Viaggio nella Luna” (1902) in poi, la fantascienza ha seguito i cambiamenti della società, rappresentando decennio dopo decennio le paure più recondite di ogni fase storica, quasi sempre all'interno del perimetro del cinema di genere popolare, ma anche avvicinandosi - con meritevoli eccezioni - alla complessità di quello d'autore. L'esplosione del cinema di fantascienza avviene in particolare nel dopoguerra, epoca in cui è possibile dividere vari macro-generi.
Da una parte la fantascienza viene vista come intrattenimento a basso costo adatto per inondare il mercato con una grandissima quantità di B-movie con mostri o alieni improbabili tipici degli anni 50, spesso con una qualità tecnica ai minimi termini, ma capace di vertici di grande successo come ad esempio “La guerra dei mondi” (1953).
Un’altra parte, invece, subisce il fascino positivo dell’irrefrenabile innovazione tecnologica, figlia di un’idea illuminista del progresso inteso come una continua crescita che - pur tra alti e bassi - è complessivamente positiva per l’umanità. Ecco quindi film fondamentalmente ottimisti, in cui l'uomo riesce a viaggiare nel tempo (“L'uomo che visse nel futuro” del 1960) o nello spazio intergalattico con estrema facilità (la serie classica di “Star Trek” ne è l'esempio più emblematico), o dove l’evoluzione della medicina consente cure rivoluzionarie (“Viaggio allucinante" del 1966).
Gli aspetti negativi dello sviluppo tecnologico sono rappresentati come eccezione alla regola dalla figura dello scienziato pazzo (“L'esperimento del dottor K.” del 1957 o “L'uomo dagli occhi a raggi X” del 1963) che utilizza le sue doti per scopi egoistici o narcisistici, colpevole singolarmente di tradire il vero spirito benevolo della scienza.

Un filone fondamentale della fantascienza, in particolare negli anni 60, è quello che guarda al progresso in modo diametralmente opposto. Nell'epoca della guerra fredda, della crisi di Cuba e dell’incubo di un imminente conflitto atomico, il cinema non poteva che adeguarsi rispecchiando le paure reali della società, con una lunga serie di film apocalittici dove la follia delle guerra atomica è protagonista assoluta. Tra questi spiccano titoli come “L'ultima spiaggia” (1959), capolavoro degli anni 50 con Gregory Peck, Anthony Perkins, Fred Astaire e Ava Gardner, “E la Terra prese fuoco” (1961), “Il giorno dopo la fine del mondo” (1962), “Hallucination (1962)”, “La Jetée” (1962), ma se ne potrebbero citare molti altri.
Una parte minoritaria del cinema figlio della guerra fredda è incentrata invece sulla paura del comunismo, visto come una ideologia che subdolamente entra nella mente cambiando l'uomo e rendendolo nemico della libertà. In questo filone, da segnalare almeno due grandi classici come "L'invasione degli ultracorpi” (1956) e “Il villaggio dei dannati” (1960).

Quello che appare evidente è che tutto il cinema di fantascienza ha un anno spartiacque, il 1968, che separa nettamente la sua storia in un prima e in un dopo. L’avvento di “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick è sorprendente se si pensa a quello che il cinema di fantascienza era stato sino a pochi mesi prima, ancora in grandissima parte ancora dominato da B-movie a basso costo. Il film di Kubrick appare davvero come un miracoloso frutto di un genio visionario, per la nitidezza del colore, per l'utilizzo clamorosamente innovativo della musica, oltre che per la trama e per la sua complessa interpretazione filosofica che fa compiere alla fantascienza un passo in avanti inaudito e le fa perdere ogni residuo complesso di inferiorità nei confronti del “grande” cinema. L’avvento del monolite nero kubrickiano segna quindi la nascita della fantascienza moderna, nobilita un genere che sino a quel momento era poco preso in considerazione dalla critica, anche se - come vedremo - negli anni 60 in particolare, vari registi d'autore cercheranno di sfruttarne le potenzialità sperimentando nuovi linguaggi, facendola emergere dalle acque stagnanti della produzione a basso costo (tra questi, oltre al già citato Kubrick, troviamo Jean-Luc Godard, François Truffaut e Joseph Losey).

Se l’era della fantascienza primordiale termina quindi nel 1968, andrebbe detto che tutto questo lungo periodo di circa 40 anni nasce con un altro film spartiacque, “Metropolis” (1927) di Fritz Lang, che come il capolavoro di Kubrick ha tutte le caratteristiche di film sorprendentemente superiore rispetto alla produzione media della sua epoca. Tra il 1927 e il 1968 vi sono quindi 41 anni di cinema che, tra alti e bassi, tra ingenuità e colpi di genio, rappresenta una pagina da riscoprire e analizzare. Qui di seguito ecco dieci film di fantascienza degli anni 60 che si possono ritenere tra i più significativi, anche se ovviamente la lista non può ritenersi esaustiva, ma solo un buon punto di partenza.

