"Gli abitanti ed io ci guardavamo a vicenda, e la distanza rimaneva la stessa."
Paul Gauguin
Una panoramica languida inquadra i container navali impilati davanti a un crinale vulcanico, che si staglia violaceo nella foschia impregnata d'arancio. Non si conoscono il contenuto o le destinazioni, e tutto è avvolto in una chiara caligine. "Pacifiction" è già contenuto qui, in questa maestosa opening shot: la natura e lo stato, il manifesto e l'occulto, il viola e l'arancio.
Vasti paradisi che l'Alto Commissario De Roller (Benoît Magimel) attraversa pigramente in uniforme diplomatica – completo di lino, camicia tropicale e lenti polarizzate. La missione è segreta. Qualcuno dice che ogni notte, l'avvinazzato ed enigmatico Ammiraglio faccia riemergere il sottomarino per caricare plotoni di prostitute. Qualcun altro dice che i test nucleari, tenuti dalla Francia negli atolli polinesiani tra il 1966 e il 1996, riprenderanno. Un portoghese perde il passaporto. Un americano cospira. Un prete si oppone alla costruzione del casinò. Shannah, una māhū (terzo sesso, sia uomo che donna), diventa la sua assistente e poi la sua amante. "Dans mon métier, il ne se passe pas grand chose" sostiene De Roller. Può essere.
In effetti, gran parte del film consiste semplicemente nel seguire De Roller nelle sue commissioni quotidiane, alcune impegnative, come prevenire disordini, altre meno, come dare il suo tocco personale a una coreografia. Girato in 2.39: 1 con tre camere digitali in contemporanea, per un accumulo di 180 ore di materiale, quasi tutte durante alba o tramonto, "Pacifiction" è il risultato di una lenta, premurosa distillazione in cui Magimel, come il verme del mezcal, continua a fluttuare e contorcersi. Mentre ci beviamo il succo viscoso e vagamente intossicante della storia, non possiamo distogliere l'attenzione da lui. Massiccio e fatuo, troneggiante e leggero, conferma il suo stato di grazia in questa stagione del cinema francese dando vita non tanto a un'interpretazione ma piuttosto a una personificazione di ciò che si impone senza agire: la politica.
"Si je peux faire quelque chose" è la battuta più frequente, ma non c'è niente che possa fare davvero. De Roller si scopre alla deriva in paesaggi lussureggianti, cullato da riff elettronici, inghiottito dal maestoso languore dei tropici, ubriacato dai colori. Di quegli stessi tropici Gauguin scriveva, "siccome il colore è enigmatico in sé stesso... è logico che non si possa usare che in maniera enigmatica". Un consiglio che Serra prende alla lettera, immergendo il protagonista in un paradiso alienante, dove il celeste, l'arancio, il viola e il verde contribuiscono al disorientamento esistenziale di un personaggio che ormai è sicuro soltanto della propria solitudine, e sconsolato su tutto il resto: "la politica è come un night club: persone al buio che nemmeno si guardano più".
Tutto curato al dettaglio, anzi no. I dialoghi sono impromptu, con Magimel imbeccato in cuffia da Serra, e la dizione ciondolante, sfasata, lievemente offbeat. Come osservato da altri ricorda il Gazzara di "Saint Jack". O la versione istituzionale del soldato Willard di "Apocalypse Now", in questo anti-epos coloniale che mette a nudo, oltre al torace depilato di Magimel, l'atrofizzazione del soft-power diplomatico in un mondo lanciato pigramente verso l'auto-distruzione: "Quando vedranno cosa abbiamo il coraggio di fare alla nostra gente, i nostri nemici sapranno con chi hanno a che fare" sentenzia l'Ammiraglio.
La cospirazione rimane oltre la cortina, soffocando talvolta l'Alto Commissario come nella magnifica sequenza notturna girata in un campo da calcio sotto la pioggia battente e i riflettori accesi, animata da un palpito regolare di impulsi sonar. Dopo le trasfigurazioni anti-narrative e postmoderne di periodi e personaggi storici – i Re Magi, Don Chisciotte, Casanova e il Luigi XIV in cui metteva in scena la putrefazione dello Stato – Albert Serra racconta anche la sua dissoluzione. La politica ridotta a performance, erosa da invisibili influenze e vizi privati, e tutti noi ridotti come a fissare un acquario, senza più sapere da quale parte del vetro.
cast:
Benoit Magimel, Pahoa Mahagafanau, Marc Susini, Matahi Pambrun
regia:
Albert Serra
titolo originale:
Pacifiction
distribuzione:
Movies
durata:
165'
produzione:
Anderground Films, Tamtam Film, Rosa Filmes, Arte France Cinéma, Archipel Productions
sceneggiatura:
Albert Serra
fotografia:
Artur Tort
scenografie:
Sebastian Vogler
montaggio:
Albert Serra, Artur Tort, Ariadna Ribas
costumi:
Praxedes de Vilallonga
musiche:
Marc Verdaguer