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Favino, Crescentini - Speciale L'Industriale

Il cinema al tempo della crisi. I protagonisti - Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini - e il regista, Giuliano Montaldo, raccontano "L'Industriale"

ROMA - Il cinema al tempo della crisi. Che oggi c'è e si grida, sino a ieri c'era e si nascondeva. Come dice oggi Pierfrancesco Favino a voce alta, "fino a due mesi fa parlare di crisi era proibito adesso invece, che tutti ci siamo accorti della reale situazione in cui versa l'Italia e l'Europa, credo che fare un film del genere sia molto importante. E' un film che fa bene perché parla di crisi e parlarne è già un passo, è già un riconoscerla. La solitudine degli imprenditori, infatti, è un male. Parlare di questa situazione, rappresentare un mondo che coinvolge molte aziende, in cui i piccoli industriali in crisi possano vedere che non sono soli, e' una cosa molto importante. Bisogna parlarne, metterla sotto i riflettori".
Così premette il "resistente" Favino che cerca di non far fallire la propria azienda dall'inizio alla fine nell'ultimo film di Giuliano Montaldo, "L'industriale" accompagnato dalle parole dolentemente polemiche del regista: "Noi che facciamo il cinema sappiamo che cosa significa resistere, capisco anche la precarietà di oggi e i fallimenti degli industriali. Che sono di tipologie diverse. Il mio industriale non vuole solo sopravvivere, vuole anche non dover mandare a casa i suoi operai, sa che sono persone, non tutti considerano tali i loro dipendenti. E' molto lontano da una figura come quella di Marchionne alla Fiat: se rifacessi oggi il film, probabilmente farei incontrare questi due personaggi. Favino è un piccolo industriale che conosce tutti i suoi operai, uno per uno, fin da quando era bambino, mentre Marchionne non credo abbia mai giocato con i suoi operai da piccolo. Anzi, direi che i suoi operai non li conosce affatto".

E l'industriale è, appunto, il quarantenne con la faccia di Piefrancesco Favino che ha ereditato la fabbrica del padre ma è sull'orlo del fallimento, potrebbe salvarla con poco, chiedendo aiuto, ma vuole salvarla da solo e così "resiste". Come Favino: "Io amo lavorare, mi piace il mio lavoro, mi realizza, sono fortunato ma non ho settanta famiglie sulle spalle come l'Industriale che interpreto. Resisto ma faccio meno sforzo del mio protagonista anche se credo che questo in ruolo ho dato tanto di me, anche faticosamente".
Vuole dire che lo sente come un ruolo molto maturo? "Sì. Credo di essere entrato, a 42 anni, nella fase adulta di un attore che si fa tra i 35 e i 50 anni. Spero che funzioni, altrimenti mi prendo tutte le mie responsabilità, resisterò come resisti all'idea, diffusa solo in Italia, che devi arrivare a 70 anni per non essere più un esordiente. Alla mia età devo fare dei ruoli così e negli altri paesi del mondo i quarantenni sono dei primi ministri, il presidente americano ne ha cinquanta. Se fossimo davvero forti, noi quarantenni avremmo scalzato il vecchio capobranco. Allora io invito tutti a dare fiducia ai quarantenni, registi, attori o politici che siano. E a tutti gli uomini che resistono come il mio uomo, che accetta di fare la sua battaglia".

Perfetto Favino, che così carico di sfumature non si era mai visto, e perfetto il riferimento all'oggi, in risposta alle parole di Andrea Purgatori che firma la sceneggiatura insieme al regista e dice: "La vera difficoltà del film sta nel fatto che quando si cerca di raccontare il nostro paese, si è sempre superati dalla fantasia pirotecnica dei nostri governanti, ma siccome il nostro è un paese in cui le regole si modificano a seconda di chi ci governa, in cui tutto si piega, mi piace pensare che per qualcuno la testa alta e le pezze al culo, come viene detto nel film, siano ancora dei valori".  
"Speriamo che lo siano, io di certo ci credo" dice Carolina Crescentini, moglie del protagonista e, dice lei, "la mia Laura è una donna controversa, è in grande crisi esistenziale e non ce la fa più. Una donna che vuole ancora sentirsi viva. Vuole aiutare il marito che ama moltissimo, ma lui non glielo permette e così cerca qualcuno che possa farla ridere, farla sentire, riconoscerla, e non trattarla come se fosse un essere invisibile!".

Il tutto in mezzo agli squali che credono e giurano e scommettono solo nel soldo, come l'avvocato doppiogiochista interpretato da Francesco Scianna, che chiosa: "Ho cercato di non giudicare lo squalo che sono nel film, un avvocato che pensa solo a guadagnare e magari a fare il doppio gioco per un'altra parcella, un personaggio senza alcuna eticità, del tutto spietato".
Come tanti intorno a noi, aggiunge Favino, "sempre presenti dentro una crisi come quella che ci circonda che è secondo me non solo economica, ma morale, etica, dovuta anche a questo modo vecchio, inutile, di pensare. Così non si va da nessuna parte, si tira a campare, fino poi a scoprire che anche quel modo di vivere ha una sua fine".




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