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recensione di Alessio Cossu
7.5/10

Alex Kerner è un bambino di Berlino Est che alla fine degli anni 70 convive con il mito del socialismo costruendo piccoli razzi fatti in casa e inneggiando a Martin Jaehn, il primo astronauta della Germania Orientale a essere lanciato nello spazio. L’idillio familiare svanisce per l’inspiegabile fuga del padre all’Ovest. Conseguentemente, la madre del bambino, nel tentativo di colmare il vuoto affettivo, diventa una fervente attivista del socialismo profondendo tutte le proprie energie nel sostegno alla causa, tanto da ricevere l’ambita medaglia al merito patriottico.
Passano tuttavia gli anni e Alex, ormai ventenne, viene coinvolto nei disordini a margine di una manifestazione di protesta proprio contro il regime, malmenato e infine arrestato. La madre, assistendo all’accaduto, prima ha un infarto, poi entra in coma. Vi rimarrà diversi mesi, durante i quali la storia farà crollare il muro di Berlino cancellando 50 anni di socialismo reale. Alex e la sorella, che intanto convive con un ragazzo dell’Ovest, in vista del ristabilimento della madre, concepiscono il piano di tenerla all’oscuro di tutto ciò che è accaduto per metterla al riparo dal rischio di un altro infarto che potrebbe, a detta dei medici, avere conseguenze irreparabili.
E’ a questo punto che l‘inventiva dello sceneggiatore, Bernd Lichtenberg, entra in gioco: al momento del risveglio, alla signora Kerner sembrerà di vivere ancora nella gloriosa DDR. Al suo letto si alternano così processioni di bambini che recano doni e cimeli di stampo socialista, esibizioni canore di amici inneggianti all’economia collettivista, e perfino cibi apparentemente anticapitalisti, ma tali solo nell’etichetta (posticcia).
Dopo che però la signora Kerner ha visto coi suoi occhi che fuori dall’ambiente domestico accadono cose inspiegabili, come la presenza nelle strade di cittadini e automobili provenienti dall’Ovest, o quella alle pareti di manifesti della Coca Cola, la commedia diventa farsa: complice Alex, alla donna verrà fatto credere che a seguito di importanti rivolgimenti i tedeschi dell’Ovest sono giunti a Berlino Est desiderosi di abbracciare il socialismo. Di seguito, grazie alla figlia, la madre viene a sapere che il marito a Berlino Ovest si è rifatto una famiglia. Il desiderio di rincontrarlo le provoca però il temuto secondo infarto che qualche giorno dopo la condurrà alla morte. Ma prima che ciò accada Alex prepara un’ultima messinscena: registrare, grazie all’amico e collega Denis e a un tassista straordinariamente somigliante all’astronauta Jehn, una trasmissione televisiva nella quale si annuncia l’unificazione dell’intera Germania sotto il vessillo del socialismo.

Oltre a immergerci nelle vicende legate alla Berlino divisa dal muro, il film contiene in filigrana il tema emblematico della riproducibilità del reale, soprattutto di quella ottenuta per mezzo della televisione, vero strumento di persuasione. Non a caso infatti la televisione compare in tutti i passaggi chiave del film; anche quando sembra superflua, la sua presenza suggerisce la potenza catalizzatrice della vita domestica, tanto all’Est (nell’appartamento di Alex) quanto all’Ovest (in quello nuovo del padre). Vi è inoltre nel film un costante citazionismo (di Kubrick) per i frequenti riferimenti alla cosmonautica e per lo stacco di montaggio realizzato da Denis che vorrebbe emulare quello di “2001: Odissea nello spazio”. Diverse sono inoltre le citazioni da “Arancia meccanica”: il nome del protagonista è identico, la sequenza dell’allestimento della stanza da letto è accelerata e accompagnata dalla medesima musica, mentre un’inquadratura di Alex dal basso mentre guida la moto è fin troppo smaccatamente kubrickiana.

