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La parabola criminale della famiglia Byrde, trapiantata dal cuore finanziario di Chicago alla rigogliosa zona lacustre degli Ozark, nello stato del Missouri, con un minaccioso cartello messicano alle calcagna

Ideata da Bill Dubuque e Mark Williams e prodotta da Netflix per quattro stagioni, lanciate in streaming tra il 2017 e il 2022, “Ozark” ha dato pane per i loro denti a tutti gli orfani di “Breaking Bad”. In realtà, però, le similitudini tra la serie di Vince Gilligan e quella della coppia Dubuque-Williams si esauriscono presto. Sebbene le sinossi delle fasi iniziali delle due produzioni vedano spunti di partenza molto simili, ovvero due famiglie che si ritrovano (più o meno) loro malgrado a fare i conti con l’universo criminale, queste differiscono completamente nei toni, nella scrittura, nell’utilizzo del comparto tecnico, ma soprattutto nei messaggi di cui si fanno veicolo.
Se “Breaking Bad” era un geniale e accattivante giocattolone di entertainment, tanto riuscito da poter penetrare a più livelli nella pop culture dello scorso decennio, facendo peraltro di Gilligan una specie di Tarantino del piccolo schermo, “Ozark” agisce su un piano più cinico e realista che, al netto di una trama intricata e molto fantasiosa, fornisce agli spettatori una panoramica sul mondo della criminalità americana e sui suoi torbidi intrecci con i più disparati contesti socio-economici. La famiglia Byrde nella sua interezza diventa quindi il simbolo di un’America avida e capace di tutto, finanche di sacrificare la propria umanità, nel nome del denaro e, ancor più, del potere.
Per chiudere il paragone con “Breaking Bad”, va infine notato come nella narrazione della serie di Amc fosse sempre presente, mediante il percorso di alcuni personaggi, una sorta di bilanciamento etico e morale. Tale aspetto, invece, è totalmente assente in “Ozark”, dove la lancetta pende costantemente verso il male e l'amoralità. La questione diventa dunque quanto in là i personaggi e la narrazione potranno arrivare a spingersi. Gli sporadici slanci di rettitudine dei pochissimi personaggi positivi – e di qualcuno degli altri – sono inevitabilmente destinati ad affogare nelle placide acque del Missouri Dragon.

I Byrde e gli Ozark

Nel primo, febbrile episodio della stagione iniziale conosciamo la famiglia Byrde, e in particolare i coniugi Marty e Wendy (gli affiatatissimi Jason Bateman e Laura Linney), in medias res. Marty è un talentuoso consulente finanziario di Chicago e insieme al suo collega Bruce Liddle (Josh Randall) ricicla denaro sporco per conto di uno dei più grandi cartelli della droga messicani. Facciamo la sua conoscenza nel momento in cui Del (Esai Morales), il loro contatto con il cartello, scopre che mancano all’appello ben 8 milioni di dollari. Dopo l'uccisione di Bruce, della sua fidanzata e della famiglia intestataria della compagnia di camion che muove il denaro dal Messico agli Stati Uniti, a Marty, per salvarsi la pellaccia, servirà un colpo di genio – il primo di tantissimi che vedremo nel corso delle 4 stagioni.
L’intuizione che salva la sua vita e quella della sua famiglia si presenta a Marty quando ha tra le mani una brochure turistica della zona lacustre degli Ozark, nello stato del Missouri, e decide di “vendere” la zona al cartello come il luogo perfetto per riciclare denaro sporco, salvandosi dunque con la promessa di “lavare” 500 milioni di dollari in 5 anni. Del accetta e intima a Marty di trasferirsi immediatamente nel Missouri con la famiglia iniziando a riciclare gli 80 milioni fatti sparire da Bruce in tre mesi. Pena, ovviamente, la morte.
Nel frattempo Wendy tradisce il marito con tale Gary Silverberg (Bruce Altman). Quando, già consapevole del side job del marito, confida all'amante gli ultimi sviluppi, questi le consiglia di recuperare quanti più soldi possibile, portando con sé i figli adolescenti Jonah e Charlotte e tenendosi alla larga dal coniuge. Ma Gary non potrà veder realizzati i suoi propositi: il cartello, infatti, lo elimina senza pensarci due volte.
Senza un soldo in tasca, con tutte le proprietà e gli asset finanziari alienati per recuperare almeno in parte gli 80 milioni dovuti al cartello - e con la verità sul trasferimento presto nota a tutti e quattro i suoi membri - la famiglia Byrde è finalmente pronta per uno dei viaggi nel cuore del crimine più avvincenti della recente storia seriale.

