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recensione di Diego Capuano
7.5/10
Per un'artista navigato il bilancio di una densa carriera è un momento cruciale ed inevitabile. Appagante nello sguardo che contempla i giorni passati, incerto nel guardare allo status odierno, dubbioso nel considerare la strada futura. Questo sembra almeno il diario di bordo di David Mantovani che, insignito del premio Nobel per la letteratura, interpreta l'ambito premio come scomodo alloro capace di segnare la fine di un'avventura creativa. L'unanimità di giudizi critici risulta così essere una messa in discussione di un'opera che si voleva problematica se non scomoda. La coronazione sotto l'egidia di parrucconi e titoli nobiliari, che soltanto parzialmente sembrano comprendere il suo discorso di accettazione, coincide con l'inizio di una inattività che per Mantovani si fa adagiamento sul già accaduto e impasse artistica accompagnata da una aridità esistenziale.

Fin dal principio  i registi argentini Gastòn Duprat e Mariano Cohen adottano, con uno sguardo sardonico e qua e là sornione, il punto di vista del celebrato protagonista: il David Mantovani di Oscar Martinez (ottimo e premiato con la Coppa Volpi per il miglior attore alla Mostra del Cinema di Venezia) è il fulcro di ogni sequenza del film. E lo fanno con uno stile di regia apparentemente trasandato: cammin facendo il digitale da una parte sembra favorire una vicinanza spirituale all'immaginaria provincia immortalata, per poi svelarne e denudarne con maggior crudezza una arretratezza morale e culturale inconciliabile con gli spigoli più alti dell'arte occidentale.
Il ritorno del figliol prodigo nella natìa Salas può essere idealmente scomposto in due blocchi separati ma dialoganti: nell'approdo alla cittadina Natale tanti sono gli applausi e le manifestazioni d'affetto per quest'uomo - emozionato ma non troppo - che attraversa gli umori accondiscendenti di una piccola umanità forse più interessata alla celebrazione in sé che ad un'analisi di ciò che l'illustre cittadino rappresenta nel circuito letterario mondiale e, consequenzialmente, per il luogo di nascita. Ciò ci viene mostrato attraverso una serie di incontri con alcuni personaggi  che nella propria attonita normalità generano episodi divertenti sempre in equilibrio tra uno sguardo ingenuo (quello dell'uomo sempliciotto di provincia) e navigato (quello di Mantovani) che facendo da smaliziato contrappunto evita la rischiosa trappola del facile bozzettismo di provincia.

Questa superiorità intellettiva può di conseguenza generare un dubbio nella visione dello spettatore: pur taciuta può considerarsi la ricerca di una nuova ispirazione motivo principe di questo ritorno alla terra madre dopo una assenza  tanto lunga? Difatti la Salas cornice dell'azione è sempre stata un'ambientazione non casuale delle sue opere letterarie. L'accusa di essere un approfittatore che lucra sulla povertà di un luogo altrimenti lontano dai riflettori è l'arma più gridata all'interno dell'abissale distanza che divide Mantovani con questo curioso microcosmo. Strada facendo, il crocevia dell'uomo raggiunge momenti critici a tutti i livelli: affettivi quando tira le fila del discorso sull'amore di gioventù Irene, equivoci quando la sceneggiatura gli rifila nel letto una giovane donna, violenti nella conflittuale parentesi istituzionale (la grottesca gara di pittura).

Superando le barriere della pungente satira, soprattutto nella seconda parte "Il cittadino illustre" giunge ad una dimensione tragica che pone il letterato al centro di una serie di quesiti tutt'altro che semplici da districare: in che misura i personaggi letterari riflettono idee e visione di colui che gli dà vita? I risultati letterari sono frutto di frustrazioni ed inappagamento privato dell'autore?
Suggerendo che in un'opera la verità non esiste e che i fatti sono sostituiti da un'interpretazione dominante, lo scrittore ammette il suo rifiuto alla concretezza del mondo reale, che necessita secondo la visione dell'artista di un buon livello di fantasia per essere raccontato e reinterpretato. Anche nel narrare la realtà, quindi, la ricerca della verità passa attraverso una fase di finzione.
Ad obbedire a questa concezione dell'arte c'è il rimando a Jorge Luis Borges: Daniel Mantovani dimostra il limitato valore del premio Nobel quando ricorda la mancata vittoria del suo celeberrimo collega connazionale. Ma è soprattutto il coup de théâtre finale ad obbedire alla lezione borgesiana: come la cicatrice al volto  del personaggio di "La forma della spada" (racconto della raccolta "Finzioni"), le ferite di Mantovani si traducono in segni dell'illusoria arma della finzione. Beffa stordente dell'artista, maestro burattinaio di un grande teatro della vita.
27/11/2016

Cast e credits

cast:
Oscar Martínez, Dady Brieva, Andrea Frigerio, Belén Chavanne, Nora Navas, Manuel Vicente


regia:
Gastón Duprat, Mariano Cohn


titolo originale:
El ciudadano ilustre


distribuzione:
Movies Inspired


durata:
118'


produzione:
Aleph Media, Televisión Abierta, A Contracorriente Films, Magma Cine


sceneggiatura:
Andrés Duprat


fotografia:
Mariano Cohn, Diana Marzal


scenografie:
Maria Eugenia Sueiro


montaggio:
Jerónimo Carranza


costumi:
Laura Donari


musiche:
Toni M. Mir


Trama
Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura, da cinque anni non scrive niente di nuovo, e sono più gli inviti che rifiuta di quelli che accetta. Quando però arriva via lettera una richiesta da Salas, minuscolo paese argentino, decide di andare. A Salas, Daniel Mantovani è nato e cresciuto, e da là è fuggito, senza mai farvi ritorno per 40 anni, costruendo la sua identità sul rifiuto di quel luogo e della sua mentalità. Una volta in Argentina, lo scrittore è oggetto di un’accoglienza trionfale, ma col passare dei giorni le cose peggiorano...