Dal film Alex emerge come l’eroe indiscusso. E’ giovane, ma ha la sicurezza di un adulto. Anche le inquadrature gli rendono giustizia esprimendo la volitività e l’ottimismo del suo carattere. La prima immagine di Alex ormai ventenne lo mostra sulla destra dell’inquadratura, dal basso, seduto sulla panchina mentre sorseggia annoiato una bibita; dietro di lui più alta e soprattutto al centro campeggia la scritta commemorativa dei 5 anni della DDR. Alex è un giovane che in quel frangente non si sente ancora padrone della propria vita e morde il freno dell’asfissiante propaganda che nulla di nuovo ha da proporgli. In occasione della sua prima sortita all’Ovest lo vediamo invece in piedi al centro dell’inquadratura, mentre la piccola scritta pubblicitaria di una rosticceria compare sulla destra: è il segno della fiducia nel futuro da parte del giovane, di come si siano capovolti i rapporti tra l’uomo e lo spazio, tra l’individuo e la società. Uno degli elementi chiave della messa in scena del film è l’aspetto di Berlino.

Al momento della realizzazione del film la città era già molto diversa rispetto a quella del 1989-90 e per riportarla a quegli anni il regista ha deciso di ricorrere alla computer grafica invecchiando digitalmente le facciate di molti edifici. Non poche scene del film sono riprese televisive ottenute con macchine da presa della DDR e successivamente adattate e manipolate nel colore e nel contrasto. La loro presenza, tuttavia, non stride con il resto del film girato in 35 mm. Il pezzo forte dell’intervento digitale è quello legato alla statua di Lenin trasportata da un elicottero che la madre di Alex, stupefatta, vede nella sua passeggiata dopo l’uscita al coma. Si tratta di una scena che ha del religioso e conosce il suo apice nel momento in cui lo sguardo della donna incrocia il tragitto della statua che sembra volgere la mano verso di lei, quasi a benedirla. E’ un passaggio che è costato quattro mesi di lavorazione!

"Goodbye Lenin", già nel titolo fin troppo chiaro circa gli intendimenti dell’autore, è un film tutt’altro che scontato e che deve il notevole successo di pubblico, tanto in Germania quanto all’estero, a una serie di fattori.
Il primo, il giusto equilibrio tra dramma e commedia ottenuto modulando la giusta alternanza emozionale richiesta al pubblico. A tal proposito, è il tessuto musicale, curato dal compositore francese Yann Tiersen, ad aggiungere coesione alle due anime del film assicurando suspance, attesa, ironia e quella dose di malinconia tenuta sempre a debita distanza dal melenso.
Il secondo è la presenza sul set tanto di bambini, quanto di giovani, di adulti e anziani che danno al pubblico la possibilità di identificarsi nelle vicende narrate, e soprattutto nelle persone, senza alcuna barriera o limitazione. Gli indici di incasso evidenziano infatti che, soprattutto in patria, ad assistere al film è accorso un pubblico ben più ampio della fascia di età giovanile che solitamente frequenta i cinema.
A dare solidità alla trama hanno contribuito, inoltre, le numerose testimonianze della popolazione di Berlino che ha vissuto il momento del crollo del muro, e i giornali dell’epoca. Innegabile infine il debito nei confronti delle opere di Christa Wolf, come “Il cielo diviso”, soprattutto per la ricostruzione dell’indispensabile background emozionale che fa da contorno al film.


26/05/2020

Cast e credits

cast:
Burghart Klaußner, Alexander Beyer, Florian Lukas, Maria Simon, Chulpan Khamatova, Katrin Saß, Daniel Brühl


regia:
Wolfgang Becker


titolo originale:
Goodbye, Lenin!


durata:
120'


produzione:
S. Arndt


sceneggiatura:
Bernd Lichtenberg


fotografia:
Martin Kukula


scenografie:
Lothar Holler


montaggio:
Peter R. Adam


costumi:
Aenne Plaumann


musiche:
Yann Tiersen


Trama
La signora Kerner, in apparenza fervente sostenitrice del regime socialista, ha la sfortuna di entrare in coma alla vigilia della caduta del muro di Berlino. Per questo il figlio Alex convince parenti e amici che al momento del suo risveglio bisognera fingere che nulla sia cambiato. Ma non tutto va secondo i piani del giovane e premuroso figlio.
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