Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
7.5/10

Midnight Swan


"The pain begins to travel, dancing as it goes
And I won't get better
But someday I'll be free
'Cause I am not this body
That imprisons me"

The Mountain Goats, "Isaiah 45:23"

Vincitore di numerosi premi in patria, riguardanti in primo luogo il meritevole cast, e ora anche del Gelso d’oro, "Midnight Swan" corre il rischio di venire considerato un film "da premi" fin dalla sinossi, presupponente un drammone strappalacrime con una storia di riscatto non priva di denuncia sociale, magari inframezzata da parentesi comiche per evitare di perdere il pubblico dallo stomaco meno forte o non interessato ai patimenti interni alla comunità trans giapponese. Il sottoscritto non intende negare che il film di Uchida Eiji sia così, ma la complessità dei suoi personaggi, la dedizione nel rappresentare i travagli e la dignità della minoranza succitata e l’ottimo lavoro degli, e sugli, attori e attrici fa capire che c’è molto di più nei meandri di questo dance drama nipponico, la cui ambizione non è certo solo quella di vincere premi. Uchida ha già dedicato alcune delle sue ultime pellicole a rappresentare scampoli emarginati e spesso non raccontati della società giapponese contemporanea, ma la scelta del tema gli permette stavolta di alzare il tiro e proporre un film che non si limita a essere solamente un altro capitolo della sua pur apprezzabile esplorazione degli outcast del Paese del Sol levante, come discusso nella recente puntata del podcast Radiodrome.

L'emarginazione delle protagoniste di "Midnight Swan", soprattutto della transgender Nagisa, è difatti pressoché totale: sociale, perché l'essere transgender non è accettato nel conservatore paese asiatico se non all'interno di ben predefiniti ruoli sociali; economica, perché ambedue le protagoniste, e la maggior parte dei personaggi che girano loro attorno, sono private di una vera prospettiva di emancipazione futura a causa dell'endemica povertà ed emarginazione sociale; identitaria, dal momento che Nagisa non è accettata come la donna che vuole e ritiene di essere e viene quindi frequentemente socializzata come uomo, mentre la nipote Ichika è divisa fra due famiglie e due "mondi" culturali molto diversi e ognuno con le proprie attrattive e debolezze; fisica e spaziale, in quanto così come le protagoniste sono eiettate ai margini della città, così vengono spesso (soprattutto la socially awkward Ichika, meno la teatrale zia) messe ai margini dell'inquadratura, all'interno di spazi vuoti che sembrano opprimere i fragili corpi che vi transitano o dentro locali zeppi di oggetti e che pertanto trasformano spesso i personaggi in dei pezzi da arredamento fra i tanti. Per queste ragioni, e non solamente perché il film parla di danza classica e transgender, il corpo delle protagoniste, e la fisicità in generale, è sempre al centro di "Midnight Swan", divenendone un nucleo accentratore per tutte le altre tematiche, così come lo è per la macchina da presa fin dai primi minuti.

Il corpo viene trattato in primis come oggetto di manipolazione e al contempo strumento con cui conformarsi ai vari ruoli (sociali) cui una vita in perenne movimento, come è quella delle due protagoniste, mette continuamente davanti, come i vari ruoli che capitano a un attore cinematografico. La manipolazione non va pertanto intesa soltanto come un'azione che si impone dall'esterno e socializza un'identità e un corpo in una certa maniera ma anche come un processo individuale di adattamento di sé a un diverso contesto e/o a una precisa immagine di sé, di conseguenza come una sorta di performance attoriale. Ciò si nota in maniera piuttosto esplicita nella femminilità performativa esibita da Nagisa e dalle sue amiche transgender, tesa alla, spesso disperata, interpretazione come donne da parte del resto della società, al passare per donne incarnando tutti i tratti (stereo)tipici della femminilità. Quest'ultima finisce però per assumere anche una connotazione ben diversa per la protagonista, in quanto il procedere della narrazione fa sorgere in Nagisa un sentimento materno nei confronti della nipote Ichika. Ciò porta a un tentativo ancor più disperato di affermarsi come donna tramite un intervento di riassegnazione di genere, il quale però coincide col rapido deteriorarsi del rapporto fra i due personaggi principali e il loro allontanamento, condannando la femminilità stessa di Nagisa a essere nuovamente messa in dubbio, con conseguenze drammatiche.

