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10.0/10

«Se si eccettua La Comédie-Française, i miei lavori compongono un unico lungo film sull’America. Ogni soggetto è pensato come capitolo di un lavoro di ricerca sulle istituzioni americane. Trattare le istituzioni ha come conseguenza diretta il presentare differenti meccanismi di funzionamento della società» [1]

 Frederick Wiseman

 

Un «unico lungo film sull’America»: Wiseman realizza dal 1967, anno di “Titicut Follies”, il suo primo lungometraggio, dei film che si pongono come tasselli di un unico grande album che ha per oggetto la società americana. “City Hall” costituisce dunque l’ultimo, in ordine di tempo, elemento di questo manuale, finalizzato a registrare e rendere intellegibile per immagini in movimento la società occidentale, in particolare nella sua declinazione statunitense.
La realtà è per Wiseman uno spazio determinato dalle interazioni individuali strutturate secondo una logica fatta di regole e gerarchia, ovvero uno spazio sociale plasmato dalle istituzioni. Il regista non è interessato a queste ultime in se stesse o al potere inteso in senso concettuale, ma al suo funzionamento all’interno della quotidianità, alla sua concreta incarnazione nella vita di tutti i giorni: i rapporti fra gruppi sociali, l’applicazione concreta della legge in un contesto circoscritto, dunque agli esseri umani filmati mentre si relazionano gli uni agli altri. Il grande argomento che viene trattato lungo gli oltre cinquant’anni della carriera del regista è quindi l’uomo in quanto essere sociale, gli individui che si rapportano fra loro all’interno delle dinamiche istituzionali: si tratta ovviamente di un oggetto invisibile e apparentemente impossibile da rappresentare tramite immagini, ma che Wiseman riesce a rendere visivamente tramite tre espedienti che ricorrono nella sua intera filmografia. In primo luogo, si focalizza su luoghi ed edifici simbolici raffiguranti le istituzioni di volta in volta oggetto dei suoi singoli film: in questo caso il municipio di Boston. “City Hall” è scandito da una molteplicità di sequenze autosufficienti, ognuna delle quali racconta uno dei tanti servizi che vengono svolti sia dentro il comune che al di fuori di esso. Lo spettatore viene quindi portato nelle diverse stanze del municipio per assistere alle varie riunioni tra il sindaco e le varie associazioni cittadine (come i rappresentanti della minoranza latinoamericana e i veterani di guerra), oltre che alle interazioni i funzionari comunali e gli abitanti (ad esempio, la celebrazione di una matrimonio fra due donne), ma viene anche condotto al di fuori dell’edificio municipale per osservare, ad esempio, la routine dei netturbini che presiedono alla pulizia delle strade cittadine, oppure la grande parata in onore della vittoria dei Red Sox. Queste scene sono intervallate da inquadrature in esterni, ritraenti tanto il municipio da varie angolazioni, quanto alcune strade e abitazioni della città.
