Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
6.5/10

Alla domanda tutt’altro che stucchevole circa l’opportunità di realizzare l’ennesimo film sull’olocausto si è tentati di storcere il naso, soprattutto dopo il lavoro di László Nemes ("Il figlio di Saul"), che col suo eccentrico framing ha cinematograficamente estrinsecato l’ineffabilità dell’inferno concentrazionario nazista, tanto sul piano umano quanto su quello più prettamente iconico e artistico. Vadim Perelman, regista ucraino ormai naturalizzato canadese si è accostato al genere contaminando la trama con di colpi di scena ben orchestrati, ma soprattutto stemperando l’atmosfera del dramma con venature più proprie della comicità di situazione. Il soggetto è costituito da "Invenzione di una lingua", il cui autore, Wolfgang Kohlhaase, è noto per aver collaborato con Konrad Wolf in "Solo Sunny".

La trama è lineare e sembra rispondere a una narrazione forte. Un ebreo belga, dopo un rastrellamento in territorio francese finisce davanti a un plotone d’esecuzione ai margini di un bosco. Quando però la sua sorte sembra segnata chiede di essere risparmiato dichiarando di non essere ebreo bensì persiano e, a riprova di ciò estrae dalla giacca un libro scritto in Farsi. Il caso vuole che l’ufficiale tedesco responsabile del vicino campo di concentramento sia alla ricerca di chiunque possa insegnargli la lingua persiana giacchè ha già fatto i suoi piani per il dopoguerra: aprire un ristorante di cucina tedesca a Teheran. Gilles, il finto persiano, è impersonato da Nahuel Perez Biscayart. Esile, di poche parole, ma mellifluo e sfrontato all’occorrenza, sul filo del rasoio, in un luogo dove "si muore per un sì o per un no" gioca una pericolosa partita, come il topo con il gatto, con il capitano Koch (Lars Eidinger). Questi, fisicamente imponente, intimidatorio nei modi e nell’eloquio sembra avere tutto dalla sua: impone al prigioniero, che ora si fa chiamare Reza, di insegnargli quotidianamente un numero crescente di vocaboli persiani. Quanto più passa il tempo, tanto più facile diventa cadere in errore. Gilles riesce tuttavia a recitare a dovere la propria parte, fino in fondo. Ben poco viene concesso dal regista al resto del campo. Per non dire di ciò che accade all’esterno: compare solo un soldato francese. Mentre il campo sta per essere raggiunto dall'esercito americano, di esso si percepiscono soltanto le cannonate in lontananza. "Dunkirk", evidentemente, ha fatto scuola. Koch fugge deciso a raggiungere Teheran, ma all’aeroporto di destinazione si renderà conto che le parole apprese grazie a Reza non appartengono al Farsi, bensì a una lingua inventata. A quel punto il suo arresto è inevitabile.

"Lezioni di Persiano", lungi dall'essere uno dei tanti film sulla Shoah, è un'opera che, scevra del didascalismo, esplora diversi aspetti delle relazioni umane. Anche il regime narrativo forte sfuma in quello debole a mano a mano che la collaborazione tra i due protagonisti si fa più stretta. Nel corso delle lezioni di Persiano emerge il rapporto tra identità e linguaggio: i vocaboli che Koch apprende diventano spia del vissuto del nazista che, inevitabilmente, si rivela al prigioniero, ad esempio quando si apre un breve scambio di battute sulla capacità di amare. Koch porta i gradi da ufficiale, ma paradossalmente sembra più a suo agio quando parla con Gilles, mentre con gli altri ufficiali, il comandante del campo in primis, è freddo e distaccato, quando non diffidente. Neanche la scena del banchetto cancella questa impressione: nel momento in cui inveisce con Gilles credendo che costui gli abbia mentito,  Koch agisce sospinto dall’isterica volontà di riappropriarsi del rango di ufficiale davanti ai propri colleghi. Non a caso la sua reazione scomposta è accolta in modo beffardo dagli altri ufficiali. Nel frangente l’interpretazione di Lars Eidinger tracima nell'overacting. Così, se Gilles è un personaggio che nel tentativo di salvarsi la vita si è autoimposto un’identità fittizia, il personaggio più profondamente dicotomico è proprio l’ufficiale nazista, che paurosamente oscilla tra la riconoscente amicizia e la sospettosa vendicatività. Perelman, e qui sta la novità del film rispetto ad altri del medesimo genere, mette in scena un attante dai tratti comportamentali così contraddittori per sottolineare con ancor maggiore evidenza la responsabilità morale dei crimini compiuti nei Lager. Anche le scelte in fatto di fotografia confermano la duplice natura di Koch: mentre un’illuminazione scarsa ma uniforme domina nelle baracche, le sequenze girate nell’ufficio del capitano mostrano quest’ultimo con una luce di taglio, vuoi quella naturale (con l’ufficiale prevalentemente di lato rispetto alla finestra), vuoi quella artificiale della lampada. Il risultato è che, a differenza di quello di Gilles, il volto dell’ufficiale è ben illuminato solo per metà. Lezioni di Persiano è un film che celebrando la potenza della parola e la sua capacità di suggestione indaga nei meandri della personalità degli ufficiali nazisti estrapolandone tratti di umanità che anziché obliterare enfatizzano per antitesi la loro crudeltà. Essi da un lato provano amicizia, amore, invidia, ambizione, dall’altro la più cinica indifferenza per la sorte dei loro prigionieri.
L'assenza di flashback tiene lo spettatore avvinto alla narrazione in diretta favorendo la sensazione di ulteriori colpi di scena, come ad esempio il fallito tentativo, ordito dai detrattori di Koch, di far fuggire il prigioniero. La scenografia è abbastanza curata, anche per il contributo di uno storico alla ricostruzione del campo.

La chiave di lettura del film è l'ironia: Koch, nonostante la sua tronfia sicumera, diventa preda della sua stessa ossessione per la cucina poiché non si avvede dell’inganno orditogli da Gilles. Ossessione che porta già nel cognome (che non a caso significa cuoco). Perelman inoltre è abile nel rimodulare alcuni stilemi propri del genere: l’immancabile inquadratura che all’inizio della pellicola ritrae la scritta sulla cancellata del Lager ("A ciascuno il suo"), con l’inversione finale del racconto si ritorce ironicamente contro Koch.


25/05/2021

Cast e credits

cast:
Luisa-Céline Gaffron, Leonie Benesch, Andreas Hofer, Alexander Beyer, David Schütter, Jonas Nay, Lars Eidinger, Nahuel Pérez Biscayart


regia:
Vadim Perelman


titolo originale:
Persian Lessons


distribuzione:
Academy Two


durata:
127'


produzione:
LM Media, ONE TWO Films, Hype Film, Belarus Film


sceneggiatura:
Ilja Zofin


fotografia:
Vadislav Opelyants


scenografie:
Dmitri Tatarnikov


montaggio:
Vessela Martschewski


costumi:
Alexey Kamishov


musiche:
Evgeni Galperine


Trama

Un ebreo belga sopravvive alla fucilazione prima e alla prigionia in un Lager spacciandosi per Persiano. Padroneggiando una rudimentale ma efficace mnemotecnica, nonostante la diffidenza dei più, riesce a far passare per la lingua Farsi un idioma completamente inventato e a insegnarlo per giunta al capitano responsabile delle cucine.