Il villaggio dei dannati (Village Of The Damned) di Wolf Rilla (1960)

  

Ispirato al romanzo “I figli dell'invasione” (1957) di John Wyndham, “Il villaggio dei dannati” è uno dei più grandi classici del cinema di fantascienza in bianco e nero. In una piccola cittadina nella campagna inglese avviene un evento inspiegabile: tutte le donne in età fertile si ritrovano in stato di gravidanza e dopo nove mesi partoriscono bambini biondi dotati di un'intelligenza superiore. Come tutto ciò sia stato possibile è ignoto e il regista non dà alcuna spiegazione. Basato sulla paura di un’entità invisibile e quindi incontrollabile, “Il villaggio dei dannati” è uno degli esempi più riusciti (probabilmente dopo “L’invasione degli ultracorpi”) di cinema ideologico anticomunista. I bambini biondi non hanno nulla della mentalità individualistica tipica dell’Occidente capitalista, bensì ragionano in modo assolutamente collettivo, non hanno alcun legame con la famiglia borghese ma puntano alla sua distruzione in nome di un bene superiore che trasformerà il mondo in una società di uomini uguali a loro, privi di umanità e sentimenti, dotati di pura e fredda razionalità. Con un'atmosfera sempre tesa, sin dall’inizio quasi privo di dialoghi per lunghi minuti, questo film ha rappresentato l'essenza di film a basso budget premiato grazie a un'idea vincente e a una regia impeccabile. John Carpenter nel 1995 ne realizzerà un remake che purtroppo, sganciato dai motivi politici e sociali degli anni 60, non riuscirà a cogliere la pura inquietudine della versione originale.

Hallucination di Joseph Losey (1962)



Autore di capolavori come “Il servo” o “Messaggero d’amore”, Joseph Losey è stato il regista che più di altri ha approfondito le relazioni psicologiche che intercorrono tra i singoli individui influenzati dai problemi sociali e storici. Dal razzismo alle differenze di ceto, Losey ha esplorato le contraddizioni della società contemporanea in modo tanto profondo e anticonvenzionale da essere osteggiato in ogni modo nell'America conservatrice e maccartista degli anni 50. Nel 1962 si confronta a modo suo con il cinema di fantascienza grazie a "Hallucination", opera anomala se inserita tra i film di genere, inquadrabile nel sottogenere apocalittico. In un mondo dove l'apocalisse nucleare è data per sicura e inevitabile, il professor Bernard cerca di trovare una soluzione per il dopo fall out. Senza ulteriori spoiler, l'esperimento di Losey è estremamente cupo e pessimista, persino glaciale nei dialoghi e nelle immagini, forse penalizzato da un primo tempo troppo lungo e dispersivo, ma quando arriva al dunque - nel secondo tempo - ci fa toccare con mano la follia perversa del potere che oscura la mente umana e la rende incapace di comprendere sino in fondo le conseguenze delle proprie azioni.

La Jetée di Chris Marker (1962) 



Film unico nella cinematografia di genere, “La Jetée” è un cortometraggio francese di appena ventotto minuti, poetico e disperante. Ambientato in una Parigi distrutta, si svolge in un futuro prossimo in cui la terza guerra mondiale c’è già stata e ha portato alle prevedibili conseguenze. L'umanità vive sottoterra ed è sottoposta a crudeli esperimenti scientifici per cercare di trovare una soluzione per sopravvivere alla radiazioni. Ma gli scienziati - a un certo punto - comprendono che l’unica possibilità che l'uomo ha di sopravvivere è un ritorno indietro nel tempo all’era prebellica. Non un vero film, ma un film fotografico, un gesto d'amore per un'umanità perennemente sull'orlo della propria fine. Nonostante si tratti di una pellicola per cultori, ha ispirato vari registi e musicisti tra i quali il compositore danese Ojerum nel suo “He Remembers There Were Gardens”.

