Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
8.0/10

"Sieranevada" di Cristi Puiu si apre con un pianosequenza che pare dare il tono al film: il campo lungo da cui si segue la scena è sintomatico di una regia clinica e distaccata, che si pone in continuità con lo stile che contraddistingue parte dell'autorialità europea ma soprattutto il nuovo cinema rumeno che iniziò ad affermarsi proprio grazie a Puiu e al suo "La morte del signor Lazarescu" (2005). Nonostante la lunghezza, persino estenuante, non si intravede alcun segno di epifania nell'incipit che fotografa, piuttosto, la quotidianità nel suo farsi: una famiglia borghese lascia la figlia più piccola dalla nonna materna; raccomandazioni, dimenticanze, isterie superflue filmate momento per momento, finché non si sale nella macchina del marito, Lary. La regia di Puiu compie qui il suo primo scarto e, non rinunciando al pianosequenza, si incolla ai personaggi riprendendo dal posto del viaggiatore dialoghi incentrati sulla confusione generata dai vestiti di Cenerentola, sulla differenza tra le favole dei Grimm e quelle di Walt Disney e su quando fare la spesa al Carrefour prima dell'orario di chiusura.

Lary e sua moglie sono diretti a casa della di lui madre dove tutta la famiglia è riunita per la commemorazione dei quaranta giorni dalla scomparsa del padre. Il regista si chiude tra le mura domestiche di questa famiglia e inizia ad analizzarne le dinamiche: la cinepresa piazzata nel corridoio distribuisce, per mezzo di long take, in diverse stanze i vari gruppi che portano avanti le loro conversazioni, inizialmente a porte chiuse, compartimenti stagni che ogni tanto comunicano tra loro. La cucina per i fumatori, il soggiorno per la discussione politica, la camera da letto per la matriarca e la sorella, la depressa zia Ofelia disperata per l'ennesimo litigio col marito. Il regista entra in ogni stanza seguendo l'impassibile dottor Lary, occhio apparentemente neutro del pianeta familiare. Puiu organizza un dramma da camera borghese che, grazie al suo senso dell'umorismo, si volge improvvisamente in commedia. Anzi, la situazione familiare descritta con sopraffina intelligenza nella scrittura dei caratteri e della situazioni (tanto che chiunque potrebbe pensare a un italianissimo "pranzo della domenica"), è perfetta per delineare una commedia umana in cui l'estensione della durata dei vari piani-sequenza approssima la vita vera, tanto che la pellicola sembra svolgersi in tempo reale.

L'autore cerca di raccontare assumendo come baricentro un punto non occupato dello spazio del teatro dell'appartamento: la macchina da presa piazzata sul cavalletto si muove come farebbero gli occhi di uno spettatore interno per cercare di non perdersi alcun dettaglio delle varie storie che si intrecciano. Ottenere una visione sinottica e ubiqua è naturalmente impossibile e, al contrario, l'effetto iniziale è di totale disorientamento, poiché l'occhio spettatoriale si ritrova in mezzo a una baraonda di personaggi in tumulto, senza essere stato invitato: in fondo, è la medesima sensazione di costrizione che vivono i personaggi stessi. Il secondo scarto compiuto dall'autore di "Aurora" lo si può cogliere nell'interazione tra lo stile, austero e radicale, e il guizzante registro che si fa via via più beckettiano, considerando la snervante attesa a cui è sottoposta la famiglia: il prete, infatti, continua a tardare e ciò comporta che nessuno possa mangiare, nonostante la fame cresca; per ovviare a tale problema si iniziano a stappare le bottiglie e, da qui, i discorsi divengono talvolta a ruota libera. Puiu si diverte a decentrare e a procrastinare tenendo in mente la lezione buñuelliana de "L'angelo sterminatore" e i protagonisti sembrano addirittura imprigionati nella casa, nell'eterna attesa di commemorare il proprio caro estinto. E quando la commemorazione finalmente prende l'avvio e poi si conclude e si potrebbe dare inizio al banchetto, ecco che l'intervento del marito della zia Ofelia, Toni, guasta l'armonia ritrovata.

