Ondacinema

recensione di Davide Spinelli
7.5/10

Con "Misericordia", Emma Dante trasforma le topografie strette, domestiche di "Via Castellana Bandiera" (2013) e de "Le sorelle Macaluso" (2020) in geografia. Da un lato la casa resta/diventa l’epicentro emotivo del racconto, la violenza mischia corpi, balli, oggetti, il bidet accanto ai fornelli, lo spazio ancora una volta compresso, compromesso; dall’altro un paesaggio rumoroso, personificato, per la prima volta occupa il profilmico in Dante. La storia, ambientata tra le baracche fatiscenti alle pendici del promontorio trapanese, è quella di un gruppo di prostitute, Betta (Simona Malato) Nuccia (Tiziana Cuticchio) e Anna (Milena Catalano), che si prendono cura di Arturo (Simone Zambelli), epilettico, figlio di Lucia, un’altra come loro, uccisa dal marito Polifemo (Fabrizio Ferracane) nel prologo del film, mitologico.

La città dei vivi

In un passaggio de "La città dei vivi" (Einaudi, 2020) - il romanzo di Nicola Lagioia che racconta dell’omicidio Varani - lo scrittore siciliano scrive di quanto sia difficile credere nel potenziale magico della parola in un mondo, il nostro, materialista, in cui, cioè, si suppone la realtà sia sempre uguale a sé stessa. "Misericordia" e la narrazione di Lagioia hanno in comune l’ineluttabilità, della violenza certo, ma soprattutto della conseguenza - il materialismo e la sua ossessione per ciò che è causa e ciò che è effetto. Nel film, l’esempio più evidente è quello della montagna, protagonista assoluta dei campi lunghi, in cui la rilettura della più famosa delle operette morali di Leopardi ("Dialogo della natura e di un islandese") prende forma: la natura, come la casa, è matrigna, ma anche agente controfattuale, salvatrice, se distruggesse la baraccopoli con la sua forza. Né Betta, né Nuccia o Anna ne hanno paura, "tanto non succede" dicono, l’ineluttabilità appunto.

A differenza de "Le sorelle Macaluso", in "Misericordia" Dante ha convintamente esploso l’eterotopia del teatro: se nel primo ha teatralizzato la messa in scena cinematografia, nel secondo il rapporto è invertito. I corpi opprimono la camera, la semantizzano – nelle due, bellissime, sequenze a plongée: il corpo nudo, su un lato, di Nuccia (in fermo immagine), e quello di Arturo, steso sulla sabbia, che mima i movimenti di una farfalla -; lo sguardo in camera, che in teatro si perde nel buio della sala, senza direzione, al cinema è rischioso, rompe la finzione, è lo strappo geometrico nel cielo di carta (pirandelliano). Dante lo utilizza due volte: in uno dei passaggi finali, le tre donne, accudendo per l’ultima mattina Arturo, lo guardano, e quindi guardano noi (nell'immagine sotto); nella carrellata circolare che intesse gli sguardi degli uomini, in sala d’attesa si direbbe, prima di copulare, a turno, con Nuccia. Non solo, lo spettatore è costretto nella grammatica teatrale di Dante (ciò che a Teatro non può accadere); ne è un esempio l’ossessione per i piedi di Arturo (degli uomini), per la sua danza isterica, per le mani delle donne, frenetiche, il simbolo di una manualità esasperata, però salvifica. 


In effetti, il borgo marinaro di "Misericordia" assume i caratteri dell’eterotopia, i "non luoghi del contemporaneo" scriveva Foucault ("Eterotopia", Mimesis, 2010), in particolare, come in Borges, quando il discorso è bloccato (quello di Arturo), il linguaggio è sporadico, aggressivo. Se ne "Le sorelle Macaluso" la narratologia era al passato, in "Misericordia" è al presente; il tema delle ripetizioni pare onnisciente: i giri attorno al tavolo della cucina di Arturo appena sveglio, le sue infinite piroette, e Betta che conta, oltre i cento giri, attorno a un centro, o sul posto, quello della storia, immobile. La baraccopoli comunica con l’esterno tramite una macchina che fa la spola, quella su cui sono caricate le donne e portate chissà dove per prostituirsi; la casa guarda oltre sé stessa dalla porta fatiscente e da una curiosa apertura sopra il lavabo, una sorta di porticina orizzontale; tra la sala da pranzo e la camera in cui Anna e Betta si prostituiscono c’è soltanto una tenda. L’eterotopia di "misericordia" è realizzata proprio nell’ambivalenza tra pieno e vuoto, suggellata dalle due sequenze subacquee, in cui l’idea di spazio newtoniano a cui siamo abituati è sovvertita: tutto è pieno, tutto è occupato dal liquido amniotico per eccellenza, l’acqua, che sospende il suono, il dolore ("Vivi senza dolore" è una della battute centrali del film).

