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recensione di Antonio Pettierre

L’idea di “Rocco e i suoi fratelli” uscito nella sale italiane nel 1960 viene a Luchino Visconti due anni prima. La storia è presto detta. Siamo nell’inverno del ’60 e la famiglia Parondi giunge dalla Lucania in treno a Milano: Rosaria, in lutto per la morte recente del marito, insieme ai figli Simone, Rocco, Ciro e Luca, arrivano di notte per raggiungere il quinto figlio Vincenzo già in città da tempo e fidanzato con Ginetta. La vicenda mette in scena la difficile vita di immigrati meridionali nella grande città del nord in pieno boom economico alla ricerca di una vita migliore.


Genesi di un capolavoro: analisi delle fonti della sceneggiatura

Anche se si tratta di un soggetto originale (praticamente l’unico, visto che i film del regista sono tutti tratti da opere letterarie e teatrali), l’opera è piena di influenze dalle fonti più disparate e da fatti di cronaca: per giungere alle riprese ci voglio due anni di scrittura che passano da due trattamenti e sei versioni di sceneggiatura, con la prima idea esplorata dallo stesso Visconti e da Suso Cecchi d’Amico e lo scrittore Vasco Pratolini. Nel tempo Pratolini abbandona il progetto per altri impegni, ma si aggiungono nella stesura della sceneggiatura Massimo Franciosa ed Enrico Medioli e infine Pasquale Festa Campanile, voluto dal produttore Goffredo Lombardo della Titanus nel momento in cui decide di realizzare la nuova opera del regista lombardo.
L’analisi delle fonti letterarie che hanno ispirato Visconti e collaboratori, permettono anche di rendere esplicita la complessità di “Rocco e i suoi fratelli”. Ne possiamo contare cinque.
La prima originaria è “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller (a cui si era ispirato leggendo un articolo di giornale) che Visconti aveva messo in scena all’Eliseo di Roma. Qui riprende la storia di una famiglia di siciliani immigrati a New York tra cronaca, realismo e melodramma e ne trasla le vicende a Milano.
Ma nelle varie stesure della sceneggiatura s’introducono anche “I malavoglia” di Giovanni Verga e “Giuseppe e i suoi fratelli” di Thomas Mann. Se con l’opera verghiana, Visconti importa la struttura episodica – infatti il film, nella sua versione finale, sarà strutturato in capitoli che prendono il nome dai fratelli -  e il gusto del melodramma con la descrizione della vita di una famiglia meridionale, dal secondo riprende il titolo e le dinamiche tra i fratelli Rocco e Simone e la figura di Nadia, la prostituta che in “Rocco e i suoi fratelli”, diventa l’elemento disgregante della famiglia, fulcro del triangolo passionale con i due fratelli. Il rapporto tra Nadia e Rocco è similare tra Giuseppe e Mut-em-enet (moglie di Potifar- Simone) che lo seduce.
La fonte manniana dà un’impronta di romanzo biblico alla storia viscontiana, che però sarà edulcorata con l’introduzione della quarta influenza: “L’idiota” di Fëdor Dostoevskij. Rocco viene vestito dalla bontà angelica di Myškin e gli svenimenti di Rocco sono assimilabili agli attacchi di epilessia del personaggio del romanziere russo. Inoltre, Nadia è influenzata da Nastas'ja Filippovna e Simone da Rogožin e la scena dell’accoltellamento viene ripresa da Visconti nell’omicidio di Nadia da parte di Simone all’Idroscalo di Milano con molta più enfasi rispetto al romanzo di Dostoevskij.
Ma la fonte finale, la quinta e più decisiva, sono i racconti di Giovanni Testori tratti da “Il ponte della Ghisolfa” e da “La Gilda di Mac Mahon”. Se Visconti ha ridimensionato l’apporto di Testori, citando nei titoli di testa solo la prima opera, nella realtà, come confermato dalla d’Amico (Giori 2011,121), lo scrittore milanese partecipa attivamente alla stesura delle ultime versioni della sceneggiatura, intervenendo sia nella riscrittura dei dialoghi dei personaggi milanesi sia nell’atmosfera ambientale di “Rocco e i suoi fratelli”.


