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recensione di Mirko Salvini
6.5/10
Chi conosce un po' la carriera di Rupert Everett sa quanto l'attore di "Another Country" e "Il matrimonio del mio migliore amico" sia un appassionato di Oscar Wilde e della sua opera. Lo si è visto infatti partecipare negli anni alle trasposizioni cinematografiche di due fra le più famose commedie del genio irlandese, "Un marito ideale" e "L'importanza di chiamarsi Ernesto", entrambe dirette da Oliver Parker, mentre sulle scene britanniche ha interpretato il celebrato autore nella piece di David Hare "Il bacio di Giuda", incentrata sulla relazione a dir poco pericolosa fra Wilde e il giovane poeta aristocratico Alfred "Bosie" Douglas, causa neanche troppo indiretta del declino e della messa all'indice di un autore fino a quel momento idolatrato per la sua brillantezza e modernità, vittima soprattutto di una società ipocrita e moralista. Everett ha lavorato per anni a questo progetto che racconta gli ultimi anni della vita dello scrittore, quelli più dolenti, nei quali l'ideale del bello che lo aveva ispirato per tanto tempo aveva lasciato il posto ad una realtà triste e scoraggiante. Per realizzare questo sogno nel cassetto, oltre ad interpretare Wilde, l'attore inglese si è pure deciso a fare il grande passo dietro la macchina da presa, andando idealmente a far compagnia ad altri suoi illustri colleghi. Del resto il suo passato canterino e la sua carriera di scrittore (molto piacevoli i suoi libri a carattere autobiografico) dimostrano che Everett è un personaggio al quale il solo mestiere di attore poteva non bastare.

Anche se i lettori e gli studenti della nostra generazione (come di quelle precedenti) hanno conosciuto Oscar Wilde come un autore di primissimo piano, peraltro molto saccheggiato dal cinema, il neoregista ha faticato molto per trovare i finanziamenti per "The Happy Prince" che fortunatamente, una volta completato, ha potuto contare su una certa attenzione, garantita anche dal passaggio in rassegne importanti, come Berlino e il Sundance. La storia del cinema però ci insegna che i cosiddetti "passion project" possono essere un problema anche per registi già affermati (non a caso molti decidono saggiamente di lasciarli nel cassetto), figurarsi per un debuttante. Il biopic, forte di contributi di prima categoria come i costumi di Maurizio Millenotti e Giovanni Casalnuovo, le musiche di Gabriel Yared o la fotografia di John Conroy, segue la linea delle cinebiografie recenti e, come già detto, si concentra solo sull'ultima parte della vita di Wilde. E' già stata scontata la condanna ai lavori forzati e, una volta lasciato il carcere di Reading, lo aspetta l'esilio fra la Francia e l'Italia e la compagnia di pochi amici rimasti leali, fra i quali il curatore letterario Robbie Rosse e lo scrittore Reggie Turner. La moglie Constance, provata nel fisico e nello spirito, si è allontanata ma non ha smesso di pensare a lui, pur non potendo perdonare tradimento e umiliazione. Wilde non la rivedrà più, come mai più rivedrà i due figlioletti. In compenso si riconcilierà con Bosie Douglas, ma neanche le bellezze e i divertimenti della riviera amalfitana si dimostreranno durevoli, fra incomprensioni e mancanza di denaro. Morirà nel 1900 a soli quarantasei anni, circondato dall'affetto di pochi.

"The Happy Prince" è un'opera che sicuramente tratta con passione la vita di Wilde e al tempo stesso vuole suggerire dei collegamenti con le epoche successive (come la scena in cui il protagonista scampa ad un gruppo di giovani prepotenti che può ricordare tante aggressioni omofobe dei nostri giorni, o la didascalia finale che ricorda la riabilitazione ufficiale del grande scrittore avvenuta soltanto di recente) può essere utile il paragone col film del 1997 "Wilde" di Brian Gilbert, interpretato da Stephen Fry e Jude Law, che raccontava gli anni dei suoi trionfi ma anche lo scandalo e la pubblica condanna a seguito del processo subito. I due lavori sono in qualche modo complementari: in entrambi si attinge alla produzione fiabesca di Wilde in chiave di metafora (nel vecchio film si faceva ricorso al "Gigante egoista", mentre qui, come già il titolo suggerisce, al "Principe felice") e Tom Wilkinson, che era stato il Marchese di Queensburry nella precedente pellicola ora torna per interpretare un sacerdote che somministra allo scrittore l'estrema unzione; ma soprattutto in entrambi i lavori di Oscar Wilde si mostra, oltre al brio, una fragilità magari verosimile ma che forse non rappresenta al meglio il personaggio. L'urgenza di umanizzare una figura tanto celebrata finisce alla fine col renderla meno credibile ed è un peccato, specie per gli spettatori più giovani che forse conoscono meno l'autore del "Ritratto di Dorian Gray".

Rupert Everett a cinquantasei anni ovviamente non si presenta più come l'attore che negli Ottanta servì come modello per uno dei personaggi più noti del fumetto italiano, ma il trucco eccessivo ci regala un Wilde che, per quanto uomo finito, un po' troppo agé e grottesco. Emily Watson è una dolente Constance mentre Colin Firth, compare di avventure di Everett in diverse occasioni, interpreta Reggie Turner. Sfortunatamente il buon Colin Morgan si rivela un Bosie petulante, poco simpatico e non troppo attraente, tanto che ci si può chiedere cosa abbia portato Wilde a compromettere tutto per una persona simile; esce invece molto bene la figura di Robbie Ross, incarnato dall'attore teatrale e televisivo Edwin Thomas, qui al primo ruolo cinematografico.

15/04/2018

Cast e credits

cast:
Rupert Everett, Colin Firth, Emily Watson, Colin Morgan, Tom Wilkinson, Edwin Thomas, Anna Chancellor, Béatrice Dalle, Julian Wadham, John Standing


regia:
Rupert Everett


titolo originale:
The Happy Prince


distribuzione:
Vision Distribution


durata:
105'


produzione:
Maze Pictures


sceneggiatura:
Rupert Everett


fotografia:
John Conroy


scenografie:
Brian Morris


montaggio:
Nicolas Gaster


costumi:
Maurizio Millenotti, Giovanni Casalnuovo


musiche:
Gabriel Yared


Trama
Gli ultimi anni di vita di Oscar Wilde, il quale, una volta scontata la condanna ai lavori forzati, si ritrova esiliato, privo di mezzi e con pochissime persone sulle quali poter contare
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