Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
7.0/10

Il primo lungometraggio di David Easteal è essenzialmente una questione di prospettiva.
Un’inquadratura fissa, riproposta per quasi tutto il film, da una camera car posizionata nei sedili posteriori di un’automobile, in posizione centrata, con l’obiettivo rivolto in avanti, verso il parabrezza e la strada da percorrere.
Le inquadrature hanno una durata mediamente molto estesa, che va da alcuni minuti a oltre mezz’ora, senza stacchi.
In questo modo, "The Plains" si compone di una ventina scarsa di piani sequenza (per un film di tre ore esatte), la maggior parte dei quali riprendono il proprietario dell’auto, Andrew Rakowski, nel tragitto di ritorno da lavoro verso casa, in un orizzonte temporale di un anno, testimoniato dallo scorrere delle stagioni e in particolare dalle diverse luminosità che si registrano nel cielo di Melbourne delle cinque del pomeriggio.
Talvolta Andrew è accompagnato da un collega, David, che sarebbe poi lo stesso regista, sceneggiatore, produttore e montatore del film. David lavora (insieme a Andrew) in un ufficio di pratiche legali, in attesa di superare l’esame da barrister.

Va detto fin da subito che David Easteal era ed è esattamente questo: un avvocato, ma anche un filmaker che dopo essersi cimentato con alcuni cortometraggi ha scelto una via suggestiva e innegabilmente sui generis per esordire nel lungometraggio.
Va anche detto che Andrew e David lavoravano effettivamente insieme alcuni anni fa, e che in quel periodo Andrew proponeva talvolta a David di accompagnarlo a casa, dato che abitavano vicini.
Siamo dunque dalle parti del cinema del reale, di una ricostruzione fittizia di qualcosa di realmente avvenuto, con quelle stesse persone, seppure a distanza di tempo. Si crea così l’illusione del documentario, dell’esperimento filmato in presa diretta, quando in realtà si tratta di una messa in scena, ancorché del tutto verosimile.

Dalla ambientazione in auto, il film si discosta in alcune (poche) occasioni rappresentate da una serie di riprese da drone del tutto aliene dal contesto principale. Sono infatti riprese da altitudini anche piuttosto elevate (contro quelle girate in auto a poco più di un metro da terra). Sono riprese estremamente mobili e dunque antitetiche rispetto a quelle registrate dentro il veicolo con la camera immobile (immobile rispetto all’auto, ovviamente). Sono riprese di bucolici paesaggi naturali, contrastanti con quelli urbani che scorrono nel parabrezza.
C’è poi almeno un’altra ripresa "aliena", girata dentro l’automobile, ma con una prospettiva e una qualità dell’immagine ben diverse da tutte le altre, un video girato con l’ipad dalla moglie di Andrew mentre questi è alla guida.

L’idea di girare un film (quasi) interamente all’interno di un autoveicolo è tutt’altro che originale, essendo già stata percorsa da altri autori.
Con riguardo ai lungometraggi che affrontano contesti di quotidianità, basti citare il Kiarostami di "Dieci" (ancor più radicale quanto alla forma), o il Panahi di "Taxi Teheran" (lui più politico, sia per la forma che per i contenuti).
Estendendo il campo ai road movie chiaramente finzionali, con tinte che variano dalla commedia al dramma al thriller, si ricordi invece il tragicomico Jarmusch di "Night on Earth" (1991), o ancora "Duel" (Steven Spielberg, 1971) o il più recente "Locke" di Steven Knight (2013).
In nessuno di quei casi, tuttavia, si rinunciava completamente all’inquadratura frontale - o leggermente decentrata - sul viso dell’autista o del passeggero. In nessuno di quei casi si rinunciava a mettere al centro dell’interesse la persona e il personaggio, la sua mimica e le sue espressioni.
Easteal compie invece la scelta opposta di riprendere le persone sempre e soltanto da dietro, e dunque di schiena o al massimo di profilo (ma soltanto se sono loro a voltarsi). Ci sono gli occhi di Andrew riflessi nello specchietto retrovisore, certo, ma è del tutto incidentale, oltre ad essere ben poca cosa, nel contesto di un'immagine widescreen (non c'è alcun piano ravvicinato sullo specchietto, come fa chi invece vuole esaltare quel tipo di inquadratura).
Al centro di "The Plains" vengono quindi a esserci le storie, più che i personaggi e le loro emozioni. O, quanto meno, tali emozioni sono filtrate dalle voci più che dai volti e dalle espressioni.