In secondo luogo, Wiseman concentra l’occhio della macchina da presa sulle persone che abitano e rendono vive le istituzioni di volta in volta filmate, conferendo così un’importanza fondamentale non alla collettività ma al singolo individuo che di volta in volta viene ripreso, in modo da realizzare una ricca e variegata galleria di ritratti umani, una performance visiva di grande complessità. Questa attenzione alla singola individualità delle varie persone filmate si mostra, ad esempio, nella sequenza dedicata al matrimonio fra due donne. Realizzata con un unico piano sequenza e costituita da un triangolo formato dalle due donne, dalla funzionaria comunale e dalla macchina da presa, disposizione che consente al regista di effettuare delle panoramiche a schiaffo tra le due parti, oltre che di zoomare velocemente sui dettagli maggiormente significativi (le mani durante lo scambio degli anelli e i volti delle tre), Wiseman sceglie di dare risalto all’emozione dei partecipanti, tanto delle due donne unite in matrimonio, che emerge dal tremolio delle loro voci e dai sorrisi carichi di sentimento, quanto della funzionaria comunale che trattiene a stento la commozione. La scelta del regista di dare importanza all’umanità degli individui filmati gli permette di realizzare un grande affresco dell’istituzione municipale di Boston rimanendo in biblico fra singolarità e universalità, fra la necessità di rappresentare in senso astratto le funzioni da questa esercitate ma evitando al contempo di realizzare un cinema unicamente didascalico: la singola persona filmata non viene mai trascesa fino a coincidere solamente con il ruolo che rappresenta, non è mai ridotta ad essere riduttivamente un simbolo o un concetto, bensì è l’istituzione a concretizzarsi in vari individui e ad assumere diversi volti. Questa brillante compresenza di universalità e singolarità è ben esemplificata dal ruolo svolto nel lungometraggio del sindaco Marty Walsh: Wiseman filma e include nel montaggio tanto i suoi discorsi maggiormente legati a un ambito istituzionale quanto le digressioni in cui racconta se stesso. Lo spettatore termina il film conoscendo molti dettagli della vita e del passato del sindaco, ad esempio i suoi trascorsi di alcolista, la malattia del padre e il cancro a cui è sopravvissuto da bambino. In tal modo, tramite questa tecnica ritrattistica, è l’istituzione a concretizzarsi in un corpo e in una vita, così da poter essere filmata.
In terzo luogo, Wiseman si focalizza sulle regole incarnate da coloro che le pronunciano. Molte delle sequenze dei suoi film sono infatti caratterizzate dalla compresenza di gruppi sociali contrapposti, in rapporto dialettico fra loro: il dialogo diviene quindi un aspetto fondamentale dei suoi lungometraggi, in quanto la voce delle persone che vengono filmate si fa portatrice di quelle leggi che costituiscono il legame diretto tra il singolo soggetto filmato di volta in volta e l’istituzione. In “City Hall” questo aspetto si manifesta, ad esempio, nella scena dedicata alla visita di un capomastro ad uno stabile in costruzione finalizzato al controllo lo stato dei lavori e in quella che vede alcuni anziani lamentarsi con il sindaco per l’innalzamento dei prezzi dei farmaci, oppure nelle riunioni maggiormente orientate alla burocrazia, come quella in cui i rappresentanti della polizia annunciano le misure di sicurezza riguardante i festeggiamenti per la vittoria dei Red Sox.

