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recensione di Alessio Cossu
7.5/10

Nel quartiere interreligioso newyorkese di Bay Ridge, Da’ud, un bambino di 11 anni appartenente alla comunità araba, è il figlio dell’imam della moschea locale e, in quanto tale, deve dedicare parte del proprio tempo a istruire i bambini più piccoli nella lettura del Corano, libro di cui porta costantemente una copia nella sua inseparabile borsa. Egli è intelligente, sensibile, di poche parole, non ha pretese, ma è animato dalla curiosità. La sua è un’esistenza piuttosto monotona, scandita dai doveri degli adepti dell’Islam. In famiglia l’autorità del padre sembra indiscutibile e ogni decisione deve passare per il suo assenso. Da’ud, oltre alla madre, ha una sorella più piccola, Rifka, alla quale bada con senso di responsabilità; c’è poi la sorella maggiore, taciturna come Da’ud e brillante studentessa, che vorrebbe uscire da quell’ambiente che giudica oppressivo.

Tutto sembra procedere sui binari dell’ordinaria routine, fin quando una mattina, durante una passeggiata al parco, Rifka si accorge che dei coetanei hanno dimenticato un libro su una panchina. Da’ud decide di riportarlo ai legittimi proprietari, ma non riesce a raggiungerli; ha solo il tempo di vedere dove si sono diretti: in una scuola ebraica. Dato che però questa è chiusa e nessuno gli apre, convinto di fare la cosa migliore, pensa di depositare il libro nella cassetta della posta, ma per la fretta vi lascia la propria copia del Corano, tenendo così nella sua borsa quello che avrebbe dovuto restituire. Solo in un secondo momento scoprirà che quel libro è il Talmud. Giacchè deve assolutamente rientrare in possesso del suo Corano, si reca una seconda volta alla scuola ebraica e qui, dichiarando di chiamarsi David, e non Da’ud, diventa il compagno di classe di alcuni coetanei, ebrei, con cui stringe una solida amicizia. Ora le giornate del protagonista del film sono diverse: ci sono i divertimenti, i passatempi dell’infanzia, c’è come un appagamento affettivo che lo fa sorridere. Quando tuttavia uno dei compagni scopre che nella sua borsa c’è una copia del Corano, che David è riuscito rocambolescamente a recuperare dalla scuola senza dire niente a nessuno, l’amicizia con Yoav, che pareva inossidabile, svanisce di colpo. A quel punto David ridiventa Da’ud e ritorna alla sua vita di sempre, più conscio di quanto sia difficile il dialogo e l’amicizia con chi ha un credo diverso dal proprio. Egli tenta un’ultima riconciliazione con Yoav restituendo il Talmud che nel frattempo custodiva in casa, ma non ottiene neppure un grazie.

"David" è un film che ci mostra il mondo degli adulti e le sue contraddizioni visto con gli occhi dei bambini. Anche le inquadrature, con la cinepresa spesso molto bassa, lo confermano. Il rapporto tra Da’ud, la sua libertà e le convenzioni imposte dagli adulti, ancor prima che dalla religione, sono la sostanza del film. Nel corso di una ricerca scolastica sul tema dell’identità culturale, egli pone una domanda a una zia di Yoav, la quale gli raccomanda di non cedere alla tentazione di disfarsi di tale identità. Alla riprova dei fatti, tuttavia, tale monito suona stonato, considerato che il lasso di tempo durante il quale Da’ud assapora la gioia di nuove amicizie ed esperienze è proprio quello in cui finge di essere ebreo. Anche l’incipit del film evidenzia un approccio, se non polemico quanto meno critico ne confronti degli steccati religiosi. Nella prima inquadratura la cinepresa riprende leggermente dall’alto e di spalle un uomo che recita il Corano, e Da’ud è di fronte. Quest’ultimo, tuttavia, è a fuoco, mentre il primo no. Si tratta di una presa di posizione del duo registico: nell’alternativa tra il bambino, ovvero il futuro della società, e la religione, è preferibile mettere in ombra questa di quel tanto che basta affinchè la vita sia vissuta pienamente. E la trama del film costituisce un banco di prova di tale assunto. L’ammorbidimento del padre di Da’ud anche nei confronti della sorella maggiore, alla quale viene finalmente riconosciuta la libertà di lasciare la famiglia per studiare in una prestigiosa università della California, prefigura quella che ci sarà per il protagonista, se un giorno vorrà fare altrettanto.

In conclusione, c’è da sottolineare l’eccellente prova attoriale di Muatasem Mishel: lo sguardo acuto, ma soprattutto il suo modo di abbassarlo timidamente, stigmatizzando tacitamente gli eccessi degli adulti, ci fanno ancor di più apprezzare il film.


18/09/2020

Cast e credits

cast:
Muatasem Mishal, Binyomin Shtaynberger, Maz Jobrani, Gamze Ceylan, Dina Shihabi, Abdo Almasmary, Diab Ahmar


regia:
Patrick Daly, Joel Fendelman


distribuzione:
Ruth Diskin Films


durata:
80'


produzione:
Julian Schwartz


sceneggiatura:
Joel Fendelman, Patrick Daly


fotografia:
Robbie Renfrow


musiche:
Gil Talmi


Trama
Un bambino musulmano che vive a New York stringe per breve tempo amicizia con un coetaneo ebreo. È più importante l’amicizia o la religione? La libertà o l’identità culturale? A queste domande il film risponde proprio attraverso il punto di vista di un bambino.
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