Il giorno dopo la fine del mondo (Panic In Year Zero) di Ray Milland (1962) 



Classico film post-apocalittico degli anni 60, “Il giorno dopo la fine del mondo” è un’opera intrisa sino in fondo della classica cultura americana di provincia, espressione della tipica mentalità in difesa del proprio gruppo e della propria famiglia, come esigenza prioritaria rispetto a ogni regola etica. Una famiglia della provincia di Los Angeles è in gita in campagna quando da lontano vede un enorme fungo atomico esplodere sopra la città. Da quel momento, il padre della famiglia si trasforma in un novello John Wayne post-atomico pronto a tutto per difendere la moglie e i due figli in un mondo dove la legge del più forte (e del più armato) diventa la regola. In pratica, il film anticipa scenari che hanno fatto la fortuna di tanti film e serie tv recenti, in primis “Walking Dead”, dove la sopravvivenza e la difesa dei propri amici e parenti diventa l'obiettivo principale, in un nuovo far-west tipicamente americano. Film simile, anche se ambientato interamente nella redazione di un quotidiano, ma decisamente penalizzato da un finale ridicolmente moralistico/cattolico è “E la Terra prese fuoco” (1961).

Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb) di Stanley Kubrick (1964)



Prima di “2001: Odissea nello spazio”, Kubrick si era già confrontato con la fantascienza col celebre “Il dottor Stranamore”, seppur in un modo assolutamente anomalo e originale, con lo stile proprio del suo smisurato talento. Volendo affrontare il tema del rischio di un prossimo conflitto nucleare e capendo di non poterlo fare alla stessa maniera di vari film a lui contemporanei, decide di cambiare radicalmente e unire commedia, farsa e fantascienza. Ma la fantascienza di Kubrick qui è solo un pretesto per far riflettere sulle possibili conseguenze dell'infinita corsa agli armamenti, sulla fragilità della vita umana e sui rischi possibili che un conflitto atomico possa scaturire per motivi futili e inimmaginabili (un errore umano, un falso allarme). Kubrick riflette sull’innato senso autodistruttivo dell'uomo, sull'irrazionalità delle sue scelte quotidiane, in cui il benessere individuale supera di gran lunga quello collettivo. La scena finale della “ballata” delle esplosioni atomiche sulle note di “We'll Meet Again” di Vera Lynn, anticipa gran parte della sua filmografia successiva e apre al Kubrick maturo che per trent’anni ci regalerà una pietra miliare dopo l’altra.

L'ultimo uomo della Terra (The Last Man On Earth) di Ubaldo Ragona (1964)



Unica opera italiana della lista, “L'ultimo uomo della Terra” è un esempio formidabile di film prodotto con mezzi minimi ma con buone idee. Con Vincent Price, protagonista insieme a  Peter Cushing e Christopher Lee di tanti cult della storica Hammer Film, l’opera di Ubaldo Ragona è la trasposizione più fedele del romanzo di Richard Matheson “Io sono leggenda”, purtroppo sfregiato di recente dal remake con Will Smith. Ambientato in un’affascinante Roma deserta degli anni 60, con la collaborazione dello stesso Matheson, il film di Ragona mantiene una grande fedeltà al romanzo e un’ottima fotografia, con tantissime immagini che rimangono saldamente nella memoria. Non mancano delle ingenuità, ma nel complesso è la migliore trasposizione di “Io sono leggenda” insieme al successivo “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra” (1971), che ha il vantaggio di una produzione decisamente più professionale. Altri film italiani degli anni 60 che vale la pena di citare sono “La decima vittima” (1965) di Elio Petri con Marcello Mastroianni, “Terrore nello spazio” (1965) di Mario Bava, quest’ultimo reso iconico dal nome ormai leggendario del regista, ma decisamente inseribile nella categoria dei B-movie, e infine il fumettone ipercolorato “Barbarella”, che si regge in gran parte sulla bellezza - quella sì davvero fantascientifica - di Jane Fonda.

Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville (Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution) di Jean-Luc Godard (1965)



Opera d'autore che ibrida la fantascienza con il noir, “Missione Alphaville” è un caso cinematografico molto originale, che sembra anticipare persino alcuni scenari di “Blade Runner”. Ambientato in un'epoca imprecisata e addirittura in un pianeta imprecisato, il film di Jean-Luc Godard, regista di primo piano della Nouvelle Vague francese, coniuga magistralmente le atmosfere noir di Raymond Chandler o Mickey Spillane, con la fantascienza distopica. In questo mondo senza luogo e senza tempo, dove viaggiare tra pianeti sembra facile come prendere un tangenziale, gli esseri umani sono comandati da una macchina senziente che può ricordare una versione primitiva di HAL 9000 e vivono in uno stato di totale repressione di ogni sentimento. È vietato innamorarsi o piangere, chi lo fa è immediatamente condannato a morte. In questo ovviamente fa eccezione l'investigatore Lemmy Caution, tipico anti-eroe da romanzo hard-boiled, uomo burbero e pieno di difetti ma sincero e onesto, suo malgrado rappresentante del bene in un’umanità ormai perduta, molto simile a un Philip Marlowe o un Mike Hammer del futuro.

