Ondacinema

recensione di Camilla Fragasso
7.5/10

Otto anni fa Uberto Pasolini presentava alla Mostra del Cinema di Venezia il suo secondo lungometraggio, "Still Life", che gli valse il premio per la miglior regia nella sezione Orizzonti. Il film verteva sulla figura solitaria di John May (Eddie Marsan), un impiegato comunale con l'incarico di segnalare il decesso di emarginati e ritirati sociali ai familiari più stretti di questi ultimi. Il funzionario finiva per stabilire una connessione speciale con i defunti, prodigandosi per garantire loro una dignitosa sepoltura.

Nel 2020 il regista e produttore italiano torna al Lido in occasione della prima mondiale del suo nuovo film, che condivide alcuni tratti con il precedente. Il protagonista si chiama a sua volta John (James Norton), vive isolato con il piccolo Michael (Daniel Lamont) e sta attraversando gli ultimi mesi di vita in quanto affetto da una grave malattia. Sono quindi due gli elementi che lo accomunano al suo omonimo: innanzitutto, l'esistenza ai margini della società e la condizione di estrema solitudine, in secondo luogo il confronto quotidiano con l'incognita della morte.

Il terzo lavoro di Pasolini trae spunto da un fatto di cronaca riportato su un giornale britannico: un trentenne single muore a causa di un tumore subito dopo aver individuato una famiglia adottiva per il figlio di quattro anni; a causa della sua instabile situazione economica i vicini di casa raccolgono una colletta per pagare le spese funebri. Nel racconto filmico non si specifica tuttavia la patologia di cui soffre l'uomo, poiché lo scopo dell'autore è quello di adattarsi allo sguardo del bambino, il quale avverte il malessere fisico del padre ma non sa assegnargli un nome. La macchina da presa – anche grazie alla straordinaria fotografia di Marius Panduru – calibra sapientemente la distanza d'età tra i protagonisti collocandosi sovente al livello del bimbo e fornendo il suo personale punto di vista. Mediante questa scelta stilistica la condivisione di piccoli momenti di quotidianità assume una luce diversa: il conteggio dei lendini nascosti tra le ciocche di capelli di Michael diviene un insolito gioco; un insetto che non muove più le zampe trasforma la consueta passeggiata al parco in un pretesto per discutere il concetto della morte. Scambi di questo tipo, altrimenti banali, si caricano d'intensità poiché a sperimentarli è un infante a cui ogni aspetto del reale appare nuovo e inesplorato.

Il lungometraggio non contempla l'ordinaria spartizione in tre atti della drammaturgia classica, ma si dipana in maniera del tutto originale: prevede, infatti, un unico secondo atto capace d'immergere direttamente il pubblico nel conflitto al centro della narrazione. Quest'ultima non prevede un'introduzione alla vicenda, bensì si apre in medias res: durante i titoli di testa spiccano i vetri di alcuni edifici di Belfast tirati a lucido, e poi il protagonista intento a pulire le finestre di un negozio. John, di professione lavavetri, ha l'abitudine di osservare l'arredamento delle stanze dei suoi clienti, in particolare di quelle dei bambini. Il vetro esercita quindi una duplice funzione: da un lato accosta il personaggio ad altre realtà possibili, dall'altro riflette la sua immagine come uno specchio e lo induce a interrogarsi su se stesso e sul proprio ruolo di padre. John spia per brevi attimi le vite degli altri, alla ricerca di un futuro per Michael.

La complessa decisione di lasciare il figlio nelle mani di una famiglia adottiva, che caratterizza le ultime settimane del giovane padre, lo sommerge di dubbi, dato che ciascun genitore desidera adottare per motivi diversi: chi per soddisfare il proprio ego, chi per colmare una mancanza, chi per attivare il proprio istinto materno. Alla fine John individuerà il nucleo familiare più adatto ad accogliere il bambino, ma le sorti del piccolo non verranno svelate.
Il finale sospeso contribuisce a rendere il film aperto, con un'impostazione a tratti documentaristica in cui non esiste il filtro dell'autore, ma s'instaura un dialogo inedito tra i personaggi e il pubblico. Uberto Pasolini non realizza tanto una storia sul rapporto padre-figlio, quanto il ritratto di un periodo all'interno della coppia. L'esito è quanto mai soddisfacente, poiché il dramma viene saggiamente evitato e le emozioni non sono contenute nella recitazione, ma sono interne e si alimentano della straordinaria espressività degli attori.


12/12/2021

Cast e credits

cast:
James Norton, Daniel Lamont, Stella McCusker, Valerie O’Connor, Elieen O’Higgins, Valene Kane, Siobhán McSweeney


regia:
Uberto Pasolini


titolo originale:
Nowhere special


distribuzione:
Lucky Red


durata:
96'


produzione:
Picomedia, Digital Cube, Rai Cinema, Redwave Films


sceneggiatura:
Uberto Pasolini


fotografia:
Marius Panduru


montaggio:
Masahiro Hirakubo, Saska Simpson


musiche:
Andrew Simon McAllister


Trama

John, di professione lavavetri, vive da solo con il figlio Michael. Quando scopre che gli resta poco da vivere a causa di una grave malattia, si mette alla ricerca di una nuova famiglia che sappia prendersi cura del piccolo dopo la sua dipartita

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