Arrivata negli Ozark, nota località turistica del Missouri conosciuta anche con il colorito appellativo di Rednecks Riviera, vivissima d’estate quanto spettrale d’inverno, la famiglia Byrde si ritroverà spaesata e agitata a fare i conti con un nuovo habitat, soltanto in apparenza placido come le sue acque. I suoi ampi corsi d’acqua deviati dal Missouri River, le enormi coltivazioni nell’entroterra, la rigogliosa vegetazione a picco sui laghi e le guardinghe catene montuose sono infatti l’alcova perfetta per una fitta rete criminale di vecchio stampo.
Da una parte, i Byrde si troveranno dunque a fare da agente contaminante della zona, trascinando nella loro spirale criminosa, mascherata da brillante capitalismo, piccoli imprenditori locali sull’orlo del fallimento, le cui attività verranno rilevate una dopo l’altra per favorire il riciclaggio di denaro sporco; dall’altra, si dovranno integrare in un sistema criminale ben rodato, con tanto di ostili e corrotte forze dell’ordine, che resisterà all'invasione in tutti i modi possibili.
Un bordello, una stazione di rifornimento per barche con diner incorporato e una piccola società immobiliare saranno le prime imprese a finire nel vortice dei Byrde. Poi sarà la volta di un’agenzia di pompe funebri, il cui crematorio sarà il luogo designato a smaltire i numerosissimi cadaveri di chi si interporrà tra la famiglia e i suoi macchinosi piani. Non sarà risparmiano neanche uno zelante pastore, al quale verrà promessa la costruzione di una chiesa al fine di utilizzarne i costi di produzione per riciclare ulteriore pecunia.

Marty e Wendy dovranno poi fare i conti con due famiglie: gli Snell e i Langmore. I primi (in particolare, la truce Darlene) sono due vecchi, imprevedibili, spietati e burberi redneck, grandi possidenti terrieri dediti alla coltivazione e allo spaccio di oppio; i secondi una sorta di tribù di piccoli criminali che vive di espedienti e che quasi per caso viene a conoscenza della verità sui Byrde. È proprio da quest’ultima che proviene il personaggio più tormentato e riuscito dell’intera serie: Ruth Langmore. Interpretata dalla pluripremiata agli Emmy Julia Garner, la giovane instaurerà con Marty una relazione di apprendistato e sincero affetto, vedendo in lui un mentore alternativo alla odiata figura del padre violento. Va da sé che Marty non la condurrà al tanto agognato riscatto sociale, bensì a una spirale catastrofica...
Altro personaggio chiave delle prime stagioni, figura cruciale nell'inserimento dei Byrde nel tessuto sociale degli Ozark è Buddy Dieker (Harris Yulin), un vecchio affiliato della mafia di Kansas City con il quale la famiglia condividerà una villetta con accesso al lago. Il vegliardo fornirà ai quattro consigli e supporto per penetrare nella maglie del sistema criminale locale, ma soprattutto diverrà l’unico vero affetto su cui i Byrde potranno contare in zona. In particolare, il giovane Jonah vedrà in lui un nonno e un amico. Dieker continuerà a vegliare sui Byrde anche dopo la sua morte, fornendo finalmente riparo, nel suo mausoleo funebre super blindato, al denaro da smaltire.