Morfologia della fiaba

Se "Misericordia" è fiaba lo è nei ruoli, fissati atemporalmente, quello delle donne, le prostitute, l’uomo, il proprietario, il possidente, il mostro (i.e. Polifemo) e poi l’elemento magico, ancora una volta personificato. Ma la morfologia della fiaba in "Misericordia" è incompiuta, il magico non determina un ribaltamento dell’equilibrio, il personaggio interpretato dal ballerino Simone Zambelli da "aiutante magico", usando la terminologia di Prop, diventa "il mandante", colui che impersona una mancanza. Ne "Le sorelle Macaluso", il personaggio della sorella prematuramente scomparsa è statico, presentato indirettamente; in "Misericordia" Arturo è un protagonista dinamico, introdotto direttamente, il metronomo di una narrazione che rispetto al lavoro precedente di Dante è lineare, consistente. L’afflato fiabesco è iconicamente riassunto nel vestito da principessa che indossa Anna (nell’immagine di copertina), "questo si vuole scopare anche il vestito" le dice Polifemo, arrapato dal possesso, in un campo lungo che si apre specularmente alla montagna e che sembra fagocitare la donna.

Arturo è colui che crede alle storie di guerra, di fantasmi, è il prodotto della violenza trasformato in figlio da Betta, Nuccia e Anna. Con quest’ultima, Arturo balla in una rete di gomitoli di lana colorati, "fanno le pose" (un leitmotiv della messa in scena di Dante; nell'immagine sotto) nella sequenza più immersiva del film, un gioco di vuoti e pieni, ancora; sempre con Anna, li vediamo di spalle, Arturo capisce come usare le mani, e non la pietra, per masturbarsi. Non si tratta di un percorso di formazione, ma di gesti che proiettano ciò che Arturo potrà sperare di avere e le tre donne no, perché donne – a fare da cornice, dopo "Meravigliosa creatura" in "Le sorelle Macaluso", "Avrai" di Claudio Baglioni, che frantuma "extradiegeticamente" ciò che restava della fiaba.


In "Misericordia" la violenza è un’attiva motoria, endogena, corrosiva, permeata nei modi di fare, nell’accettazione, che caratterizza ciò che Betta, Nuccia e Anna sono: non si tratta (solo) di violenza sulle donne, ma nelle donne, cosmica, lo sappiamo, quotidiana. Emma Dante, assieme a Giorgio Vasta ed Elena Stanchenelli, ha adattato per il cinema un racconto (il suo) anomalo, tra fiaba e mito, una storia cioè che riguarda le origini, della violenza (nel prologo), che parte dal disincanto e restituisce l’incanto di Arturo, finalmente in grado di bere il latte senza sporcarsi a colazione. 


20/11/2023

Cast e credits

cast:
Milena Catalano, Tiziana Cuticchio, Simona Malato, Simone Zambelli, Fabrizio Ferracane


regia:
Emma Dante


distribuzione:
Teodora Film


durata:
95'


produzione:
Rosamont


sceneggiatura:
Emma Dante, Giorgio Vasta, Elena Stancanelli


fotografia:
Clarissa Cappellani


scenografie:
Emita Frigato


montaggio:
Benni Atria


costumi:
Vanessa Sannino


musiche:
Gianluca Porcu


Trama
Tra le baracche fatiscenti alle pendici della montagna trapanese, un gruppo di prostitute, Betta, Nuccia e Anna, si prendono cura di Arturo, epilettico, figlio di Lucia, un’altra come loro, uccisa dal marito.