Temi e stilemi: il melodramma sociale tra crisi identitaria e boom economico

La ricchezza compositiva viene amalgamata da un lavoro certosino in fase di scrittura, mescolando elementi che sono poi identificabili in scene e personaggi.
Con “Rocco e i suoi fratelli” Visconti mette in scena l’immigrazione e i disagi culturali ed economici di una famiglia povera alla ricerca della libertà economica. Oltre alle fonti letterarie, ci sono richiami alla realtà e alla cronaca del tempo. Così il mondo della boxe è indagato dal regista con visite alle palestre; oppure l’omicidio di Nadia si rifà anche a un fatto di cronaca della morte di una prostituta proprio all’Idroscalo; o ancora l’omosessualità di Morini – il manager di boxe che si invaghisce di Simone – alla condizione personale di Visconti e Testori.
Ma soprattutto, il film dal punto di vista tematico, è un’esplicita condanna del boom economico che non è altro, ancora una volta, causa dello sfruttamento della manodopera da parte dei capitalisti, ricattata con il sogno della libertà apparente del lavoro. Infatti, Ciro è il fratello che si adeguerà, studiando alle scuole serali e diventando operaio all’Alfa Romeo. Ma, metaforicamente, il mondo della boxe diventa il campo di battaglia tra poveri (i boxeur) e i borghesi sfruttatori (il manager Morini). La zuffa fuori dal palazzetto dopo l’incontro di Simone vittorioso, tra i tifosi dei due contendenti sul ring, rende bene l’idea di questo scontro tra diseredati per nulla. E il discorso di Morini a Simone, nello spogliatoio, oltre a rappresentare la tensione sessuale del primo verso il secondo, esprime anche il concetto di massimo sfruttamento del corpo come oggetto di guadagno. Del resto, è la stessa madre Rosaria che spinge i figli verso la boxe con la chimera di un guadagno facile con cui riempiersi le tasche di denaro in fretta e sollevarli dalla condizione di estrema povertà. E il povero, “angelico”, Rocco ne fa le spese spinto controvoglia al pugilato, dopo l’insuccesso di Vincenzo e la china maledetta che prende Simone.
Dal punto di vista stilistico, Visconti continua il suo discorso sul melodramma come espressione più pura per mettere in scena sommovimenti sociali, ma soprattutto psicologici che sono quelli a cui è più interessato l’autore. Sono un esempio: l’eccesso della recitazione, le maschere dei personaggi che rappresentano un tipo – Rocco, il buono (Alain Delon); Simone, il perduto (Renato Salvatori); Vincenzo, l’imborghesito (Spiros Focàs); Ciro, il razionale (Max Cartier); Luca, l’innocente testimone (Rocco Vidolazzi); Rosaria (Katina Paxinou), madre opprimente per il troppo amore; Nadia (Annie Girardot), l’elemento disgregante l’unità della famiglia – o ancora le triangolazioni e i duelli emotivi come tra Rocco, Simone e Nadia o il confronto tra Rocco e Simone o tra Ciro e i fratelli.
Il melodramma viene amplificato dalle due sequenze più drammatiche come lo stupro di Nadia da parte di Simone di fronte al fratello e agli amici; l’omicidio di Nadia. Visconti utilizza la macchina da presa per una messa in quadro che disegna la forma di questo aspetto: ecco che allora utilizza i primi piani per i dialoghi più forti e passionali tra i personaggi e i campi lunghi nelle sequenze sopra citate oppure per riprendere la folla durante lo scontro fuori dal palazzetto dello sport. La fotografia in bianco e nero di Giuseppe Rotunno amalgama le immagini, confezionando e inglobando l’atmosfera tragica della vicenda.


Il contesto storico: accoglienza critica e scontro ideologico

“Rocco e i suoi fratelli” provoca polemiche e persecuzioni ancora prima della sua uscita. In Italia la censura è ancora forte, ma il periodo storico che vede il governo Tambroni, appoggiato dalla destra fascista, e dal ministro degli interni Scelba, vede nel film un’opera ideologica da colpire per come rappresenta la nazione. Proprio l’aspetto ideologico – lo scontro metaforico tra borghesia e proletariato – e la rappresentazione di un paese dove il boom economico non porta solo progresso, è quello che più colpisce la politica del governo.  Abbiamo poi le dichiarazioni di Giulio Andreotti che, prendendo spunto dalle Olimpiadi che si svolgono a Roma proprio nel ’60, dichiara di preferire la gioventù bella dello sport rispetto a quella ritratta dal film di Visconti. “Rocco e i suoi fratelli” viene tagliato nelle scene più violente, ma anche con queste operazioni subisce una serie di denunce e di persecuzioni giudiziarie da una serie di procure in tutta Italia. Oltretutto, si devono aggiungere da una parte un’accoglienza non proprio entusiasta da una parte della critica di sinistra che si conforma alle indicazioni del Partito Comunista, ma che comunque mette in evidenza gli aspetti di una rappresentazione dei meridionali stereotipati, mentre quella più convinta (guidata da Guido Aristarco) mette in evidenza esclusivamente la tematica ideologica del film; dall’altra parte l’accoglienza del pubblico è contrastante: Visconti voleva parlare alla gente comune con il suo film, ma non riesce a provocare un’identificazione per un pubblico che lavora tutto il giorno e si aspetta divertimento ed evasione dal cinema e non riconoscersi con la vita agra e difficile del quotidiano.
Il film diventa quindi campo di scontro ideologico tra l’opposizione e il governo e ne fa le spese anche alla Mostra di Venezia, dove “Rocco e i suoi fratelli” riceve solo il Leone d’Argento a scapito del film di André Cayatte, “Il passaggio del Reno”, in votazioni accese della giuria che, pur riconoscendone le superiori qualità artistiche, gli preferisce la pellicola francese.
A distanza di sessant’anni tutte queste polemiche e miopie critiche e politiche restano rinchiuse all’interno di una memoria storica passata, mentre “Rocco e i suoi fratelli” arriva ai giorni nostri intonso e potente per la bellezza etica ed estetica che ha travalicato il tempo e lo spazio.


05/04/2020

Cast e credits

cast:
Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Roger Hanin, Katina Paxinou, Alessandra Panaro, Spiros Focás, Max Cartier, Corrado Pani, Rocco Vidolazzi, Paolo Stoppa, Claudia Cardinale


regia:
Luchino Visconti


titolo originale:
Rocco e i suoi fratelli


distribuzione:
Paramount


durata:
177'


produzione:
Titanus, Les Films Marceau


sceneggiatura:
Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, Luchino Visconti


fotografia:
Giuseppe Rotunno


scenografie:
Mario Garbuglia


montaggio:
Mario Serandrei


costumi:
Piero Tosi


musiche:
Piero Tosi


Trama
Siamo nell’inverno del ’60 e la famiglia Parondi giunge dalla Lucania in treno a Milano: Rosaria, in lutto per la morte recente del marito, insieme ai figli Simone, Rocco, Ciro e Luca, arrivano di notte per raggiungere il quinto figlio Vincenzo già in città da tempo e fidanzato con Ginetta. La vicenda narra la difficile vita di immigrati meridionali nella grande città del nord in pieno boom economico alla ricerca di una vita migliore.