Non si può dimenticare di citare il percorso di femminilità e maternità di un personaggio apparentemente secondario, ovvero la madre di Ichika, ritenuta costantemente inadeguata nel suo ruolo e per questo disperatamente disposta a ribadire il suo essere donna e madre, ancor più quando si sente minacciata in questa funzione da quella che lei ritiene essere un uomo. Solamente dopo aver riconquistato la fiducia della figlia non si sente più minacciata dall'influenza di Nagisa sulla ragazza, considerando quindi di corrispondere adeguatamente al proprio ruolo sociale e pertanto di non essere più insidiabile da una presenza marginale, liminale, come l'altra donna. Per quanto il percorso di Nagisa sia il più intenso e probabilmente esplicito all'interno della pellicola, grazie in primis alla sentita interpretazione di Kusanagi Tsuyoshi, è quello di Ichika a rappresentare al meglio la complessità dei temi in gioco, facendosi immagine della plasticità dei corpi e delle identità, in una continua e non lineare trasformazione di sé. Per fare questo la ragazza apparentemente si annulla a livello identitario, rispecchiando così tra l'altro l'interpretazione a dir poco minimale della giovane attrice e ballerina Hattori Misaki e divenendo così una sorta di specchio in cui le altre protagoniste (la madre, Nagisa, l'amica Rin) possono riflettersi e vedere ciò che manca loro e cui anelano disperatamente: una femminilità giovane e non questionabile, una traiettoria precisa nel proprio avvenire, un talento e delle possibilità ormai non eguagliabili.

Un'immagine ancora migliore dello specchio può essere quella della bambola o della figura di creta da manipolare a piacere, insistendo così sulla fisicità enormemente plastica di Hattori, similmente a quanto la sua interpretazione si fa sfaccettata. Più volte nella pellicola Rin tasta Ichika quasi a saggiarne la flessibilità, mentre la ragazza progressivamente si adatta a ogni contesto in cui viene inserita, pur mantenendo un'innegabile individualità (che in certi traumatici momenti deflagra in esplosioni di rabbia). Venendo manipolata come una marionetta, impara a manipolare se stessa con eguale se non superiore efficacia, così da divenire la talentuosissima ballerina e donna di mondo che nel finale sembra destinata a essere e risultare così l’unica vera vincitrice nel panorama umano desolante di "Midnight Swan". Il peso delle aspettative sociali e del perseguimento delle proprie ambizioni è troppo gravoso per le altre protagoniste, le quali non possono che letteralmente uscire tutte di scena prima della conclusione, in modalità più o meno drammatiche. Questa trasformazione in cigno, inteso in questa occasione come simbolo di eleganza ma anche di femminilità, tramite l'arte del balletto può sembrare un percorso affascinante ma depotenziato dal suo trovarsi all'interno di un film invero modesto a livello stilistico. La semplicità formale del film di Uchida risulta però, alla luce delle centrali tematiche identitarie, un ulteriore strumento per far brillare le componenti più basiche dell’opera cinematografica narrativa, la recitazione e la sceneggiatura. Non sono solo i numerosi premi vinti da Hattori e Kusanagi a sancire quanto gli interpreti siano centrali in "Midnight Swan", ma soprattutto la centralità del tema delle capacità di trasformazione, e azione, tramite performance che è in fin dei conti una riflessione sull’attorialità.

Un’eccezione al minimalismo stilistico è il ricorso al montaggio parallelo, il quale, non destinato a una risoluzione comune come il montaggio alternato, permette in due occasioni di contrapporre la parabola di Ichika a quelle delle altre, più sfortunate, coprotagoniste, mettendo in opposizione le due performance più significative del suo percorso di affermazione con una danza senza senso e un “folle volo” nel vuoto o col tragico sprofondare nei ricordi infelici del passato, senza neanche il sapore agrodolce della malinconia a rendere più sopportabile un presente disperato. Superando la fin troppo facile metafora dell’immersione pre-finale di Ichika nelle acque dell’oceano, laddove Nagisa non riesce neanche ad avvicinarvisi, battesimo che è anche rigenerante ritorno nel liquido amniotico, si arriva tramite lo stacco più netto dell’intera pellicola alla conclusione del percorso di trasformazione della giovane ballerina (vista dalle spalle nella prima inquadratura a seguire la si potrebbe quasi confondere con la zia). Similmente “Midnight Swan” è passato attraverso vari generi, compiendo una riuscita parabola, come quella della sua giovane protagonista, che riflette sul carattere performativo della socialità tramite una riflessione sull’attorialità, in modo da dare pregnanza non pretestuosa ai propri temi identitari, rivolgendo la sua attenzione in primis alla socializzazione e poi alla flessibilità e potenza (ma anche fragilità) dei corpi.

Dedicato a L.


03/07/2021

Cast e credits

cast:
Tsuyoshi Kusanagi, Misaki Hattori, Asami Mizukawa, Rinka Ueno, Sei Matobu


regia:
Eiji Uchida


titolo originale:
Middonaito Suwan


durata:
124'


produzione:
Culen


sceneggiatura:
Eiji Uchida


fotografia:
Maki Ito


montaggio:
Yuichi Iwakiri


musiche:
Keiichiro Shibuya


Trama
Data l'incapacità della madre Saori nel mantenerla, la giovane Ichika viene inviata temporaneamente da Nagisa, transgender all'insaputa della famiglia che lavora come ballerina in un locale notturno. La convivenza si rivela difficile ma la reciproca conoscenza delle due e la scoperta della passione per la danza di Ichika finiscono per farle legare molto. Le difficoltà non sono però finite, ovviamente.