Ondacinema

recensione di Eugenio Radin
6.0/10
"Molly's Game" comincia con una caduta, con una sconfitta, con un trauma fisico e con la fine di una promettente carriera sportiva; prosegue con una ripida risalita, con un exploit economico e con un'ascesa sociale e termina poi con un'altra caduta, ma resa stavolta più dolce da un ricongiungersi al proprio passato.
Molly Bloom, personaggio realmente esistente e scrittrice dell'autobiografia da cui il film è tratto, è una donna scaltra, intelligente e determinata a scalare le gerarchie sociali, non tanto per una questione di soldi, come le svelerà il padre-psicologo verso la fine della pellicola, ma piuttosto per poter esercitare il proprio potere sugli uomini, per avere la capacità di vederli cadere, fallire precipitosamente, per mezzo di un all-in mal calcolato, di una mano troppo rischiosa, di una smorfia mal interpretata. Molly non gioca a poker, non concede il suo corpo ai desideri di giocatori inebriati dalle carte e dall'alcol, non si immischia negli affari dei clienti, non indaga sul loro passato: si limita a tenere i fili, a gestire da distante la partita, tanto da non accorgersi del fatto che alcuni di quei suoi affezionati clienti sono esponenti di rilievo della mafia internazionale. dato che invece non sfuggirà per molto agli agenti dell'Fbi.
È dunque prima di tutto un film femminista, "Molly's Game": un film dominato dalle donne, in cui il corpo della donna (oggetto principale del desiderio misogino) è sostituito dalla sua capacità calcolatrice, dall'intelletto femminile che tenta l'uomo e lo lascia cadere nella trappola. E l'uomo al contrario è sempre canaglia, ubriacone, strafottente, traditore, criminale. A salvarsi rimane soltanto l'avvocato afroamericano Jaffey (Idris Elba), che decide di aiutare Molly, ma solo perché la figlia ne ha letto le vicende nei giornali e la considera una brava persona.

Soprattutto, però, come c'era da aspettarsi, "Molly's Game" è un film fatto di parole, di dialoghi fittissimi, di immagini sentite prima che viste, di discorsi, di terminologie e di scrittura - e questo, si badi, non costituisce necessariamente un pregio. Ciò comunque non stupisce, se si considera che la pellicola in questione sancisce l'esordio alla regia di Aaron Sorkin, il veneratissimo sceneggiatore di New York, già vincitore dell'Oscar nel 2011 per "The Social Network" di David Fincher.
Sorkin sfodera la sua abilità di scrittura fin da subito, tramite l'utilizzo della voce fuori campo, di descrizioni dettagliate di scene e personaggi, di accavallamenti temporali interni alla narrazione. Nel frattempo la macchina da presa inquadra attori in perenne movimento e il montaggio spezzetta sovente l'azione del poker in micro-inquadrature, che trasmettono allo spettatore la velocità del gioco e la tensione emotiva dei contendenti.
Sorkin non è bravo con la macchina da presa tanto quanto lo è con la penna, ma dimostra comunque di saper dirigere gli attori e di possedere gli strumenti registici per girare un'opera che, se non spicca, almeno si regge in piedi.

Il paradosso del film sta nel fatto che i suoi difetti (così come i suoi pregi) sono accreditabili alla stessa sceneggiatura, che, per quanto metta in evidenza un'indubbia abilità di scrittura, finisce tuttavia per diventare invasiva e poco fruttifera. Il vero problema di "Molly's Game" è che la sovrabbondanza di parole finisce per nascondere un vuoto di contenuto e per impedire agli elementi drammaturgici di evolvere: la prima a rimanere bloccata in una sorta di stallo drammatico è la stessa Molly che, alla fine della pellicola, è rimasta esattamente tale e quale ci era stata presentata all'inizio (sia psicologicamente, che fisicamente). La sua rocambolesca vicenda, il suo viaggio, è un viaggio tutto esteriore, fatto di imprevisti e di fortune, cui non fa tuttavia seguito un'evoluzione intima, uno scavo nell'interiorità (a meno che non bastino le poche battute scambiate col padre sul finale). È un viaggio che lascia poco o nulla appena ci si sposta dal piano dell'esperienza immediata e dall'avventura ai limiti della legalità: sembra non esserci spazio, nel film di Sorkin, per approfondimenti o per riflessioni più profonde, per indagini che invece lo spettatore si dovrebbe aspettare, come invece era stato per "The Social Network" (che era reso ancora più forte da una regia quasi perfetta), ma anche per il più recente "Steve Jobs".

Non che "Molly's Game" sia un brutto film, o una visione spiacevole, ma da uno che è comunemente considerato un mago delle parole ci si dovrebbe aspettare di più!

20/04/2018

Cast e credits

cast:
Idris Elba, Kevin Costner, Michael Cera, Jeremy Strong, Jessica Chastain


regia:
Aaron Sorkin


distribuzione:
01 Distribution


durata:
140'


produzione:
The Mark Gordon Company, Entertainment One, Pascal Pictures


sceneggiatura:
Aaron Sorkin


fotografia:
Charlotte Bruus Christensen


montaggio:
David Rosenbloom


musiche:
Daniel Pemberton


Trama
Molly Bloom è una promessa dello sci che a seguito di un'incidente sulle piste è alla ricerca di un modo per riorganizzare la propria vita. Tramite un giro di conoscenze inizia a gestire un giro di poker clandestino frequentato da attori hollywoodiani, rockstar, importanti uomni d'affari e milionari di tutto il mondo. Tutto scorre liscio finché l'FBI non scopre che alcuni degli uomini che frequentavano il giro di Molly, sono contatti legati alla mafia russa, e i capi d'accusa ricadranno anche sulla giovane donna.