Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

A vincere la 59a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro è il docufilm "Broken View" del cineasta belga Hannes Verhoustraete. Il crescente successo dei film documentari può essere oggi spiegato, secondo una delle interpretazioni che ne vengono fornite, con lo scadimento della qualità del sistema informativo, che tende a fornire molte notizie, senza tuttavia addivenire sempre a un loro esaustivo approfondimento[1]. La società liquida, inoltre, ibridando il bisogno di notizie con il taglio intrattenitivo proprio di non poche trasmissioni televisive frustra di fatto le attese dello spettatore. "Broken View" è un valido documentario dalla natura proteiforme. Disamina estetica della lanterna magica, vero e proprio antenato della cinepresa moderna, ma soprattutto riflessione del suo impiego in un contesto spazio-temporale ben circostanziato: il Congo belga dei secoli XIX e XX.

Il pregio del film sta soprattutto nel fatto che esso non si limita a mostrarci i vetrini che venivano esibiti alle popolazioni indigene delle colonie, ma si allarga a una serie di considerazioni che partendo dalla storia toccano altri campi, quali l'antropologia, le scienze sociali, la psicologia e la religione. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici ed estetici della lanterna magica, partendo dai suoi padri putativi Athanasius Kircher e Christiaan Huygens, il regista Hannes Verhoustraete sottolinea il grande impulso ottenuto dal dispositivo con l'avvento della fotografia. Inoltre, la circostanza che la combinazione tra le due invenzioni si sia verificata nel pieno della corsa alle colonie fece della lanterna magica uno strumento privilegiato per incidere sull'immaginario collettivo delle popolazioni indigene, che a loro insaputa divenivano una sorta di grande laboratorio nel quale sperimentare l'efficacia di questo vero e proprio antenato dei moderni mezzi di comunicazione di massa.

"Broken View" è perciò una sorta di sistema di vasi comunicanti che abbracciano diverse discipline il cui filo rosso è costituito dalle lastre su vetro (in bianco e nero o cui erano stati aggiunti i colori) riproducenti gli indigeni o le immagini che venivano loro mostrate. Il film è poi concettualmente una mise en abyme dell'idea stessa di immagine: l'inquadratura contiene i vetrini, che mostrano una porzione di mondo, di società, che a sua volta rispecchia il frutto della Weltanschauung circoscritta che le élites dominanti intendevano imporre nelle aree coloniali. Anche lo zoom della macchina da presa sulla carta di Google maps conferma questa volontà di calarsi nel cuore di quel contesto per comprenderlo appieno. La voice over spiega inoltre che le immagini impresse nel Congo vennero poi impiegate nella madrepatria per fare presa sui giovani affinché diventassero seminaristi e potessero così contribuire alla cristianizzazione delle tribù africane.

La religione, o meglio l'uso che ne viene fatto, occupa un ruolo privilegiato in questo documentario: il paradosso per cui le società europee (e non solo quella belga) imbevute dello spirito illuminista e scientista siano ricorse alla superstizione per esportare il mito della civiltà superiore fondata sul cristianesimo è uno degli elementi che emerge con più chiarezza. Per il fatto che la porta di accesso privilegiata per far presa sulle popolazioni locali fosse lìaspetto mistico-religioso, il documentario è accostabile alle pellicole andine di Jorge Sanjinez come "Sangue di condor" (1969). A corredo delle profonde contraddizioni insite nella supposta missione civilizzatrice dei coloni europei, Hannes Verhoustraete si avvale della figura dell'ossimoro quando contrappone le immagini delle viae crucis in Europa e la contrita afflizione dei credenti alle foto che ritraggono le mutilazioni e le violenze fisiche subite dai congolesi. Contrasto semantico e al contempo estetico perché il colore delle immagini si oppone al bianco e nero delle foto. Il potere magico attribuito agli specchi e alle loro virtù presso le popolazioni indigene è oggetto di una ulteriore riflessione di carattere antropologico.

Quando poi il regista si pone la domanda retorica se l'immagine del Belgio propagandata agli indigeni fosse veritiera, ecco che il documentario muta ancora pelle e vira verso riflessioni che pertengono le scienze sociali: lo sfruttamento e l'emarginazione di milioni di contadini e operai tessili delle Fiandre non erano poi così difformi da quelli patiti dagli abitanti dell'Africa nera. Anche la psicologia fa capolino in questo singolare documentario: messi da parte i vetrini della lanterna magica, Hannes Verhoustraete ci mostra con un efficace accostamento di immagini come i processi psicologici di apparente benessere che si mettono in moto in occasione di processioni, parate e sfilate accomunano in un unico orizzonte tanto gli inconsapevoli cittadini europei quanto i malcapitati indigeni del Congo. Per questa ragione e per quanto detto in precedenza si può affermare che "Broken View" è un documentario sul potere.  

[1] D. Vicari, Il cinema, l'immortale,  Einaudi, Torino, 2022.        


25/06/2023

Cast e credits

cast:
Ditmar Bollaert


regia:
Hannes Verhoustraete


titolo originale:
Broken View


durata:
75'


produzione:
Accattone Films


sceneggiatura:
Hannes Verhoustraete


fotografia:
Hannes Verhoustraete


scenografie:
Hannes Verhoustraete


montaggio:
Hannes Verhoustraete


musiche:
Giacinto Scelsi, Gérard Grisey, Joe McPhee, Yvette Guilbert


Trama
La diffusione della lanterna magica nel Congo di Leopoldo II e la nascita della coscienza coloniale.
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