L'ouverture è una sequenza ralenti in cui alcuni uomini domano cavalli selvatici a mani nude. È la rapa das bestas. La macchina da presa riprende le froge ansimanti in un piano ravvicinato seguendo il lento, sfiancante abbraccio degli uomini alle bestie. È la prima delle quattro sequenze chiave per capire "As bestas – La terra della discordia", quinto lungometraggio del talentuosissimo Rodrigo Sorogoyen, e prelude al lento, sfiancante dipanarsi del dramma.
Ispirata a un caso di cronaca, la storia ruota intorno alle vicende di Antoine Denis (Denis Ménochet) e la moglie Olga (Marina Fois), coppia francese di mezza età che si trasferisce nella Galizia rurale con il sogno di fare agricoltura ecosostenibile e ristrutturare alcune abitazioni a scopo di ecoturismo. Perciò rifiutano la generosa offerta di una multinazionale norvegese che vorrebbe ricoprire la valle di pale eoliche. Il rifiuto fa infuriare altri abitanti della valle, che speravano nei soldi per rifarsi una vita altrove. In particolare i fratelli Anta, Loren (Diego Anido) e l'aggressivo Xan (Luis Zahera). Come nella migliore tradizione western, comincia il lento, inesorabile valzer degli sguardi in tralice, dei silenzi ostili, delle provocazioni in pubblico, delle ombre che si muovono all'esterno, di notte, accerchiando l'eroe in un abbraccio sempre più stretto.
Sorogoyen adotta una tecnica opposta rispetto al film precedente, l'ottimo "Il regno", che era girato prevalentemente in interni e in handicam. Qui domina lo spazio aperto, autentica frontiera dove si perde il confine tra la modernità e il pavesiano "eterno durare" della campagna. E spicca la camera fissa, utilizzata in alcuni campi lunghi e in una seconda sequenza-chiave che riprende un lungo e tesissimo dialogo tra Antoine e Xan al bancone del bar, stile saloon. Sulla terza sequenza e il suo zoom asfissiante meglio non pronunciarsi o entriamo diretti in spoiler alert. Nella quarta e ultima, la visuale dondola tra Olga e la figlia Marie in una resa dei conti esplosiva. Sorogoyen costruisce insomma un gioco di simmetrie retto soprattutto dal duello rusticano tra il gigante buono Ménochet (che ricorderete nei panni dello sventurato monsieur LaPadite in "Bastardi senza gloria") e la fisicità belluina, ansiogena di Luis Zahera. Figure e motivi che si riflettono gli uni negli altri, uomini che abbracciano bestie, bestie che abbracciano uomini, uomini che diventano bestie, mentre le donne diventano testimoni e poi martiri della violenza degli uomini.
Sarebbe limitante ridurre il film a una questione di "cuore" o "umanità" come ha fatto una certa critica. "As bestas", come altri titoli di Sorogoyen, si interessa soprattutto al conflitto: i suoi modi, i suoi tempi, le sue misteriose e invisibili origini. Conflitto di classe tra i Denis, borghesi che vogliono diventare agricoltori, e gli Anta, agricoltori che vogliono diventare borghesi; conflitto culturale tra indigeni e stranieri; conflitto storico tra le ragioni della modernità e quelle della fame; conflitto generazionale tra Olga, coltivatrice per vocazione in quanto il sogno era "crescere" la figlia Marie, e la stessa Marie, giovane madre single, nomade per natura perché sedotta dal grande mito dei nostri tempi, il "fare esperienza".
La madre di tutti i conflitti rimane però fuori dallo schermo, e oppone il senso di appartenenza verso un territorio all'ascesa rampante di un capitalismo sempre più rizomatico e deterritorializzato (Deleuze-Guattari docent). Un'angoscia attuale in questi tempi di nomadismo economico e governance sovranazionali. Come possono intendersi Antoine, borghese istruito e idealista che fugge in campagna, e Xan, contadino indigente e pragmatico che vorrebbe fuggire dalla campagna? Non possono. E se è difficile empatizzare con la bestialità di Xan, lo è altrettanto con l'idealismo di Antoine, perché la sua concezione di libertà assomiglia tanto, forse troppo, a un capriccio radical chic. Non è proprio in nome di un'idea di giustizia sociale che Antoine si oppone quasi unilateralmente alla cessione dei terreni, che rappresenterebbe proprio – almeno per i contadini – una forma di riscatto sociale?
L'intelligenza di "As bestas" risiede nella capacità di mantenersi in equilibrio tra i poli di un conflitto raccontato con feroce empatia e solido pessimismo. In questo senso, se da un lato si rifà a western moderni come "Cane di paglia" (Peckinpah 1971) e "Un tranquillo weekend di paura" (Boorman 1972), dall'altro invece, come ne "Il regno", impregna il racconto di un'atmosfera cospiratoria, invisibile ma soffocante, che richiama la Paranoia Trilogy di Pakula e "La conversazione" (Coppola, 1974). Un'ultima citazione la merita il personaggio di Claudia Cardinale in "C'era una volta il West" (Leone , 1968): Olga, come Jill, muta e stoica testimone di un mondo che crolla e infuria intorno a lei. Alle donne, dopo che gli uomini hanno distrutto, spetta il compito di ricostruire.
cast:
Marina Foïs, Denis Menochet, Luis Zahera, Diego Anido, Marie Colomb, Luisa Merelas
regia:
Rodrigo Sorogoyen
titolo originale:
As bestas
distribuzione:
Movies Inspired
durata:
137'
produzione:
Arcadia Motion Pictures, Le Pacte
sceneggiatura:
Isabel Pena, Rodrigo Sorogoyen
fotografia:
Alejandro de Pablo
scenografie:
Marta Loza Alonso
montaggio:
Alberto del Campo
costumi:
Paola Torres
musiche:
Olivier Arson