A tenere in vita "The Plains" sono infatti i dialoghi (e non potrebbe essere diversamente): quelli tra Andrew e David, che coprono ben oltre la metà dei 180 minuti di durata; o quelli di Andrew al telefono con la moglie o la madre (e altre persone, in misura minore), in cui sentiamo soltanto la voce di Andrew, siccome - così spiegherà a David - non ama utilizzare il vivavoce integrato dell’automobile e dunque si affida a un più discreto auricolare.
I dialoghi costituiscono quindi la sceneggiatura di un’opera sul quotidiano e sulle insidie che può nascondere. I dialoghi rompono l’uniformità visiva di un’ambientazione sì dinamica ma comunque ripetuta (le stesse strade e autostrade, gli stessi semafori, le stesse insegne e gli stessi cartelli).
"The Plains" può essere infatti definito un road-movie esistenzialista, dove non conta la strada che si fa, ma ciò che viene detto. Contano le frasi e i momenti a cui lo spettatore si trova ad assistere dalla posizione privilegiata di un ipotetico passeggero silente e inerte, seduto nei sedili posteriori.

Il tragitto lavoro-casa è momento di bilanci (sulla giornata lavorativa trascorsa) e di programmi (sulla serata o sul weekend da trascorrere). E’ il momento in cui si contattano gli affetti lontani o vicini, con la telefonata di rito a chi si frequenta più o meno di rado (la madre anziana di Andrew, che sta in una casa di riposo dalle parti di Adelaide) o a chi invece si vedrà non appena giunti a casa, alla fine di quello stesso tragitto (la moglie Cheri).
E’ il momento di riflessioni sulla vita e sulla morte. Ed è anche il momento in cui si può coltivare una relazione di conoscenza e colleganza, che col tempo diventerà qualcosa di assimilabile a un’amicizia, sul mero presupposto di un tratto di strada in comune.
Il cinema del reale è dunque, in "The Plains", cinema della quotidianità, qui protratta alle estreme conseguenze della banale routine.
Eppure la routine nasconde piccoli o grandi drammi: quelli ordinari (i conflitti con i superiori, una caduta della madre anziana); o quelli esistenziali (le condizioni di salute della stessa madre che si avvia, novantacinquenne, verso la fine della propria vita).
La quotidianità è il momento in cui ragionare sui progetti di vita, come quelli riguardanti la carriera di David. Oppure può essere il momento per ricordare retrospettivamente il proprio vissuto, dall’alto di una più o meno lunga esperienza (Andrew ha i capelli bianchi, David è poco più che trentenne).
Insomma, lo sguardo narrativo può essere rivolto al passato, al presente o al futuro, mentre quello strettamente visivo è inevitabilmente rivolto al presente, come sancito, del resto, dalla fissità dell’inquadratura.

La sceneggiatura di Easteal si compone di rimembranze dei dialoghi a suo tempo scambiati tra lui e Andrew, abbozzati e per il resto lasciati all’improvvisazione del momento. Ma anche di elementi di novità, del presente reale, che vengono calati nel presente diegetico, senza troppo curarsi dei possibili anacronismi. Del resto, solo Andrew e David (e pochi altri) sono al corrente di ciò che realmente è accaduto in quei momenti. Solo Andrew e i suoi interlocutori conoscono il contenuto di quelle telefonate che ora ci vengono riproposte.
Uscendo tuttavia dalla logica cerebrale di un’analisi fattuale e temporale, è evidente come il film di Easteal riesca a colpire nel segno proprio per lo stesso fatto di fornirci quell’illusione del reale cui mirava, calandoci dentro un contesto e trasformando così il cinema del reale in cinema dell’osservazione (rectius: dell’ascolto).
Perché in "The Plains" il ruolo dello spettatore è assolutamente centrale, e in particolare a essere centrale è la curiosità umana verso le vicende altrui, vero motore della pellicola.

"The Plains" ci fa riflettere inoltre sulla familiarità che deriva dalla frequentazione: non soltanto quella di Andrew e David, ma anche - e soprattutto - quella dello spettatore verso i due protagonisti, che si alimenta man mano nel corso del film.
Ma "The Plains" ci porta altresì a confrontarci con la nostra capacità di resistere ai tempi morti, come tutto lo slow cinema. E ci mette a confronto con la nostra attitudine a convivere con i silenzi: quelli di Andrew quando è in macchina da solo, interrotti soltanto dalle telefonate o dalle trasmissioni radiofoniche che talvolta preferisce zittire, per restare assorto tra i suoi pensieri; e i silenzi nei dialoghi tra Andrew e David, quelli che - calandoci ancora una volta nella parte del passeggero del sedile posteriore di quell’auto - vorremmo a volte interrompere, per fare una domanda o semplicemente per riempire quel vuoto spesso più imbarazzante per chi ascolta che per chi interloquisce.


15/04/2023

Cast e credits

cast:
Andrew Rakowski, David Easteal


regia:
David Easteal


distribuzione:
Mubi


durata:
180'


sceneggiatura:
David Easteal


fotografia:
Simon J. Walsh


montaggio:
David Easteal


Trama
Ogni giorno (feriale) Andrew Rakowski torna in auto dall’ufficio alla sua casa di Melbourne. Qualche volta accompagna il collega David. Altre volte, da solo, telefona all’anziana madre e alla moglie…