Un universo criminale in espansione

Con una metodica non dissimile da quella dell’intramontabile “The Wire”, applicata però a una trama decisamente più romanzata, “Ozark” amplia il suo raggio d’azione e le tematiche trattate di stagione in stagione. Una volta che i Byrde si saranno guadagnati la sopravvivenza e il passaggio al livello successivo, Marty provvederà ad aprire un casinò, attività perfetta per riciclare denaro a lungo termine. Per farlo i Byrde necessiteranno dell'appoggio di una serie di politici corrotti, magnati dalla dubbia moralità, avvocati non propriamente etici e sindacati controllati dalla mafia della vicina Kansas City. In seguito, entreranno in gioco anche poco ortodosse Big Pharma disposte a comprare eroina dal cartello o dagli Snell e senatori desiderosi di truccare le elezioni mediante macchinari brevettati in famiglia.
Più le mire dei Byrd si faranno ampie e più il disegno di Dubuque e Williams si stratificherà e affollerà di elementi in gioco.
Ai due poli, in una sorta di braccio di ferro che attanaglia la famiglia, due forze uguali e opposte: l’Fbi e il cartello. Di entrambe, gli showrunner sembrano interessati a mostrare soprattutto elementi inediti. Scopriremo dunque una polizia federale controversa, popolata di figure ambigue che agiscono secondo logiche meramente politiche, per le quali la lotta al crimine è il mezzo e non lo scopo. Così anche Maya Miller (Jessica Frances Dukes), l’unica agente che sembra davvero interessata alla lotta al cartello e alla salvezza dei Byrde, finirà inesorabilmente isolata. Il personaggio più intrigante del drappello federale è però Roy Petty (il mefistofelico Jason Butler Harner), autentico sociopatico disposto a tutto e incapace di scindere la vita personale dal suo ossessivo approccio al lavoro.
Comunque sanguinario, il cartello messicano mostratoci da “Ozark” è decisamente lontano dalla narrazione classica della mafia centro-americana. La famiglia Navarro si prepara infatti a passare il testimone a una nuova generazione di narcos in giacca e cravatta con un master degree nelle migliori università d’America nel taschino. Al contempo, la vecchia guardia capeggiata da Omar Navarro (un compassato, ma all’occorrenza brutale Felix Solis) si preoccupa di costruire, proprio mediante le abilità politiche di Wendy Byrde, un impero legittimo da lasciare ai posteri e per ottenere ciò non disdegnerà una cooperazione proprio con l’Fbi.
I due agenti esterni che inizialmente stritolano i Byrde nella loro morsa finiscono quindi col diventare uno strumento nelle mani della famiglia per la sua ascesa al potere.

Metamorfosi di una famiglia

Quando i Byrde arrivano negli Ozark, devono fare i conti non soltanto con la loro mission, ma anche con tutta la verità sui problemi di coppia tra Wendy e Marty, che vengono presto svelati ai figli Charlotte e Jonah. Entrambi i fattori scuoteranno la famiglia alle fondamenta, avviandone un processo di mutazione inarrestabile che travolgerà tutti i suoi membri. I due ragazzi si troveranno a dover accettare consapevolmente un passaggio di status da alto-borghesi metropolitani a criminali che si fanno breccia in una comunità rurale e ostile. Entrambi vacilleranno spesso e offriranno due percorsi speculari ma differenti. Già nella prima stagione, Charlotte perderà simbolicamente la verginità con il primo arrivato per poi alternare momenti in cui spalleggerà la madre ad altri in cui sgomiterà per emanciparsi anzitempo dalla famiglia. Pervaso da una sconfinata ammirazione per il padre, il più piccolo e geniale Jonah comincerà invece a riciclare denaro per suo conto e a investirlo fra conti off shore e cripto-valute, sedendosi talvolta al tavolo dei genitori, altre volte tradendoli e passando addirittura al fianco del nemico. Rifiuto e partecipazione saranno dunque l’instabile bilancia dei due coming of age criminali interpretati dagli ottimi Skylar Gaertner e Sofia Hublitz.

A offrire il percorso più lineare del lotto è invece il capofamiglia Marty Birde, al quale un grandioso Jason Bateman conferisce un volto sempre umano, affabile e stoico nell’affrontare le prove impostegli dalla sua nuova carriera. Grazie ai suoi modi gentili e a una spiccata comunicatività, Byrde riesce a convincere della bontà delle sue proposte chiunque incontri sulla sua strada.
In realtà, il consulente finanziario veste il ruolo di kingpin suo malgrado con la stessa nonchalance con la quale indossa le sue iconiche camicie a quadretti e sarà finanche capace di sostituire temporaneamente Omar Navarro nel ruolo di capo del cartello, arrivando persino a ordinare delle esecuzioni. Un lupo travestito da agnello, disposto a tutto per non mollare il suo ultimo aggancio all’umanità perduta, ovvero la sua famiglia.
Il vero epicentro delle vicende della famiglia Byrde e della serie tutta è però Wendy Byrde. Il personaggio interpretato da Laura Linney vedrà nella nuova attività familiare la possibilità di riscattare il suo fallimento come Pr politica, ruolo cui aveva rinunciato anzitempo per crescere i bimbi. Sarà dunque lei ad alzare sempre l’asticella delle macchinazioni e delle mire familiari e a dirottare Marty verso il crimine ogni qualvolta questi si mostrerà titubante.
Wendy incontrerà sulla sua strada due personaggi fondamentali per la sua trasformazione in una famelica fiera del crimine. Quando le rotte di questi ultimi entreranno in collisione, la signora Byrde dovrà prendere la più brutale delle decisioni e abbracciare dunque una volta e per tutte il cosiddetto lato oscuro, preferendo il compimento dei propri piani al suo ultimo baluardo di umanità. Il primo dei due è la spietata Helen Pierce (una gelida Janet McTeer), l’astuta e infallibile avvocatessa del cartello inviata dai Navarro, in compagnia del silente sicario Nelson (Nelson Bonilla), a fare da balia ai Byrde negli Ozark. Dapprima modello di rigidità e rigore da seguire, Helen diventerà presto per Wendy una nemica da annientare e spodestare. Il secondo è invece suo fratello Ben Davis, personalità bipolare dal destino ineluttabilmente drammatico che faticherà ad accettare la deriva di sorella e famiglia e, innamorandosi poi di Ruth, ne metterà a repentaglio tutti i piani.