“City Hall” condivide con la fimografia precedente di Wiseman tanto il metodo di lavorazione quanto la struttura. Come i precedenti, questo lungometraggio è il risultato di una grandissima quantità di girato (l’autore ha realizzato più di cento ore di riprese per poi creare un film di 275 minuti) e di un lungo periodo di ambientazione del regista negli spazi del municipio di Boston, finalizzato a rendersi invisibile dato che, con il tempo, le persone non fanno più caso alla troupe che viene percepita come parte dell’ambiente stesso. Questo fenomeno si manifesta chiaramente in una delle sequenze più interessanti di “City Hall”, quella dedicata alla registrazione dell’intervento di un reduce di guerra durante la conferenza in omaggio ai veterani. Questo individuo è ripreso in un lungo piano sequenza, intervallato e spezzato alla fine da dei controcampi che ritraggono la platea dei veterani che lo ascolta, mentre si trova di fronte a un podio su cui è innestato un microfono. All’inizio della scena vediamo il reduce che inizia il proprio discorso mentre fissa la macchina da presa con titubanza; successivamente, la confidenza in se stesso aumenta e l’iniziale “sospetto” verso la telecamera sparisce: l’uomo è completamente assorbito dal ricordo e dal racconto, completamente incurante della presenza della troupe, tanto da muoversi ripetutamente oltre il podio tanto da impedire al regista di registrare nitidamente tutte le parole che questi pronuncia.
Durante le riprese dei suoi film, Wiseman non si occupa della macchina da presa ma del microfono, affidando la cinepresa a John Davey, lo stesso operatore con cui collabora da anni, a cui comunica cosa fare durante le riprese. Questa scelta consente all’autore di approcciare l’evento filmato in modo da garantire una forte predominanza all’unità spaziale (ha così di fronte a sé l’intero spazio e non un frammento di reale determinato dall’inquadratura) e di favorire il comparto sonoro rispetto a quello visuale, in particolare il dialogo fra le persone, in modo da conferire alla parola un importanza centrale nella sua concezione documentaristica. L’ottenimento di questa “visione sonora”  garantisce quindi al regista uno sguardo capace di abbracciare l’intero evento di volta in volta filmato, così da permettergli di evitare di favorire (banalmente: di dare ragione a) una delle parti che colloquiano nelle varie sequenze, al fine di testimoniare lo scambio che si verifica di fronte alla macchina da presa e le regole che ad esso presiedono. Ad esempio, la scena in cui il sindaco colloquia con gli anziani e questi si lamentano per il costo dei farmaci non è finalizzata a dare rilevanza ad una delle due parti che costituiscono questo avvenimento, cioè il potere politico incarnato dal sindaco o l’associazione degli anziani, ma a registrare l’evento in se stesso. In questo modo il regista riesce a far proprio uno sguardo realmente neutrale e democratico perché interessato unicamente alla dialettica delle parti sociali in una determinata situazione. Da questo metodo deriva inoltre la grammatica filmica di Wiseman, che consiste in zoom talvolta grossolani, brusche panoramiche a schiaffo, pianisequenza con inquadratura fissa e campi-controcampi. Si tratta di una serie di modalità di ripresa apparentemente sgraziate e confusionali ma, in realtà, perfettamente funzionali all’obiettivo che si prepone, ovvero di riprendere degli avvenimenti mentre accadono spontaneamente, affidando la continuità interna della singola sequenza al comparto sonoro, ovvero (ancora una volta) alla preponderanza dello scambio linguistico e della dialettica interna alle parti sociali.
Per quanto riguarda la struttura, inoltre, il regista configura il reale partendo dalla determinazione di uno spazio circoscritto: questa operazione viene declinata a molteplici scale, patendo dalla delimitazione del soggetto stesso, tanto da dare al titolo stesso dei vari lungometraggi il nome di un edificio (“City Hall” fa riferimento al municipio di Boston, “Ex Libris: The New York Public Library” è dedicato alla biblioteca della Grande Mela) o di un territorio (“Belfast, Maine” tratta di un’intera cittadina, “Manoeuvre” riguarda la zona delle esercitazioni militari dell’esercito americano). Anche le singole sequenze sono ambientate in uno spazio ben preciso, che in questo film è costituito sia dalle stanze di cui è composto il municipio, sia da spazi esterni, come la stazione dei pullman di Boston o le strade di questa città riprese mentre vengono pulite dai netturbini. L’asse spaziale è dunque fondamentale in Wiseman e, particolarmente nelle sequenze in interni, la scena di matrice teatrale costituisce un riferimento basilare fondante l’unità elementare su cui si svilupperà l’evento ripreso. Il risultato è la tendenza del regista a creare dei lungometraggi costituiti dall’aggregazione di avvenimenti singoli (le sequenze autosufficienti di cui si è parlato poco sopra) e coincidente con un mosaico di eventi circoscritti la cui somma confluisce in una molteplicità di visioni parziali. Questa struttura, costituita dall’accumulo di numerosi eventi singoli e presente tanto in “City Hall” quanto nei film precedenti, comporta l’eliminazione di una narrazione vera e propria: le varie scene non costituiscono delle tappe di un percorso narrativo, ma dei quadri, delle finestre aperte nell’istituzione in cui Wiseman si è inserito e che ha filmato. Ogni sequenza è quindi un blocco unitario e a sé stante ma, al contempo, profondamente legato alle altre costituenti l’intero lungometraggio: l’autore realizza dunque una struttura reticolare caratterizzata dalla possibilità di muoversi da un punto all’altro per associazioni libere.

