Ondacinema

recensione di Matteo Pennacchia
7.0/10

Un popolo senza lingua né esercito: è la lega dei capelli rossi, ovunque schernita e ghettizzata per colpa della particolarità tricologica, sorte a cui quindi non sfugge Rémy, ragazzone malpelo sfottuto dai compagni di calcio e dalla famiglia di sole donne, senza amicizie o alcun tipo di relazione eccetto una fidanzata virtuale mai vista conosciuta sulla chat di World of Warcraft. E sorte a cui non è sfuggito nemmeno il piccolo Patrick, rosso anche lui, adesso cresciuto e diventato psicoanalista: durante le sedute sgranocchia patatine di nascosto dai pazienti fra uno sbadiglio e l'altro, sempiterna vittima del bullismo da bambino, di una feroce ennui da adulto come un poeta maledetto però senza poesia.

"Our Day Will Come" si apre su scorci di una Francia nordista e provinciale che farebbero invidia a qualsiasi film di impegno proletario anglosassone: linea dell'orizzonte frastagliata da comignoli industriali e gru percolanti, fabbriche dismesse, quartieri popolari tutti asfalto e mattoni grezzi, strade strette ai margini di terrapieni ferroviari. È qui nel suburbio portuale di Dunkerque che Patrick e Rémy inaugurano la loro rivolta contro il destino, il quale per lo psicoanalista è in forma di delusione esistenziale e per il ragazzo ha accezione prettamente genetica. Negli ambienti dove il loro vagabondaggio li conduce, dopo che Rémy ha pestato la madre rea di un insulto di troppo e dopo che Patrick è stato chiamato a intervenire per sedarlo e prenderlo in custodia, il panorama architettonico e antropologico non trova conforto: piccoli squallidi bar, spiagge desolate, parcheggi di grandi magazzini, autosaloni, nulla da cui si intravveda la possibilità di una pur fosca coesione sociale che infatti non c'è; gli arabi stanno con gli arabi, gli ebrei con gli ebrei, i gay con i gay, i contadini con i contadini e i capelli rossi con i capelli rossi, minoranze sempre più monadiche, autoemarginate e razziste. Il razzismo è uno degli espedienti con cui Patrick tenta di sconfiggere la noia e al contempo di estrarre Rémy dal bozzolo, espediente, appunto, privo di moventi ideologici: la miccia più comoda e immediata, universalmente riconosciuta e riconoscibile, per far detonare la liberatoria violenza necessaria a rivendicare un'identità, al momento depressa ed evanescente in entrambi, in base allo schifo indiscriminato e alla distruzione altrui. Patrick capovolge la propria figura che la convenzione esige razionale, uomo maturo per di più psicoanalista, sguinzaglia i bassi istinti e diventa il perverso grillo parlante di Rémy; provoca risse, insulta sconosciuti e irretisce viscidamente ragazzine, dato che la sessualità è il secondo espediente sfruttato oltre il razzismo e non poteva essere altrimenti.

Rémy si identifica in nient'altro che nei suoi capelli rossi e nelle angherie subite correlate, e come non bastasse sospetta con ribrezzo di essere omosessuale; Patrick ingrassa il sospetto con analisi da quattro soldi. Nulla conta se non accelerare la discesa a spirale verso il fondo estremizzando ogni comportamento, ogni rancore e ogni eresia. Approssimarsi alla massa critica e accettarla: Rémy, istigato ed esaurito, comincia a credere di essere il messia che guiderà il popolo eletto dei pel di carota nella terra promessa, l'Irlanda, posto da sogno dove tutti quanti sono rossochiomati. Ed ecco che "Our Day Will Come" cambia sembiante, non più narrazione del discutibile percorso iniziatico di un ragazzo frustrato alla conquista della libertà e della sicurezza in se stesso, bensì fuga on the road a due, direzione Calais, il traghetto per l'Irlanda, miraggio anche per Patrick nonostante l'arroganza di partenza. È lui a dare la facciata per terra una volta raggiunto l'agognato fondo (dopo un'orgia mancata) e aver visto che neppure lì si sta poi tanto bene, mentre Rémy detesta chiunque e nessuno ed è ora fieramente convinto di avere uno scopo nell'universo. Tuttavia la proprietà commutativa è una formula valida in matematica quanto in certi casi della vita, ed eccesso per eccesso i due rossi approdano insieme al loro grottesco Punto Omega, diorama degli isterismi e della disgregazione della civiltà moderna.

Romain Gavras, figlio d'arte di Costa, è più dedito ai videoclip che ai lungometraggi e non si direbbe: ha occhio inquieto, non si aggrappa a facili estetismi e riempie il film di brutta gente e gente brutta. Cinematograficamente brutta, intendiamoci. Cassel incluso, che è il solito Cassel sempre in overacting ma credibile; dal canto suo Olivier Barthélémy nei panni di Rémy è grande e grosso e rosso ma ha la giusta accoppiata spalle cadenti-testa incassata tipica della remissività e si rende protagonista di un acme da body art quando si cosparge la testa di crema depilatoria e si rasa nervosamente a zero per davvero, sfregiandosi dappertutto; l'effetto su pellicola è fortissimo oltreché metaforico ed è il preambolo alla definitiva trasformazione del personaggio, da bersaglio di ingiustizia cosmica a vendicatore armato d'odio e di balestra, alfiere di una visione di mondo dove ogni dimensione etica rimane fuori campo e vige l'ineffabile, non in prospettiva di superiorità divina ma di frantumazione dei concetti di ordine e caos. Con "Our Day Will Come" si assiste a ciò che sarebbe stato il cinema di Dumont se anziché a Bresson si fosse ispirato a Chuck Palahniuk.

Il film di Gavras non regge il confronto con nessuno dei suddetti tre, non ambisce a tanto (o a tanto poco, de gustibus). All'inizio spiazza in negativo perché sembra avvitarsi su forzature drammatiche sbrigative e inverosimili; in seguito stabilisce la sua cifra che è quella del mostruoso, e perciò dell'umano, ma non ha e non vuole avere il distacco di Seidl né l'inclinazione satirica di Korine. Il che non per forza è deleterio: crea un vitale senso di fastidio, gioca con la proiezione morale dello spettatore e fino all'ultimo tiene viva la speranza malsana che i due novelli profughi, ormai pelati come le scimmie di "Fight Club", riescano a toccare le rive di un'esistenza migliore.


(Postilla. Sempre nel 2010 Gavras ha diretto il video di "Born Free" di M.I.A., ideale sequel del film, ambientandolo in una distopia dov'è in atto il genocidio delle persone con i capelli rossi.)


23/04/2017

Cast e credits

cast:
Vincent Cassel, Olivier Barthélémy, Justine Lerooy, Boris Gamthety


regia:
Romain Gavras


titolo originale:
Notre Jour Viendra


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
90'


produzione:
Vincent Cassel, Éric Névé


sceneggiatura:
Romain Gavras, Karim Boukercha


fotografia:
André Chemetoff


scenografie:
Christian Vallat


montaggio:
Benjamin Weill


costumi:
Nathalie Benros


musiche:
Sebastian Akchoté


Trama
Rémy è un ragazzo frustrato e bullizzato, Patrick uno psicoanalista depresso. Entrambi si sentono isolati dal resto della società per colpa dei loro capelli rossi. Esasperato, Rémy aggredisce la madre e Patrick viene chiamato a intervenire: è l'inizio di un violento e folle viaggio verso l'Irlanda, idealizzata patria dei "rossi".