Radiografia di un cult immediato

Sebbene non si tratti di una serie cult a tutte le latitudini, grazie alla sua sceneggiatura stratificata e ricca di colpi di scena, “Ozark” è stata presto accolta da milioni di spettatori e gran parte della critica come una delle più riuscite produzioni crime dell’ultimo decennio. Ad eccezione di una seconda metà della quarta stagione che a livello di scrittura non riesce a eguagliare quanto raccontato fino a quel momento, indugiando forse troppo sull’assenza di limiti etici e morali dell’ascesa al potere dei Byrde più che puntare a una migliore risoluzione delle vicende, il lavoro degli showrunner è sempre avvincente e suggerisce continue riflessioni che coinvolgono i confini labili tra istituzioni e criminalità, i limiti morali del libero arbitrio, i labili equilibri familiari, tanto quanto la possibilità di cambiare il corso del proprio destino quando si proviene da una realtà abietta – da questo punto di vista, l’epopea del giovane Wyatt Langmore (Charlie Tahan) è ancora più significativa di quella della cugina Ruth.

Per buone tre serie e mezza, gli sceneggiatori di “Ozark” sembrano infallibili come i piani dei Byrde. Avanzano dunque in una cavalcata trionfale di trovate, cliffhanger e capovolgimenti di fronte che non sembra conoscere limiti. Come anticipato, qualcosa si inceppa soltanto nella gestione del finale, che un po’ arranca nel chiudere in modo soddisfacente tutte le storyline messe in campo.
Decisivo poi, nella costruzione del mito “Ozark”, un comparto tecnico perfetto che punta a una messa in scena asciutta e rigorosa, alla quale conferisce un taglio cinematografico riconoscibile a ogni inquadratura e movimento di camera. Micidiale, in particolare, il continuo utilizzo di un filtro blu (specie quando la famiglia è al centro della scena), in grado di accentuare il gelo della progressione criminale.
Spesso e volentieri la serie si prende tutto il tempo di cui abbisogna, diramandosi in sezioni statiche e finanche tempi morti. È proprio nella gestione dell’alternanza tra queste sezioni più lente, fatte di dialoghi, ricordi e inquadrature a tutto campo, e vere e proprie accelerate d’azione, che la regia si rivela fondamentale e cinematografica. È proprio nei momenti di stasi, infatti, che regia e fotografia lavorano all’unisono per realizzare veri e propri quadri cinematografici. Da una parte, dominano esterni dove la natura lussureggiante, florida e impassibile fa da sfondo a loschi traffici e a dialoghi esistenziali, come quelli indimenticabili tra Ruth e suo cugino Wyatt, rivolti verso il lago dal tetto della fatiscente roulotte dei Langmore. Dall'altro, si rivela altrettanto riuscito il lavoro sugli interni, sempre molto cupi, talvolta claustrofobici, in linea con l'angoscia della narrazione. La casa sul lago dei Byrde, l’ufficio di Marty al casinò, la cripta del vecchio Buddye gli interni delle automobili di famiglia vengono fotografati come antri oscuri in cui si consumano i dialoghi più peccaminosi e vengono prese le decisioni più estreme. Anche una ricca colazione all’americana, con tanto di pancake e sciroppo d’acero, può essere trasformata da una regia sempre ficcante in un momento ricco di tensione. Alcuni dei principali episodi sono stati diretti dallo stesso Jason Bateman, che è anche produttore esecutivo della serie. Tra gli altri registi figurano poi nomi del calibro di Robin Wright e Alik Sakharov, personaggio molto noto ai fan di “The Game Of Thrones”.
Irresistibile è stata poi la trovata iconografica di utilizzare il titolo della serie, che appare prima di ogni episodio, per contenerne indizi riguardo lo svolgimento. Una O quadripartita ospita in ciascuno spicchio un oggetto, debitamente travestito da una delle restanti lettere (ARK), importante per la trama della puntata.