Se un personaggio esce, un altro entra in scena provocando una nuova divagazione che rinvia l'evento centrale ottenendo così una micro-crisi: la moglie di Lary esce a fare la spesa, stanca di aspettare e poco dopo sopraggiunge la cugina più giovane, l'universitaria Camelia con un'amica ubriaca facendo chiedere alla nonna che cosa abbia fatto di male per meritarsi una ospite così incresciosa. Nel momento in cui alla porta suonano i preti, la ragazza e l'ospite inattesa vengono nascoste in una stanza dalla quale non devono uscire finché la cerimonia non sarà conclusa: è la sublime arte piccolo-borghese di nascondere la spazzatura sotto il tappeto. La discrasia creata dall'ironia affilata della scrittura e l'impersonalità voyeuristica dello sguardo registico permette a questa solenne sinfonia sul movimento umano di far esplodere la propria intrinseca comicità.
A questo punto, non si può più soprassedere sull'analisi del nostro referente più prossimo all'interno del teatro familiare, il già citato Lary: il suo essere grigio e assolutamente indifferente a qualsiasi discussione mette in luce la continua opposizione tra il distacco ironico con cui guarda a ogni aspetto della vita che gli scorre davanti e le emozioni (sovra)esposte degli altri. Tali caratteristiche emergono con forza attraverso alcune macro-sequenze che giustapposte rilevano il tracciato emotivo del personaggio e come esso si relazioni agli sciami sismici in seno al nucleo familiare. Fin dall'inizio, il cugino Gabi, partendo da dei dubbi sulle immagini della strage alla redazione di Charlie Hebdo, si fa portatore delle teorie complottiste post-11 Settembre e Lary non fa che schernirlo (insieme al cognato Sebi che si trovava a New York proprio quel fatidico giorno), contrapponendo la logica linearità della verità ufficiale; quando la discussione viene riesumata per l'ennesima volta di dronte a Relu, fratello militare del protagonista, egli prende posizione contro le granitiche quanto ciniche certezze di Lary - ed è il primo momento in cui il personaggio tace non sapendo ribattere. In un'altra scena, la sorella di Lary si confronta con un'anziana amica di famiglia, comunista militante e nostalgica di Ceauşescu mentre questa strepita le sue verità sulla bontà e la giustezza dei sacrifici compiuti in nome degli ideali socialisti, la giovane donna si mette a piangere, non volendo ascoltare per l'ennesima volta le stesse sciocchezze e Lary, invece di schierarsi in difesa della sorella, blandisce la "nonna" col solito tono caustico e mellifluo. Nella parte finale, Lary non può trattenere le risate quando Ofelia rinfaccia a Toni di averla tradita facendo sesso orale con la moglie di un vicino. In mezzo si svolge una sequenza che sta fuori dal canone familiare: Laura, bloccata da una macchina in doppia fila, chiama in soccorso il marito ma l'arrivo di Lary non fa che peggiorare la situazione creando un violento alterco con dei passanti, alla fine del quale l'uomo, piangendo, racconta un aneddoto riguardante il padre e confessa, tra le righe, che come lui è un traditore. È il secondo momento in cui il personaggio mostra la sua crisi, il proprio vuoto interiore e il primo in cui si espone sinceramente davanti a qualcun altro.

Inevitabile raffrontare "Sieranevada" a "Bacalaureat" di Cristian Mungiu, anch'esso presentato in concorso all'ultimo festival di Cannes; i plot di entrambi i film mostrano come sotto la lente di ingrandimento non vi siano le ombre della dittutura che si allungano nella storia rumena né i disagi (sociali, umani) del popolo, bensì la classe media nella Romania di oggi. E difatti è evidente l'estrazione borghese del campione fotografato in interno da Puiu e da Mungiu nell'esterno di un effetto a spirale, nel tentativo di radiografare il funzionamento della società. I due protagonisti, Romeo e Lary, sono apparentabili, entrambi opachi e in crisi, ma se Mungiu lavora sulla tragedia ridicola di un borghese piccolo piccolo che simbolicamente diviene la tragedia di un intero paese in cerca di una nuova identità, Puiu si fa architetto di un microcosmo che si estende a dismisura tra le quattro mura di una casa. E allo spettatore che inizialmente è disorientato dal ramificato albero genealogico, l'arte del regista permette gradualmente di accomodarsi di fianco ai personaggi per essere partecipi alla varia umanità con cui ci si può confrontare, rendendosi conto che nessuno, forse, vorrebbe essere lì. Dalla famiglia si vuole fuggire e alla famiglia si fa ritorno, isola conosciuta in una realtà sempre più oscura e imperscrutabile. Così come Lary, il perno della narrazione, è posto spesso ai margini dell'inquadratura, il vero centro del film è occultato fuori dallo spazio casalingo osservato con minuziosa attenzione da Puiu: l'accettazione silenziosa della sconfitta di una generazione che non ha rivoluzionato il proprio paese ma si è rassegnata ad adattarsi nell'oscurità di una società senza più punti fermi fa sì che "Sieranevada" - come più ovviamente "Bacalaureat" - si interroghi sulla confusione che attanaglia non semplicemente la Romania ma l'intera Europa.  


22/06/2016

Cast e credits

cast:
Mimi Branescu, Dana Dogaru, Catalina Moga, Petra Kurtela, Marin Grigore, Bogdan Dumitrache, Ana Ciontea, Rolando Matsangos, Simona Ghiă, Sorin Medeleni


regia:
Cristi Puiu


distribuzione:
Parthenos Distribuzione


durata:
173'


produzione:
Alcatraz Films, Mandragora Movies, Sisters and Brother Mitevski Production, Spiritus Movens


sceneggiatura:
Cristi Puiu


fotografia:
Barbu Bălăşoiu


montaggio:
Letiţia Ştefănescu, Ciprian Cimpoi, Iulia Mureşan


musiche:
Bojan Gagić


Trama
Tre giorni dopo l’attentato contro la redazione di "Charlie Hebdo" e a quaranta dalla morte di suo padre, Lary – 40 anni, medico – va a trascorrere un sabato in seno alla famiglia riunita per commemorare il caro estinto. Ma non tutto andrà come previsto. Costretto ad affrontare le proprie paure e il suo passato e a riconsiderare il posto che occupa all’interno del nucleo familiare, Lary sarà spinto a dire la sua parte di verità…