Tuttavia, “City Hall” si caratterizza anche per un duplice aspetto innovativo rispetto alla filmografia del regista. Infatti, diversamente dai documentari precedenti vi è la centralità di una persona, il sindaco, che diviene un personaggio ricorrente in grado di guidare la progressiva esposizione del funzionamento del municipio cittadino e di divenire l’elemento aggregatore, conferente omogeneità e coerenza, dei diversi capitoli di cui il film si compone. Wiseman dunque realizza tanto un lungometraggio avente ad oggetto l’istituzione municipale, ma anche, al contempo, la singola attività del sindaco. Le due cose sembrano coincidere ma in realtà si discostano perché se è vero che il personaggio di Walsh viene filmato mentre esplica le sue funzioni politiche, a ben vedere ci viene progressivamente raccontata la personale narrazione che il sindaco fa di se stesso. Walsh, come specificato poco sopra, colora i suoi interventi istituzionali raccontando il suo passato e proponendo una forte e chiara visione politica finalizzata a legittimare le sue scelte. In questo modo “City Hall” finisce con il fare propria la visione politica del sindaco non mettendola mai in discussione ma, anzi, abbracciandola e proponendola interamente. Wiseman realizza così un documentario che, a differenza dei precedenti, si discosta sensibilmente dal metodo osservazionale di cui è maestro riconosciuto esplorando quello narrativo (la vicenda umana e politica del sindaco) e, al contempo, virando decisamente verso una componente politica dichiarata. Sebbene questo aspetto sia sempre presente in qualsiasi film (la scelta di piazzare la macchina da presa in un certo punto e di inserire nel montaggio una sequenza piuttosto che un’altra è già, di per sé, una scelta e un atto politico) e in ogni lungometraggio di Wiseman (che ha basato la sua intera filmografia all’analisi del funzionamento di istituzioni al fine di renderle intellegibili – dunque di mostrarne il funzionamento – allo spettatore), in “City Hall”, tuttavia, diventa preponderante, come dichiarato dallo stesso regista: «Per me Marty Walsh è l’esatto opposto di Trump, parla di alloggi sociali, di accoglienza degli immigrati, di naturalizzazioni, di aumentare l’impiego per le minoranze» [2].
Si tratta dunque di una componente politica tripartita: l’istanza osservazionale finalizzata al mostrare i funzionamenti del potere e delle istituzioni, da sempre presente in Wiseman; il contenuto di questo film, incentrato sulla politica di Walsh che non viene mai messa in discussione ed è presentata come modello virtuoso; infine, lo spazio oppositivo esterno al film e dichiarato esplicitamente dall’autore, coincidente con l’identificazione del sindaco di Boston come anti-Trump. Se, come specificato poco sopra, il meccanismo attraverso cui l’autore riesce a mostrare il funzionamento delle istituzioni è filmare due gruppi sociali mentre si confrontano verbalmente, tale modalità viene contemporaneamente mantenuta ed estesa dal regista ad un ambito esterno al film: le due ideologie dell’istituzione politica americana, democratica e repubblicana, attenta ai diritti delle minoranze in Walsh e populista in Trump, vengono messe in confronto dialettico, conferendo alla fimografia di Wiseman una nuova componente politica, questa volta tesa ad influire direttamente sull’attualità.

 

[1] Brianzoli Giorgia, Chatrian Carlo, Mosso Luca (a cura di), Paesaggi umani. Il cinema di Frederick Wiseman, Filmmaker, Milano, 2000, p. 29.

[2] City Hall, l’occhio di Frederick Wiseman sulla città di Boston, in “Cameralook”, 14 ottobre 2021.


08/11/2021

Cast e credits

cast:
Marty Walsh


regia:
Frederick Wiseman


distribuzione:
Zipporah Films, Cineteca di Bologna


durata:
275'


produzione:
Puritan Films, PBS, ITVS, WGBH, JustFilms/Ford Foundation, Sundance Institute, Pershing Square Found


fotografia:
John Davey


montaggio:
Frederick Wiseman


Trama

Il funzionamento del municipio di Boston viene seguito e filmato in ogni sua menifestazione: dai netturbini fino al sindaco Marty Walsh, emblema di una politica trasparente e realmente democratica, passando attraverso le mille sfaccettature di questa istituzione, come le parate, le assemblee dei veterani di guerra e le relazioni fra i comuni cittadini e i funzionari comunali.