Ondacinema

recensione di Alessio Bottone
7.5/10

Nel panorama del cinema documentaristico italiano quella di Franco Maresco, prima come membro del duo composto con Daniele Ciprì e poi come (solitario) solista, è sicuramente una delle voci più significative. Ascoltarla implica riconoscerle anzitutto una coerenza, che pur con le sue mutazioni non può che scaturire dalla saldezza della poetica del regista siciliano, rivelatasi al pubblico ormai trent’anni fa nelle sembianze arcaiche e post-apocalittiche insieme delle “strisce” di Cinico Tv. D’altronde, già negli esordi televisivi della coppia il lavoro sulla forma-documentario era determinante, se si pensa solo all’uso straniante della tecnica dell’intervista, centrale per innescare quella disperata comicità che dettava il tono della serie. Poi, attraverso vari lavori realizzati lungo gli anni 90 (dall’inchiesta folclorica di Grazie Lia al bellissimo "Enzo, domani e Palermo!", che anticipa diversi motivi in futuro cruciali), i due approderanno con il nuovo millennio all’ibrido mockumentary de "Il ritorno di Cagliostro" e al più classico "Come inguaiammo il cinema italiano", dedicato alla “storia esemplare” di Franco e Ciccio.

"Io sono Tony Scott" rappresenta in tal senso uno snodo decisivo. Banalmente perché si tratta dell’opera che segna la separazione da Ciprì, più in profondo perché segna un ripensamento del documentario, che diventa nella produzione a venire (fino a oggi, ma potremmo scommettere anche oltre) l’unico genere possibile per Maresco. Verrebbe da spiegare il rifiuto del cinema di pura finzione con il radicalizzarsi del suo pessimismo, ma sarebbe una lettura troppo affrettata. E allora serve chiedersi di fronte a quale documentario ci troviamo.

Nei 128 minuti della sua durata assistiamo al racconto – tra interviste, filmati e immagini d’archivio – di una delle figure più geniali del jazz italiano, anzi italoamericano: il clarinettista Tony Scott, che suonò con Charlie Parker e Bill Evans, fu amico di Billie Holiday e precursore della world music, ma che morì dimenticato e in povertà nel Belpaese. Anche la sua è una “storia esemplare” agli occhi di Maresco, che in apertura indugia sul ralenti del deprimente incontro televisivo con Bonolis e in chiusura dà voce al lontano parente che ha ospitato le spoglie di Scott nella tomba di famiglia in attesa di un intervento delle istituzioni comunali, ma che a distanza di anni si chiede indispettito dove “buttarle” per esigenze di spazio. Insomma "Io sono Tony Scott", la cui ultima parte è interamente dedicata al declino del periodo italiano, fatto di incomprensione e marginalità, canta il disfacimento culturale nostrano al pari delle opere precedenti e successive di Maresco (basti leggere il titolo lungo), ma ha in sé un’urgenza pedagogica che fa da contraltare a quel nichilismo che è l’etichetta più facile da apporre al suo cinema.

La biografia (già il termine dà da riflettere) scottiana, infatti, è ricostruita con un piglio archivistico che si rivela nella composizione del materiale e nella struttura adottata, a partire dal rispetto pressoché rigoroso della linearità cronologica. E ciò evidenzia un aspetto determinante, che concerne le ambizioni dell’autore: con "Io sono Tony Scott" Maresco vuole far conoscere il suo protagonista. Sembrerà la più scontata delle ovvietà, eppure questo ritorno allo spirito originario della forma-documentario acquista un valore dirompente nella filmografia del siciliano. In parte già "Come inguaiammo il cinema italiano" si poneva su questa strada, ma lì l’ironia e il grottesco sopravvivevano nelle scene con l’incerto critico Puma e negli spezzoni in bianco e nero à la Cinico Tv. Qui invece la serietà informativa non mostra crepe e risulta finalizzata a una vera e propria missione civile – altro che nichilismo! – che consiste nella riscoperta pubblica di un “eroe dimenticato”. In tal senso, del resto, "Io sono Tony Scott" crea un dittico perfetto con "Gli uomini di questa città io non li conosco", per il quale le presenti osservazioni si potrebbero copincollare, sostituendo il nome di Franco Scaldati a quello di Scott.

Goffredo Fofi in un suo libro di qualche anno fa intitolato "Il cinema del no" considerava Maresco uno dei registi più autenticamente “anarchici”, insieme a Chaplin e Ōshima, Vigo e Fassbinder, Bresson e Kaurismäki. E prendeva le mosse dalla definizione, data da Colin Ward, di “anarchia” come “disperazione creativa”. Ecco, questo concetto si attaglia alla perfezione al cinema negativo del siciliano: qualcosa che Mario Martone ha formulato con chiarezza quando, in una conversazione a tre con Enzo Moscato, rivolgendosi a Maresco gli fece notare che il suo modo di dare forma ai paesaggi dolorosi era comunque una salvezza possibile. Ciò è ancor meno difficile da digerire dopo aver visto "Io sono Tony Scott" e il suo gemello, dove la fiducia del burbero cineasta passa per la prova del documentario documentale e divulgativo. D’altro canto, se non c’è salvezza fuori dell’arte, artisti sono gli eroi ritratti nei due film; e artista sarà la compagna d’avventura di "La mafia non è più quella di una volta", quella Letizia Battaglia cui non a caso Maresco decide di affidare il controcanto ottimistico al suo punto di vista da “scettico di merda”, come lei lo appella affettuosamente.

Non serve scomodare l’idea platonica di dialogo per capire che queste due disposizioni antitetiche convivono e lottano nella stessa persona, danno vita a un conflitto che è una miccia sempre accesa per il palermitano, il quale vi attinge di volta in volta tra entusiasmo e abbattimento, ma affidando sempre al suo fare cinema lo scandalo della poesia.


P.S. Chi scrive, nel suo piccolo, è la dimostrazione che la missione-Scott continua a non fallire, se durante la stesura di questo pezzo ha consumato ossessivamente l’ipnotica Djanger Bali, che forse mai avrebbe scoperto da solo.


23/01/2023

Cast e credits

cast:
Tony Scott


regia:
Franco Maresco


durata:
128'


produzione:
Cinico Cinema, Sicilia Film Commission, Rai Cinema


sceneggiatura:
Franco Maresco, Claudia Uzzo


fotografia:
Alessandro Abate


Trama
La storia esemplare di Tony Scott, genio del jazz che suonò con Charlie Parker e Billie Holiday, uno dei più grandi clarinettisti di sempre che conobbe il suo triste e amaro declino in Italia.