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recensione di Davide Spinelli
8.0/10

Asja (Jelena Kordić Kuret) non è sposata, è sopravvissuta alla guerra, vive a Sarejevo, è un’avvocata. A uno speed date incontra Zoran (Adnan Omerović), un banchiere, che cerca il perdono.

Felicità

Teona Strugar Mitevska si è inventata un prologo lunghissimo, in un fabbricato impersonale, asfittico, al centro di Sarajevo, che si vede dalle panoramiche, ricostruita in parte, pietre, cantieri. La prima parte, il gioco della conoscenza – qual è il tuo colore preferito, quale parte della giornata preferisci, di cosa vai più fiero – dura quaranta minuti, di campi e controcampi, tra Asja e Zoran. Di entrambi scopriamo i volti con calma, Asja non vuole mostrarsi, lo fa allo specchio, di riflesso, mentre indossa la camicia rosa con il suo nome in stampatello attaccato sopra il seno, a Zoran lo nascondono i capelli, sugli occhi, e la camera che lo segue alle spalle, come fa con Asja per il primo quarto d’ora, alla ricerca del coraggio per raccontare questa storia.
Dal palazzo non si esce, succede tutto lì, o, meglio, non succede nulla, è già successo, la confessione in uno speed date; una dimensione grottesca, incomprensibile, “tocco di felicità” ripetono le organizzatrici: Zoran è un ex soldato dell’esercito serbo bosniaco, la notte del primo gennaio 1993 ha sparato ad Asja ferendola, e ora l’ha ritracciata, le deve parlare, la necessità di Zoran com-prende il dolore della donna, lo sovrasta, è una rappresentazione – della verità, della confessione – apologetica dal principio, atipica, Zoran deve elicitare il proprio dolore, anche a costo di dimostrare che equivale a quello di Asja. Il confronto tra i due è serrato, non possono esserci due vittime se uno dei due è quello che ha sparato (?).

Eichman

Lo speed date è (anche) il luogo dell’interrogatorio, Asja vuole che Zoran dica a tutti ciò che ha fatto, lo lega, mani e piedi, gli copre il volto, lo schiaffeggia, gli altri sono seduti, prima protestano e poi attendono la confessione, vogliono sapere. Il copione si ripete, quello del processo Eichmann, il colpevole in pasto agli accusatori, gli abusati, “La banalità del male” ha segnato un confine, un’intercapedine assiologica, le posizioni si sovrappongono in un gioco allarmante, imprevedibile, “lo deve giudicare un tribunale” dice qualcuno, ma un tribunale a che serve di fronte a una donna ferita, nella carne, sotto il collo come Asja, che correva “davanti ai cecchini per delle stupide lattine di carne”, a sedici anni.
In "The Happiest Man in the World" la guerra fa capolino sotto il ginocchio, la camera è a quell’altezza, segue i passi di Asja adolescente, un parassita strisciante, che all’improvviso entra dalle finestre del fabbricato, durante un ballo, l’immagine di una infanzia perduta, un inserto archeologico, irrealizzabile, e spara sulla folla. Una delle sequenze più belle del film, inimmaginabile, l’esercito serbo bosniaco trucida, l’intromissione del passato nel contingente, “un uccello che becca il cuore”, perché – la denuncia della regista – c’è spazio, il presente delle nuove generazioni è vuoto, spento, in una fotografia documentaria, opaca. Il prologo antecede un’operazione liturgica, chirurgica, Asja racconta un solo episodio della guerra, senza prendere mai fiato, un climax piatto.

“Qualsiasi giorno in cui non rifletto su me stesso”

Nel bagno del fabbricato c’è uno specchio a croce - l’oggetto di “Dio è donna e si chiama Petrunya” -, Asja sbottona la camicia, si avvicina a Zoran, vuole che tocchi la ferita che le ha provocato il coma. È una sequenza ipergeometrica, tattile, i due corpi si incastrano, “due forme uniche nello spazio continuo”, lui appoggia il mento sulla fronte di lei, la camera è vicinissima, è la prima tappa del processo misericordioso, che alla fine arriva a compimento, è l’obiettivo programmatico della regista, ripeto, infrequente, altrimenti “si rinizia tutto da capo”; allora Zoran e Asja seduti al tavolo ripercorrono quella sera, la prima volta in cui la guerra è tornata in europa dal secondo dopo guerra, il punto da cui ha sparato, contro una coperta con degli orsacchiotti, poi l’abbraccio, assolutorio forse, il punto di accumulazione di uno dei lavori più belli di Venezia79.


09/09/2022

Cast e credits

cast:
Jelena Kordić Kuret, Adnan Omerović, Labina Mitevska, Ana Kostovska


regia:
Teona Strugar Mitevska


titolo originale:
NAJSRENIOT OVEK NA SVETOT / NAJSRETNIJI OVJEK


distribuzione:
Eric Lagesse – Pyramide International


durata:
95'


produzione:
Labina Mitevska – Sisters and Brother Mitevski


sceneggiatura:
Elma Tataragić, Teona Strugar Mitevska


fotografia:
Virginie Saint Martin


scenografie:
Vuk Mitevski


montaggio:
Per K. Kirkegaard


costumi:
Monika Lorber


Trama
Asja è sopravvissuta alla guerra, vive a Sarejevo, è un’avvocata. A uno speed dating incontra Zoran, un banchiere, che però non cerca l'amore.