dramma, commedia, avventura, musical | Francia/Italia (1965)
Una festa macabra accompagnata da una colonna sonora suggestiva (opera di Antoine Duhamel che, oltre le partiture, tira fuori due gioiellini quali “Ma ligne de chance” e “Jamais je ne t’ai dit que je t’aimerai toujours”, canticchiati da Anna Karina) e da una morra di “passanti” eccellenti: la principessa libanese Aicha Abidi che interpreta se stessa mentre ci racconta il suo esilio dorato sulla Costa Azzurra; il vecchio amico Laszlo Szabo che si finge perseguitato politico; il giovanissimo Jean-Pierre Leaud che vediamo al cinema in prima fila mentre guarda con attenzione dei cinegiornali sulla guerra in Vietnam; il comico Raymond Devos che interpreta una esilarante gag sulla sfiga in amore e, ultimo, il mitico Samuel Fuller che alla “baziniana” domanda di Ferdinand: “Che cos’è il cinema?”, risponde: “Un campo di battaglia: amore, odio, azione, violenza, morte. In una parola: emozione”.
Lo stesso Godard non si tira indietro e vediamo le sue mani instancabili mentre aggiorna il diario di Ferdinand, con la sua bella grafia e gli inseparabili pennarelli blu e rossi; sua è anche la voce off che battibecca con quella di Marianne, perché è innegabile che i film degli “Anni Karina” (quelli fino a “Due, tre cose che so di lei”) non sono altro che la cronaca di un amore in perenne naufragio tra un bacchettone ribelle e borghese e una ragazza straniera, bella e un po’ torbida, spensierata e dionisiaca, amante della musica, nel mentre Ferdinand-Godard è un ultrà dello sbrodolamento verbale, della memoria in forma di diario, della grande letteratura per la quale “solo ogni 50 libri si può ascoltare un disco”, come rinfaccia a Marianne che per tutta risposta alza le spalle e inizia a vagare sulla spiaggia, ripetendo a mo’ di mantra: “Cosa posso fare? Non so che fare…”.
Nessuno come Godard ha abbattuto il velo del privato che diventa di pubblico dominio. Fosse dipeso da lui non avremmo mai conosciuto l’ebbrezza del gossip e di Novella 2000, saremmo stati aggiornati in tempo reale della sua vita sentimentale, dei suoi scazzi, direttamente sullo schermo panoramico in 35mm.
Chiudiamo con due parole sulla più potente arma del cinema di Godard: il montaggio audiovisivo. Probabilmente il più grande montatore della storia del cinema, insieme a Vertov, in “Pierrot le fou” Godard raggiunge l’apoteosi: raccordi sull’asse fino allo sguardo in macchina, mescolanza di pellicola e video, ellissi, falsi raccordi, slittamenti e decadrages, scene ripetute due volte e montate consecutive (la prima fuga di Ferdinand e Marianne).
Il “respiro del film” oscilla tra le extrasistole e l’ischemia, sempre in bilico e sempre a chiedersi: “E ora?”.
Il montaggio sonoro, sempre e rigorosamente su due sole piste, fa da contrappunto a quello che si vede sullo schermo, spesso negandolo, e mette insieme con estrema chiarezza lo straordinario repertorio della colonna audio: le partiture di Duhamel e i brani di musica classica; il cantato alto e semi intonato di Marianne; Ferdinand che imita la voce di Michel Simon e poi le bombe che cadono, gli aerei che volano basso, i juke-box coi toni alti sempre troppo sparati, i walkie-talkie che gracchiano ordini incomprensibili, i festini sonorizzati dalla tappezzeria del muzak… quasi tutto registrato in presa diretta.
Non è ancora ufficiale ma pare proprio che a Godard verrà assegnato nel 2011 l’Oscar alla carriera. Si stanno già levando le sdegnose voci di dissenso. Ai grandi succede spesso. La loro vita, per fortuna, non ne risente.
cast:
Graziella Galvani, Pascal Aubier, Anna Karina, Jean-Paul Belmondo
regia:
Jean-Luc Godard
titolo originale:
Pierrot le Fou
distribuzione:
Société Nouvelle de Cinématographie (SNC)
durata:
110'
produzione:
Georges de Beauregard
sceneggiatura:
Jean-Luc Godard
fotografia:
Raoul Coutard
scenografie:
Pierre Guffroy
montaggio:
Francoise Collin
musiche:
Antoine Duhamel