Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
8.0/10

“Qualunque sia la scelta finale in rapporto allo sviluppo dell’azione,
deve essere quella che con maggiore sicurezza tiene il pubblico in sospeso”
(Alfred Hitchcock intervistato da François Truffaut).

Belgio. Anni 60. Famiglie benestanti. Matrimoni solidi. E’ questo lo scenario sul quale Olivier Masset-Depasse proietta il suo thriller-noir dall’inconfondibile sapore hitchcockiano. Quelle di Alice e Celine sono due famiglie apparentemente serene, la cui armonia verrà irrimediabilmente sconvolta dalla morte accidentale del figlio di quest’ultima. L’abilità del regista belga consiste nel portarci gradualmente in una dimensione hitchcockiana, quella del sospetto, per la quale la trama è intessuta di falsi indizi che garantiscono un finale con una duplice sorpresa.

Innanzitutto perché un titolo siffatto? Per alludere già con esso a Hitchcock. Ma non basta: il sospetto è doppio poiché a nutrirlo nei confronti di Celine non è solo Alice ma anche lo spettatore. Quest’ultima ha infatti assistito impotente alla morte di Maxim, il figlio di Celine, sua amica e vicina di casa, e per tutto il resto del film sospetta che Celine covi propositi di vendetta. Le due donne, regine della casa, più volitive degli scialbi mariti, appaiono virtualmente in grado, in quanto madri, di celare i loro veri sentimenti e soprattutto di essere disposte a tutto pur di far prevalere i rispettivi propositi.
La prima, Celine, dal volto apparentemente più  rotondo e regolare, dalla capigliatura tradizionale, più rassicurante, è in realtà il personaggio hitchcockiano, double face; la seconda, Alice, dal sembiante più affilato e dall’espressione tormentata, riveste invece il ruolo polanskiano, quello del personaggio in cui alligna il tarlo del sospetto che si tinge di paranoia.

Il ruolo di assoluta preminenza familiare è garantito, soprattutto per Alice, dalle accorte inquadrature dal basso: quando è intenta al giardinaggio o entra nella stanza del figlio Theo per il bacio della buonanotte. L’abilità di Masset-Depasse consiste nell’aver dato ad Alice fin dalle prime battute i tratti del personaggio insicuro e apprensivo, in modo che in seguito i suoi sospetti potessero alimentarsi per superfetazione provocata dal carattere. Alice, infatti, segue il figlio con la medesima ingiustificata preoccupazione con cui, dopo l’incidente, osserva circospetta ogni gesto di Celine.

Questa tensione non verbalizzata, fatta di sguardi e accurati raccordi nel montaggio, compare molto efficacemente anche nelle occasioni più dimesse, come ad esempio quando la donna si sofferma pochi secondi sulla tazza di tè (forse avvelenata?) offerta da Celine alla sua consuocera. La tensione narrativa è garantita anche dal sapiente impiego delle musiche, presenti per 80' dei 97’ del film.
Al termine del momento di convivialità, cui si faceva prima riferimento, vi è un esempio della maestria con cui anche le musiche concorrono ad alimentare il sospetto senza tuttavia dare allo spettatore un appiglio definitivo sul quale fondare le proprie certezze: la consuocera, riaccompagnata a casa nell’auto guidata da Alice, ha una crisi cardiaca che, nonostante l’ingestione di una pastiglia che porta sempre con sé, non riesce a tamponare. Ebbene, le musiche presaghe di morte che accompagnano la fine della donna non iniziano in concomitanza con l’assunzione del tè o subito dopo, ma solo negli istanti finali, in modo da lasciare lo spettatore avvolto nel dubbio: soltanto nei primi due casi, infatti, la musica sarebbe stata rivelatrice.

A proposito di falsi indizi, quello più sviante è sicuramente il gesto di Celine che salva (proprio lei!) Theo in bilico sulla finestra. Dal punto di vista della grammatica di regia, la rinuncia a ogni flashback ci proietta in una dimensione temporale da dittatura del presente nella quale nulla è escluso e tutto è possibile, perché tutto è di là da venire: è una scelta perfettamente funzionale al clima di tensione alla base di ogni noir che si rispetti.
La sensazione che la trama possa prendere qualsiasi direzione la si prova anche quando Alice sale le scale dell’appartamento e incontra Damien, il marito di Celine: ora, a differenza di quanto era avvenuto giorni prima, lui non solo non è scostante, ma la stringe in un abbraccio che sembra soffocante e tiene sulla corda anche lo spettatore.
Il regista si prende insomma il gusto di portarci a spasso con false piste fino all’ultimo: una volta liquidati i genitori, e dunque ricredutici su Celine, siamo portati a pensare che la donna abbia fatto altrettanto con il piccolo Theo. Ma non è così: egli è stato solo temporaneamente sedato.

La conclusione scioglie l’intreccio mettendo a nudo anche la molla che ha spinto Celine all’omicidio; il piano era quello di rifarsi su Alice sottraendole (tramite l’adozione) ciò che aveva di più caro: il figlio Theo. Il finale sulla spiaggia, sostanzialmente aperto a ogni possibile prosecuzione, con i due che sembrano giocare spensieratamente, cancella gli interrogativi sul passato, ma ne innesca altri sul futuro strizzando l’occhio verso il Truffaut de "I 400 colpi".


14/03/2020

Cast e credits

cast:
Luan Adam, Jules Lefebvres, Arieh Worthalter, Mehdi Nebbou, Anne Coesens, Veerle Baetens


regia:
Olivier Masset-Depasse


titolo originale:
Duelles


distribuzione:
Teodora Film


durata:
97'


produzione:
Versus Production


sceneggiatura:
Giordano Gederlini, Olivier Masset-Depasse


fotografia:
Hichame Alaouiè


scenografie:
Séverine Closset


montaggio:
Damien Keyeux


costumi:
Justine Struye


musiche:
Frédéric Vercheval


Trama
Nell'opulenta e serena Bruxelles degli anni 60, due donne, vicine di casa vivono appagate dalle rispettive famiglie e dal reciproco rapporto d'amicizia, finché la morte accidentale del figlio di una non innesca una fitta trama di sospetti conclusa da una vertiginosa spirale di violenza.
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