Meno centrale che in altre serie contemporanee, anche l’utilizzo della colonna sonora di “Ozark” ha delle particolarità e dei temi ricorrenti. Talvolta la musica travalica persino il ruolo di mero accompagnamento. Se i temi originali si riducono a minacciosi e gelidi droni che potenziano i toni plumbei della messinscena è invece molto variegata la proposta in fatto di brani non originali. Tra i nomi più noti incontriamo Radiohead, Nirvana, Bob Seger, Black Angels e DJ Shadow, tutti posti a corredo di alcune delle scene di chiusura più tese, con i Reo Speedwagon a fare addirittura un’ospitata in carne e ossa come guest star di un concerto al “Missouri Belle”, il casinò dei Byrde. Il più grande protagonista è però l’hip-hop, genere preferito di Ruth, che l’accompagna dunque nel suo percorso e diventa centrale in alcune conversazioni con i suoi cugini. In una puntata cruciale per lo sviluppo della storyline di quest’ultima possiamo addirittura ascoltare quasi nella sua interezza “Illmatic” di Nas, i cui testi diventano fondamentali per capire quello che sta accadendo e per sbirciare tra i pensieri della giovane Langmore.

L’elemento più importante per la riuscita della serie è stato però molto probabilmente il casting. Nel corso di questa disamina, si è accennato ad almeno una ventina di personaggi. Questi sono però soltanto una goccia in un oceano di sotto-trame, evoluzioni e incontri che riescono a conquistare l’attenzione alla pari del plot principale. La stragrande maggioranza di questi comprimari sono interpretati da volti noti del mondo seriale, chiamati a dare il meglio di sé nel ruolo di caratteristi da una regia sempre capace di sfruttarne sfumature e accenti. 
La sola famiglia Langmore, ad esempio, oltre ai fondamentali Ruth e Wyatt, offre un’ampia rosa di villain, che vanno dal rozzo e crudele Cade (Trevor Long), al più controverso e struggente Russ (un barbuto Marc Menchaca, che nel corso della serie interpreterà anche una bellissima versione unplugged di “The Man Who Sold The World”) e al dolce Three (Carson Holmes), unico superstite della maledizione di casa. Lo stesso vale per il cartello, che vede i suoi personaggi addizionali più interessanti nel rampante Javi Elizondro (John Nix) e in sua madre Camila (Verónica Falcón), nonché nell’enigmatico prete di famiglia Padre Benitez (Bruno Bichir); così come per l’Fbi, la mafia di Kansas City, la Shaw Medical Solutions e via discorrendo. Talvolta rubano poi la scena ai protagonisti alcune mine vaganti, quali il viscido e religioso padre di Wendy (Richard Thomas), il caparbio detective Mel Sattern (Adam Rothenberg) chiamato a indagare sulle scomparse di Helen e Ben e, forse il migliore di tutti, lo scaltrissimo avvocato e pierre politico Jim Rattelsdorf (Damian Young).

I voti

Stagione 1: 8
Stagione 2: 8
Stagione 3: 8,5
Stagione 4: 7,5

Ozark
Informazioni

titolo:
Ozark

titolo originale:
Ozark

canale originale:
Netflix

canale italiano:
Netflix

creatore:
Bill Dubuque, Mark Williams

produttori esecutivi:
Jason Bateman, Chris Mundy, Bill Dubuque, Mark Williams

cast:

Jason Bateman, Laura Linney, Julia Garner, Jason Butler Harner, Jessica Frances Dukes, Lisa Emery, Peter Mullan, Skylar Gaertner, Sofia Hublitz, Adam Rothenberg, Alfonso Herrera, Charlie Tahan, Damian Young, Esai Morales, Felix Solis, Janet McTeer

anni:
2017-2022