Fahrenheit 451 di François Truffaut (1966)



Altro film di un grande regista della nouvelle vague, “Fahrenheit 451” di François Truffaut - a differenza di “Alphaville” conosciuto da pochissimi - è diventato un classico della fantascienza anni 60. Tratto da una celebre novella distopica di uno degli scrittori più classici del genere, Ray Bradbury, “Fahrenheit 451” è un classico esempio di racconto che prende spunto da un evento storico realmente accaduto e porta alle estreme conseguenze le possibili ripercussioni storiche e sociali di quell’evento. Il riferimento è ovviamente ai mostruosi roghi nazisti di libri, il più grande dei quali avvenne il 10 maggio 1933 a Berlino, dove vennero bruciati decine di migliaia di testi contrari all’ideologia nazista, di autori ebrei o comunisti. Da questo evento premonitore di tragedie che puntualmente arriveranno pochi anni dopo, Bradbury immagina una distopia in cui ogni tipo di libro è vietato, quale che sia l’autore. Un regime simile a quello nazista che perseguita ogni tipo di attività culturale e favorisce in ogni modo l’intrattenimento televisivo, cosa che oggi può persino sembrarci familiare. Il mondo senza libri di Truffaut va oltre il racconto di Bradbury, concentrandosi sull'assenza di sentimenti dei personaggi, in una società dove l’assenza di libri costringe anche alla mancanza di empatia verso il prossimo, all’incapacità di ogni tipo di ragionamento elaborato e conseguentemente allo sviluppo di un contesto in cui conta soltanto il proprio bene personale. Ma in questo deserto umano c’è una possibilità di vita, pronta a restare silente per poi poter germogliare nel momento opportuno. “Fahrenheit 451” è probabilmente la pellicola meno francese di Truffaut, il suo primo film inglese, con qualche aggancio al cinema di Hitchcock. La poesia massima si raggiunge nel finale con la figura degli uomini-libro, con un potente segnale di speranza e riscatto. La protagonista femminile è la bravissima Julie Christie, proveniente dal successo dell'anno prima di “Il dottor Živago”.

Viaggio allucinante (Fantastic Voyage) di Richard Fleischer (1966)



Con la novelisation dalla sceneggiatura curata da Isaac Asimov, probabilmente il più grande scrittore di fantascienza del Ventesimo secolo, “Viaggio allucinante” è un tipico film dove lo sviluppo tecnologico ha un impatto fondamentalmente positivo sulla società. Uno scienziato sovietico scappa in Occidente perché ha la formula per allungare all'infinito il tempo della miniaturizzazione che invece gli americani riescono a mantenere solo per sessanta minuti. Il Kgb intercetta l'auto dove è trasportato e compie un attentato che però fallisce, ma lo scienziato batte la testa. Il colpo gli crea un edema cerebrale facendolo cadere in coma. Quindi, l'equipaggio compie il viaggio per curare l'edema al cervello.
Varie scene del film hanno fatto epoca, in particolare il passaggio della navicella all’interno del cuore o l'aggressione degli anticorpi. Il film può apparire a tratti ingenuo, ma resta memorabile per la sua originalità rispetto alla fantascienza del decennio, con una serie di effetti speciali che per quegli anni furono tra i più belli e complessi da realizzare.

Il pianeta delle scimmie (Planet Of The Apes) di Franklin J. Schaffner (1968)



Prima dell'odissea nello spazio, la fantascienza chiude la sua stagione pre-monolite con uno dei suoi massimi capolavori che darà vita ai un lunga serie di sequel, prequel e remake, giunta a oggi a ben nove film, di cui cinque facenti parte della serie originale, cioè figli diretti del primo - il rifacimento del 2001 di Tim Burton e i tre recenti reboot. Tratto dal fortunato romanzo dello scrittore francese Pierre Boulle, “Il pianeta delle scimmie" è uno dei più migliori esempi di cinema di fantascienza che riesce a essere sia popolare che d’autore, capace di far riflettere sulla fragilità dell’esistenza dell'umanità mantenendo sostanzialmente uno sviluppo da film d’azione. Non si contano le scene che hanno fatto storia, dall’atterraggio della navicella spaziale alla passeggiata degli astronauti in un pianeta deserto e sconosciuto sino al finale più iconico che la fantascienza abbia mai saputo immaginare, “Il pianeta delle scimmie” resta nell'immaginario collettivo come un autentico monito all’umanità. Tra i tanti film successivi l'unico che davvero si mantiene ai suoi livelli è “L'altra faccia del pianeta delle scimmie” (1970), che crea la tremenda figura degli uomini adoratori della bomba, portatori della criminale idea della guerra come “igiene del mondo", idea futurista che da più di un secolo tormenta l'umanità.





Prima del monolite nero. Dieci film di fantascienza degli anni 60